Energie rinnovabili, perché non raccontarla tutta?
Milena Gabanelli è giornalista nota e capace.
Inviata speciale, autrice e conduttrice, da Report, esempio di giornalismo d’inchiesta, al TG LA7, al Data Room sulle pagine del Corriere della Sera.
Ormai da tempo ha abbracciato la causa degli impianti produttivi di energia da fonti rinnovabili senza se e senza ma.
Ultima battaglia è quella, combattuta insieme a Fabio Savelli, contro chi ritarda il diluvio di progetti di centrali eoliche e fotovoltaiche in ogni punto d’Italia.
Posizione legittima, ma che lascia piuttosto perplessi – per non dire altro – quando riporta solo quello che fa comodo alla sua causa, tralasciando cosette che oggettivamente non sono per nulla inezie.
Allora, proviamo a far vedere queste cosette, perché a Milena Gabanelli evidentemente non interessano, ma a milioni di Italiani molto probabilmente sì.
Prima inesattezza: a differenza di quanto sostenuto da Gabanelli e Savelli, non esiste un doppio procedimento di valutazione di impatto ambientale, sia di competenza nazionale che di competenza regionale: il procedimento da svolgere – per obbligo comunitario discendente dalla direttiva n. 2014/52/UE, se non dispiace – è uno solo ed è necessario per l’oggettivo pesante impatto sul territorio di tali progetti.
Lamentano Gabanelli e Savelli che “Regioni, Comuni, Province spesso bloccano i progetti non graditi ai loro cittadini”, ma non dicono perché questi progetti non sono “graditi”.
Per esempio, perché non dire che la speculazione energetica, purtroppo da anni, ha aggredito la Tuscia: siamo di fronte a ben 51 progetti di campi fotovoltaici presentati, in parte approvati e solo in minima parte respinti in pochi anni, complessivamente oltre 2.100 ettari di terreni agricoli e boschi. Analogamente sono ormai numerosi i progetti di centrali eoliche presentati o già in esecuzione.
Terreni talvolta affittati, altre volte espropriati per due soldi.
Centinaia e centinaia di ettari di terreni agricoli e boscati stravolti dalla speculazione energetica, senza che vi sia alcuna assicurazione sulla chiusura di almeno una centrale elettrica alimentata da fonti fossili.
La realizzazione di questi progetti energetici snaturerebbe radicalmente alcuni dei più pregiati paesaggi agrari della Tuscia con pesanti impatti sull’ambiente e sui contesti economico-sociali locali. Stupisce, infatti, l’assenza di alcuna seria e adeguata analisi preventiva sugli impatti negativi anche sul piano economico-sociale di decine di migliaia di ettari di paesaggio storico della Tuscia sulle attività turistiche.
La Provincia di Viterbo detiene il non invidiabile primato per il consumo del suolo per abitante (rapporto ISPRA sul consumo del suolo 2019), 1,91 metri quadri per residente rispetto alla media regionale di 0,47 e nazionale di 0,80.
Consumo del suolo che va in direzione opposta agli obiettivi tanto decantati della transizione ecologica.
Evidentemente poco importa il consumo del suolo, in fondo sono solo pascoli, terreni agricoli, roba così.
L’avevamo capito da tempo, da quando la puntata di Report I Fossilizzati (17 aprile 2016) si era trasformata in uno spot del servizio pubblico per i progetti di centrali solari termodinamiche del Gruppo Angelantoni da realizzarsi nelle campagne sarde piuttosto che nelle estese aree industriali dismesse, dove il sole batte ugualmente: espropri e calci in culo agli indigeni, insomma land grabbing di casa nostra, senza che ciò meritasse un minimo cenno.
In Africa è un’ingiustizia – come denunciava Milena Gabanelli in Report “Corsa alla terra” nella trasmissione del 18 dicembre 2011 – mentre in Sardegna va bene.
Lamentano Gabanelli e Savelli anche che “alzare una pala eolica può complicare il volo degli uccelli, o deturpare la vista dei nuraghi, come è successo in provincia di Sassari, dove è sfumato l’investimento da 130 milioni della Erg”: infatti, tirar su una pala eolica in mezzo a un sito di nidificazione del Grifone porta con assoluta certezza a farli fuori e noi siamo dalla parte del Grifone e non da quella della società energetica che vorrebbe far la centrale eolica dove cavolo preferisce. Men che meno alla Erg Wind Sardegna s.r.l. è consentito potenziare (27 aerogeneratori per 121,5 MW) la centrale eolica già esistente fra Nulvi, Osilo e Ploaghe (SS) in contrasto con la disciplina del piano paesaggistico regionale e la presenza di aree archeologiche con nuraghi: ben tre pareri negativi degli organi del Ministero della Cultura han fatto finire la procedura di V.I.A. davanti al Consiglio dei Ministri.
Nulla dicono, però, sul fatto che la “fotografia” del sistema di produzione energetica sardo (energia richiesta in Sardegna: GWh 9.171,5 energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh +3.491,5, dati TERNA 2019) è che oltre il 38% dell’energia oggi prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato verso la Penisola grazie alle connessioni oggi esistenti ovvero viene disperso in quanto non utilizzato (i sistemi di accumulo e conservazione sono ancora in fase di studio o sperimentale).
In Sardegna, al 20 maggio 2021, risultavano presentate ben 21 istanze di pronuncia di compatibilità ambientale di competenza nazionale o regionale per altrettante centrali eoliche, per una potenza complessiva superiore a 1.600 MW, corrispondente a un assurdo incremento del 150% del già ingente comparto eolico isolano.
A queste si somma un’ottantina di richieste di autorizzazioni per nuovi impianti fotovoltaici.
Complessivamente sarebbero interessati più di 10 mila ettari di boschi e terreni agricoli.
Le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 agosto 2021 risultano complessivamente pari a 5.464 MW di energia eolica + altri 10.098 MW di energia solare fotovoltaica, cioè 15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile. Otto volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021).
Numerosi i progetti per centrali eoliche off shore.
Ormai il quadro è chiaro, a mare e in terra la Sardegna sembra proprio destinata a diventare una piattaforma di produzione energetica, un’Isola destinata all’ennesima servitù, la servitù energetica.
L’ha affermato chiaramente – e ha annuito l’attuale Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani – l’amministratore delegato del Gruppo ENEL Francesco Starace, secondo cui lo “scenario ipotizza l’installazione, a Thyrrenian link in esercizio, di un gigawatt di batterie e circa 4/5 gigawatt di potenza di rinnovabili in più rispetto a quanto abbiamo adesso. Oltre agli ovvi benefici ambientali, come la scomparsa di fatto dell’anidride carbonica prodotta dalle fonti fossili, un piano del genere svilupperebbe investimenti sull’intera filiera da qui al 2030 di 15 miliardi di euro, un indotto più che doppio e una occupazione tra i 10 e i 15mila addetti qualificati e specializzati”.

Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (p. es. termoelettrica) può esser solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica.
Con la realizzazione del Thyrrenian Link, il nuovo doppio cavo sottomarino di Terna s.p.a. con portata 1000 MW, 950 chilometri di lunghezza complessiva, da Torre Tuscia Magazzeno (Battipaglia – Eboli) a Termini Imerese, alla costa meridionale sarda.
Dovrebbe esser pronto nel 2027-2028, insieme al SA.CO.I. 3, l’ammodernamento e potenziamento del collegamento fra Sardegna, Corsica e Penisola con portata 400 MW, che rientra fra i progetti d’interesse europeo.
Al termine dei lavori, considerando l’altro collegamento già esistente, il SA.PE.I. con portata 1000 MW, la Sardegna avrà collegamenti con una portata complessiva di 2.400 MW. Non di più.
Visto che la realizzazione di impianti da fonte rinnovabile non comporta la sostituzione automatica degli impianti “tradizionali” (anzi), visto che attualmente non la si immagazzina, dell’energia prodotta in eccesso che ne facciamo?
E in questa situazione dovremmo dar centinaia di milioni di euro di soldi pubblici sotto forma di finanziamenti e incentivi per centrali elettriche off shore la cui energia eventualmente prodotta che fine dovrebbe fare?
Allo stato attuale, è pura speculazione per ottenere fondi, incentivi pubblici e certificati verdi o no?
Questi non sono aspetti che meritano il minimo approfondimento solo perché vanno contro la narrazione prescelta?
Con l’art. 31 del decreto-legge n. 77/2021, convertito nella legge n. 108/2021 il divieto di accumulo per l’energia prodotta anche da fonte rinnovabile è superato, a differenza di quanto sostengono Gabanelli e Savelli: perché non si chiedono i veri motivi della scarsa progettualità in materia? Il Gruppo ENEL, per esempio, progetta un impianto ad accumulo da 122 MW a Portovesme con il superamento dell’esistente centrale termoelettrica (vds. L’Unione Sarda, 21 ottobre 2021).

La delega contenuta nell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53 (legge di delegazione europea) sull’attuazione della direttiva n. 2018/2001/UE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili prevede esplicitamente l’emanazione di una specifica “disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a fonti rinnovabili nel rispetto delle esigenze di tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita’ dell’aria e dei corpi idrici, nonche’ delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, privilegiando l’utilizzo di superfici di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e aree non utilizzabili per altri scopi”.
Disciplina a oggi non emanata, sebbene alcune disposizioni precedenti siano recenti, come il Piano energetico regionale della Sardegna 2015-2030 – Individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili (deliberazione Giunta regionale n. 59/90 del 27 novembre 2020).
Soprattutto una cosetta sfugge.
Il 10 febbraio 2021 il Parlamento europeo ha adottato la risoluzione legislativa sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un dispositivo per la ripresa e la resilienza chiudendo definitivamente l’iter per la disciplina dei Pnrr (Piani nazionali di ripresa e resilienza) avviato dalla Commissione europea lo scorso 27 maggio 2020, mettendo a disposizione dei Paesi Ue 672,5 miliardi di euro per la ripresa e la resilienza, dunque la parte più sostanziosa dei 750 miliardi del pacchetto Next Generation Eu.
La risoluzione è stata assunta in coerenza con l’accordo storico raggiunto dal Consiglio europeo del 17-21 luglio 2020 che, approvando la proposta della Commissione, ha deciso di assumersi il carico di un debito comune tra stati Ue in risposta alla crisi pandemica.
Il concetto fondante è netto: per ogni euro di spesa dev’essere dimostrato che non nuoce all’ambiente, pena la perdita dei fondi comunitari.
Merita quantomeno un breve accenno da parte di Gabanelli e Savelli o no?
Quanto scrivono senza se e senza ma con paraocchi green Gabanelli e Savelli piacerà al Presidente di Legambiente Stefano Ciafani e, forse, al Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, ma denota il peggior snaturamento dell’Italia e dei suoi incomparabili valori naturalistici e storico-culturali.
E a quel sano e istintivo buon senso nel voler conciliare le esigenze energetiche con la salvaguardia di paesaggio e storia del Bel Paese descritto ed evocato da par suo da Gian Antonio Stella (Il Corriere della Sera, 6 novembre 2021) guardano invece milioni e milioni di Italiani.
Mettetevelo bene in testa una volta per tutte.
Gruppo d’Intervento Giuridico odv
da Data Room, 1 novembre 2021
Energie rinnovabili, perché l’Italia è così indietro. Tutti gli ostacoli agli impianti.
(Milena Gabanelli e Fabio Savelli)
Brindisi 2021: un’area inquinata da polveri di amianto, da bonificare da 5 anni, e da riconvertire. Arrivano finanziamenti privati per installare sul terreno pannelli solari, ma la Provincia si oppone: «Non si può fare perché il terreno è di pregio» e fa ricorso al Tar, che le dà ragione. Della bonifica di cui sopra si sono tutti dimenticati. Prodigi di un Paese sommerso da una lunga fila di autorizzazioni e dove vengono interrogati tanti enti, anche per produrre energia da fonti rinnovabili su cui siamo tutti d’accordo. A parole.
Gli impianti fermi da anni
Entro il 2030 dobbiamo realizzare 70 gigawatt da fonti rinnovabili. Oggi ne facciamo meno di un gigawatt all’anno (0,8 Gw), nonostante le richieste di connessione a Terna siano per 146 gigawatt, più del doppio di quelle che dobbiamo fare.
Al netto di quelle che già in partenza non hanno i requisiti, perché si produce così poco? Partiamo dalle autorizzazioni. Per approvare un parco eolico o fotovoltaico servono cinque passaggi autorizzativi: 1) Via Ministero ambiente; 2) Via regionale; 3) Conferenza dei servizi; 4) Autorizzazione per l’impianto specifico; 5) Licenza di officina elettrica. E poi altri sei per connetterlo alla rete di Terna. Tempo: sei, sette anni. Quando va tutto bene. Perché Regioni, Comuni, Province spesso bloccano i progetti non graditi ai loro cittadini. Solo in Puglia 396 impianti piccoli e grandi sono fermi da 8 anni. Nel Lazio 126, per 2,2 miliardi di investimenti tra Viterbo e Latina, sono stati fermati dal Ministero della Cultura. Ma la Regione ha appena deciso di metterci del suo con il completo blocco ai nuovi impianti in attesa di una riorganizzazione delle aree su cui installarli. Una moratoria che è stata già bocciata dal Consiglio dei ministri, che l’ha rimandata alla Consulta perché lederebbe il principio di leale collaborazione Stato-Regione.
Lo Stato contro se stesso
Quando non c’è accordo, chi deve decidere è Palazzo Chigi. Sul suo tavolo ci sono oggi 40 progetti per 6 gigawatt, autorizzati dal Ministero dell’Ambiente e bloccati dal Ministero della Cultura. Quali siano e perché non è dato sapere: «Si tratta di informazione sensibile» dice la portavoce. Chiedere quali sono i criteri di valutazione delle Sovrintendenze è esercizio vano. C’è una griglia tecnica, osservano dal dicastero guidato da Dario Franceschini, ma alla richiesta di indicazioni sulle variabili prese in considerazione la risposta è sempre la stessa: «Dipende».
Alzare una pala eolica può complicare il volo degli uccelli, o deturpare la vista dei nuraghi, come è successo in provincia di Sassari, dove è sfumato l’investimento da 130 milioni della Erg.
La stella polare dovrebbe essere la direttiva europea sul paesaggio. Ma il paesaggio è un concetto filosofico: con buona approssimazione potremmo definirlo come la sintesi dell’interazione tra uomo e ambiente. Se ci sono progetti che vanno a impattare sulla vista da diverse alture, si segnala dunque la sua trasformazione, e il voto è negativo.
Le aree vincolate e la discrezionalità
Si aggiungono le aree vincolate, dove non si può far nulla, e nessuno pensa di metterci il becco, anche quando la ricognizione è datata. Per questo è stata prevista una Sovrintendenza speciale con una segreteria tecnica di 35 esperti: archeologici, avvocati, ingegneri. Prenderanno servizio da novembre, con il compito di valutare dove mantenere il vincolo e dove rimuoverlo, anche in considerazione del fatto che questi impianti non sono permanenti, come può esserlo una cava. Bisogna poi fare i conti con i territori e la pressione del consenso, che determina un innesco di relazioni, voti, dunque poteri ostativi. Difficile per un sindaco o un presidente di Regione rivincere le elezioni se approvi progetti che i cittadini non vogliono. Eppure, dovrebbero contare solo i requisiti che la natura impone: le mappe dei venti, l’irraggiamento solare, oppure la densità dei pannelli installati in una determinata zona.
Lo spreco a norma di legge
Un altro ostacolo che scoraggia gli investimenti è il divieto di accumulo: la legge impedisce al distributore di energia di stoccare quella prodotta da fonti rinnovabili. Vuol dire che quando c’è molto vento e produci più energia di quella che ti serve, quella in eccesso la butti via, causando da una parte un mancato ritorno sull’investimento, e dall’altra una riduzione della quantità di energia disponibile. Le conseguenze sono due: 1) una scarsa partecipazione alle aste bandite da Terna per i grandi impianti, tant’è che nel 2019 i primi tre bandi sono andati deserti, e si è dovuti arrivare al quarto per raggiungere una presenza del 24%. In più con le norme attuali vengono ammessi a gara solo gli impianti da realizzare su terreni fortemente degradati. 2) Aumenti dei prezzi medi di assegnazione: l’eolico è passato da 57 euro a megawattora a 68. Alla fine la ricaduta di una programmazione non definita si scarica sulla bolletta. Già da ora il costo delle rinnovabili è più vantaggioso delle altre fonti di produzione di energia elettrica: 45-50 euro a megawattora con il solare, 50-60 con l’eolico, contro il picco dei 140-145 del gas. Mentre non si riesce ad aggiudicare le aste e si butta via l’energia che non è possibile stoccare, il costo del metano che importiamo soprattutto da Russia e Stati Uniti ci ha costretti a mettere due miliardi in manovra per ridurre le spese a famiglie e imprese.
Eolico in mare
Le esperienze del nord Europa stanno spingendo le piattaforme off shore. Al largo delle coste di Puglia, Sicilia e Sardegna, sono state fatte richieste per 17 gigawatt. Ma tutto è sospeso in una lunga catena di punti interrogativi. Gli impianti si faranno solo se Terna costruisce gli elettrodotti che collegano le pale alla terraferma, e Terna i soldi li investe solo se è sicura che gli impianti poi si faranno. Una garanzia che nessuno è in grado di dare poiché gli enti locali spesso si mettono di traverso dicendo: «Per il nostro fabbisogno non servono grandi impianti». Tutte queste incertezze spiegano perché in tanti fanno richiesta, ma quando anni dopo arriva l’ok, in pochi investono. Infatti nel 2020 è stato installato l’1,3% delle domande di autorizzazione partite nel 2014. Nonostante il piano da 18 miliardi in 10 anni appena annunciato da Terna, non è così facile mettere a fattore comune gli investimenti dei privati con le grandi dorsali elettriche del Paese. Di tempo però ce n’è poco, e se passa in discussioni, i 5,9 miliardi del Pnrr previsti per le energie rinnovabili (soldi per la gran parte prestati), o tornano indietro, o rischiamo di dilapidarli producendo futuro debito.
Cosa cambia d’ora in poi?
Il ministro per la Transizione Ecologica Cingolani ha dato alle Regioni sei mesi di tempo per individuare le aree idonee dove mettere gli impianti. Dovranno correre perché la gran parte ha normative ferme ai primi anni Duemila senza aver censito alcunché. Ma quali caratteristiche devono avere? Vanno individuate fra le aree già sfruttate ma deteriorate, nei siti industriali abbandonati, fra i terreni classificati come agricoli ma abbandonati. Uno studio del Politecnico stima che l’installazione di 30 gigawatt da fonti rinnovabili tramite impianti di grande taglia richiederebbe l’uso di 460 chilometri quadrati di territorio, che corrispondono a meno del 4% delle aree agricole inutilizzate.
Bisognerà vigilare con attenzione, perché gli speculatori sono già in pista: se sai in anticipo quali sono i terreni che finiranno in elenco, li compri a poco e poi li rivendi a tanto all’operatore che ci costruirà un impianto. Sul fronte delle autorizzazioni, con il Decreto Semplificazioni sono più veloci; con il Pnrr invece, è stata introdotta una «corsia preferenziale» per le opere che contiene, semplificando tutte le procedure. I tempi quindi «dovrebbero» passare dai 6 anni di oggi a 260 giorni. Nulla però impedirà al Ministero della Cultura di dire «qui no». O ad un ente locale di dire «no». Perché tutti vogliono un mondo più ecologico, ma non sotto casa.
Nell’articolo è stata commessa un’imprecisione, che ci ha fatto notare l’avvocatura della Provincia di Brindisi. Ce ne scusiamo con i lettori, anche se non cambia la sostanza di quanto abbiamo scritto. C’è’ una norma del piano paesaggistico regionale che vieta l’installazione di parchi fotovoltaici sui cosiddetti Sin, Siti di interesse nazionale, che a Brindisi come altrove sono da riqualificare essendo ex aree industriali e quindi altamente inquinate. In quasi la totalità dei casi conosciuti in queste aree si riscontrano polveri d’amianto. Ciò non permette di escludere che possano esserci anche su quel terreno, anche se non ne abbiamo la certezza. Così’ è stato bloccato il progetto in questione, che insiste su una di queste aree: il Tar di Lecce – davanti al quale la Provincia di Brindisi ha difeso proprio operato- ha, infatti, «usato» la norma all’interno del piano paesaggistico naturale per bocciare l’installazione dell’impianto fotovoltaico.
da Il Corriere della Sera, 6 novembre 2021
L’Italia e la sfida per conciliare nuove turbine eoliche e antiche bellezze. (Gian Antonio Stella)
Possiamo fidarci, nel Paese delle deroghe dove un italiano su sei vive, fa le vacanze o lavora in un edificio parzialmente o totalmente abusivo, delle 33 deroghe su 67 articoli della legge che sveltisce le pratiche per avviare l’offensiva sulle energie rinnovabili? Dobbiamo. Ce lo dice l’Europa, ce lo impongono i fatti. C’è modo e modo, però: guai a coprire di pannelli fotovoltaici i colli di Leopardi, guai a tirar su nella Tuscia etrusca pale eoliche 19 metri più alte della Torre Unicredit, il più svettante grattacielo italiano. La bellezza, per l’Italia, è un bene non trattabile. Certo, il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ci ha messo più volte la mano sul fuoco. Spiegando che sì, «l’obiettivo di fondo va tenuto presente ed è installare circa 70 Gigawatt di capacità rinnovabile al 2030 per tenere fede agli accordi di Parigi sul clima» ma «c’è un primo ampio margine di superfici utilizzabili che riguarda i tetti delle aree urbane e le aree industriali» e «nelle zone degradate gli impianti di energia rinnovabile possono risultare un volano per avviare progetti sostenibili di recupero». Di più: «Criteri stringenti e prioritari devono riguardare la tutela delle aree sede di beni culturali e delle aree naturali protette» e «il paesaggio naturale» con una speciale «attenzione al consumo di suolo». Parole giuste. Doverose.
Dice un dossier dell’Ispra di un paio di mesi fa, che «nel 2020 abbiamo perso 56,7 chilometri quadrati di suoli naturali a causa di nuovi cantieri, edifici, insediamenti commerciali, logistici, produttivi e infrastrutture e altre coperture artificiali, arrivando a un totale di oltre 21.000 chilometri quadrati, il 7,11% del territorio nazionale rispetto alla media Ue del 4,2%». Uno squilibrio enorme. Tanto più in un Paese come il nostro per il 35,2% montagnoso, per 41,6 collinare e solo per il 23,2 pianeggiante. Dove varie regioni si sono già divorate buona parte (il record negativo è della Liguria: il 22,8%) della superficie utile e ciò che resta, come scrive Salvatore Settis, «dovrebbe essere dedicato all’agricoltura».
Di più: dice quel report Ispra che oltre alla data del 2030 c’è anche quella del 2050 fissata dalla stessa Europa (cioè da tutti noi) per «azzerare il consumo di suolo netto». Obiettivo che «si scontra con la necessità di installare nuovi impianti fotovoltaici che permettano la transizione energetica verso fonti rinnovabili. Si stima che al 2030 saranno tra 200 e 400 i chilometri quadrati di aree agricole persi per installare pannelli fotovoltaici a cui se ne aggiungerebbero 365 destinati a nuovi impianti eolici». Tema: si possono conciliare due obiettivi opposti? Sì, dice l’Ispra: «Sfruttando i tetti degli edifici esistenti, gli ampi piazzali associati a parcheggi o ad aree produttive e commerciali, le aree dismesse o i siti contaminati si stima che potrebbero essere installati pannelli per una potenza totale più che doppia» rispetto ai gigawatt fissati dal Piano Nazionale Integrato Energia e Clima.
Esistono, del resto, esempi virtuosi. Come quello della bresciana Val Sabbia dove i comuni un tempo uniti dalla vecchia comunità montana si unirono ad altri ancora per costruire nel 2010 (voto unanime, di destra e sinistra) un impianto fotovoltaico in una valletta isolata da risanare per la presenza di 13 capannoni coi tetti d’amianto d’un vecchio allevamento. Un decennio dopo, pagate le rate del mutuo fissate e pronti a cambiare i pannelli per raddoppiare o quasi la loro resa, i 25 comuni sono in utile per oltre un milione l’anno e ricavano dall’impianto l’energia per circa trecento uffici pubblici.
Ma per puntare ad affari sempre maggiori e in assenza di piani paesaggistici regionali aggiornati che individuino le aree sensibili, piani invocati sia dal ministero per la Transizione ecologica sia dagli ambientalisti, in un caos di pareri diversi di tutte le (tante) parti in causa, sono già stati costruiti impianti da fare accapponare la pelle a quanti amano il paesaggio e il patrimonio culturale. Esempi? Le distese di pannelli fotovoltaici posati nel Salento, tra le proteste e le invettive degli ambientalisti indignati per l’abbattimento di troppi ulivi che erano la memoria del lavoro dei nonni e dei bisnonni o la spalmata di pannelli realizzata a Troia, nel Foggiano, estesi su una superficie, accusa Altreconomia, «pari a 200 campi di calcio». O ancora il progetto del parco eolico di Ploaghe, nel nordovest della Sardegna, bocciato dal Tar dopo la relazione del soprintendente di Sassari e Nuoro Bruno Billeci. Uno di quelli, par di capire, accusati da Cingolani di scrivere rapporti «incomprensibili». Che lui vuole sbloccare portando le carte (con le deroghe, ovvio) in Consiglio dei ministri. Carte dov’è scritto però che quelle 27 pale eoliche progettate a due passi dalla stupenda basilica romanico-pisana di Saccargia sarebbero alte 180 metri: tre in meno del grattacielo delle Generali a Milano, quarto edificio più alto d’Italia. E avrebbero una base di 21 metri per lato: proprio quanto è lunga la basilica stessa o se volete il triplo della torre del Big Ben di Londra.
Ha senso? Dicono: ma i soprintendenti sono lenti… C’è da crederci: quello di Sassari e di Nuoro, all’entrata in servizio, due anni e sei mesi fa, aveva 114 dipendenti per 165 comuni e un migliaio di chilometri di coste: ora ne ha 53. E dal 1° gennaio al 30 settembre è stato travolto da 9.043 pratiche. Isolato più di quei «pochi eroi sopraffatti dal lavoro e senza mezzi (…) assediati da orde di impresari, ingegneri, architetti, geometri e altri guastatori» di cui scriveva Indro Montanelli nel 1966. Gli stessi che, c’è da scommetterci, assediano (magari vantando il nobile intento di aiutare l’Italia con l’energia pulita) quanti si stanno occupando del progetto per tirar su accanto a Tuscania, area straricca di bellezza e archeologia, quelle sedici turbine di 250 metri di cui dicevamo, da anni denunciate da Italia Nostra. Una palizzata ciclopica. E vabbè, dirà qualcuno, da qualche parte bisognerà ben costruirli questi impianti indispensabili per il nostro futuro. Vero: da qualche parte. E lì torniamo: c’è modo e modo, c’è luogo e luogo. E se vogliamo dirla tutta c’è anche committente e committente. Perché non va bene che i progetti che incideranno sul nostro futuro paesaggistico, agricolo, culturale e anche turistico, siano presentati dalle aziende così, dove conviene: o così o così. Certe cose vanno decise insieme. E magari senza giochicchiare sull’articolo 9 della nostra Costituzione che qualcuno vorrebbe, guarda caso, «ritoccare»…
(foto da mailing list ambientaliste, S.D., archivio GrIG)
ma tutto questo Milena non lo sa…
da L’Unione Sarda, 7 novembre 2021
L’INCHIESTA. Sole e vento: ecco il piano d’invasione dell’Isola.
Con le richieste di connessione presentate a Terna si calcola un giro d’affari di oltre 4 miliardi all’anno di incentivi. (Mauro Pili) (https://www.unionesarda.it/news-sardegna/sole-e-vento-ecco-il-piano-dinvasione-dellisola-kda21liz)
Il grande bancomat del vento sardo cala la maschera. Nel silenzio più assoluto, senza nemmeno un sibilo di allarme, la Sardegna si prepara alla più grande invasione di pale eoliche e infinite distese di pannelli fotovoltaici mai vista prima. Una calata senza precedenti, con un piano tanto sibillino quanto devastante, che rischia di trasformare l’Isola dei Nuraghi in una terra deturpata da una foresta di gigantesche pale eoliche e migliaia di ettari di ferraglia e silicio. Tutto questo fregandosene di pianificazione energetica, territoriale e paesaggistica. Una vera e propria terra di conquista, non in chiave retorica, ma concreta e documentale. I numeri, quelli che contano, sono un cazzotto in pieno volto alle speranze di una corretta strategia green capace di trasformare la Sardegna in un’oasi equilibrata di sviluppo energetico, capace di garantire autosufficienza e crescita economica. Niente di tutto questo.
Lobby fameliche
Il piano che si sta consumando nelle segrete stanze delle lobby “rinnovabili” prevede tutt’altro: non solo un’invasione pari all’antica occupazione militare delle terre pregiate dell’Isola, ma lo sfruttamento spregiudicato di vento e sole di Sardegna destinati a foraggiare multinazionali e affaristi senza lasciare nell’Isola né energia, né sviluppo. I dati di cui siamo entrati in possesso sono molto più di qualsiasi pessimistica previsione di “occupazione” energetica dei crinali e delle pianure, dal Campidano alle vette della Barbagia, dal Meilogu al Sulcis, passando per la Gallura e la valle del Tirso. L’accesso al contatore del bancomat delle energie rinnovabili è da sempre affare privato, riservato a calcoli che appartengono all’ingegneria finanziaria piuttosto che alla comune fruizione del cittadino medio. Del resto se fosse più esplicito il meccanismo che si sta scaraventando addosso alla Sardegna sarebbe più evidente il piano di sfruttamento che lo Stato e le grandi lobby energetiche stanno consumando sulla testa dei sardi.
Energia per 10 milioni ab.
Per avere un termine di raffronto su quanto sta accadendo basti un dato: oggi in Sardegna esistono impianti di energia rinnovabile, eolico e fotovoltaico, per una potenza complessiva di 1.926 megawatt, 1.054 di energia eolica e 872 di solare, secondo le riservate fonti di Terna ad oggi sono stati richiesti allacci alla rete elettrica nazionale per 15.561 megawatt. Stiamo parlando di una potenza elettrica superiore di otto volte l’esistente, una potenziale produzione energetica capace di soddisfare le esigenze di non meno di 10 milioni di abitanti. Il dato di riferimento è la potenza termoelettrica della Sardegna, che si basa su tre grandi centrali, quella di Porto Torres (600 Mw) , di Portovesme (600 Mw) e quella della Sarlux di Sarroch(575). Complessivamente, sommando anche le centrali di Ottana e Assemini, nell’Isola si arriva ad una produzione termoelettrica di 2mila e 501 megawatt. Un quantitativo che ha soddisfatto le esigenze di un milione e 650 mila abitanti.
Il colpaccio
Ora le richieste di allaccio alla rete nazionale gestita da Terna, il braccio statale della trasmissione elettrica, sono di 10.098 megawatt di nuovi mega impianti fotovoltaici e ben 5.463 megawatt di energia eolica. Stiamo parlando di cifre stratosferiche che non si spiegano in alcun modo se non con la logica energetico-coloniale dove la Sardegna cede tutto alle lobby elettriche, dal paesaggio al vento e al sole, dagli incentivi miliardari alla stessa produzione energetica. Ai sardi resterebbero solo le bollette da pagare con un incremento esponenziale degli oneri di sistema, compresi i costi infiniti delle regalie di Stato ai signori del vento e non solo.
La Sardegna perde tutto
La Sardegna, dunque, in questa operazione da sfruttamento del territorio ci rimette tutto. Prima di tutto il paesaggio: sarebbe deturpato irrimediabilmente sia per le ciclopiche foreste di pale eoliche da impiantare in ogni crinale ventoso dell’Isola sia per le distese di silicio che molto spesso finiscono in pianure produttive con terreni di pregio sacrificati sull’altare del dio incentivo.
Il guinzaglio per lo scippo
Vedrebbe usurpato un bene primario come il potenziale eolico e solare che, anziché servire all’economia dell’Isola, verrebbe “deportato” attraverso il cavo-guinzaglio del Tyrrhenian Link, 950 chilometri di lunghezza, dalla Sardegna verso la Sicilia. La Regione, poi, perderebbe una valanga di miliardi di euro di incentivi che grazie al sole e al vento di Sardegna finirebbero nelle tasche delle multinazionali italiane e straniere senza alcuna ricaduta nell’Isola, visto il bassissimo impatto occupazionale delle energie rinnovabili. I dati sulla scalata al “vento furioso” di Sardegna e al suo sole sono impressionanti.
18.000 campi di calcio
Per posizionare i nuovi impianti fotovoltaici per i quali è stata chiesta la connessione elettrica servono la bellezza 18.478 ettari di pianure, stiamo parlando, per avere un ordine di grandezza, di 18.478 campi di calcio, come se ognuno dei 377 comuni dell’Isola potesse contare su 47 superfici di gioco. Sull’eolico l’impatto visivo sul paesaggio sarebbe pari ad uno tsunami di pale e ferro da sistemare ad alta quota nei monti della Sardegna. Il calcolo è presto fatto: se ipotizziamo aerogeneratori da 4 megawatt l’uno, si dovrebbero innalzare non meno di 1300/1400 nuove pale nei crinali dell’Isola. Si passerebbe dalle attuali 300/350 a costruirne quasi 5 volte tanto, devastando senza pudore il patrimonio primordiale del paesaggio della terra dei Nuraghi.
Cifre da capogiro
Il business previsto è da cifre da capogiro. Ogni megawatt eolico riceve una media di incentivi mixati, tra formule di ieri e di oggi, certificati verdi e conti energetici, che svuotano le tasche degli italiani e dei sardi, la bellezza di 140 mila euro all’anno. Stiamo parlando di incentivi per il solo eolico da installare in Sardegna di 764 milioni di euro, a cui vanno sommati i 149 milioni già erogati per i parchi eolici esistenti. Trattandosi di incentivi eolici della durata media di 20 anni, l’esborso dello Stato, o meglio dei cittadini, sarebbe complessivamente di ben 15 miliardi e 280 milioni di euro. Il doppio del bilancio della Regione sarda. Tutti soldi guadagnati con il vento dei promontori più suggestivi dell’Isola. Il guadagno per un megawatt di potenza solare è ancora maggiore. L’ultimo dato del Gse è di uno stanziamento di 6,2 miliardi per i 17.595 megawatt distribuiti in tutta Italia. L’incentivo medio è, dunque, di ben 352 mila euro a megawatt. In Sardegna, secondo i dati di Terna, sono state chieste connessioni per la bellezza di 10.098 megawatt, ovvero per incentivi che superano i 3 miliardi e mezzo di euro all’anno. La grande cassa delle energie rinnovabili si prepara, dunque, al colpaccio sardo, senza lasciare nulla in Sardegna.
Isola depredata
Che l’Isola sia destinata solo ad essere depredata di sole e vento, senza alcuna ricaduta energetica e ed economica, lo si evince da un altro dato eloquente. Nei report interni di Terna si registrano anche le richieste di connessione delle energie rinnovali agli accumuli. La produzione elettrica fotovoltaica ed eolica dipende dall’irraggiamento solare e dalla ventosità. In pratica questa energia si può utilizzare solo quando c’è il sole e il vento, altrimenti bisogna utilizzare sistemi di accumulo che consentono di “conservare”, con delle specie di “batterie”, quell’energia non necessaria in quel determinato momento.
Niente accumulo
Dalle richieste presentate per connettere gli impianti eolici o solari ai sistemi di accumulo si registra un dato eloquente: nessuno chiede di collegare l’energia eolica, nemmeno un megawatt, a sistemi di conversazione dell’energia. In pratica tutti si candidano a sfruttare l’energia eolica dell’Isola ma nessuno intende destinarla all’uso della Sardegna. Prendere e portar via l’energia del vento è un obiettivo che emerge dai dati, un’analisi realistica che converge con i piani di Terna ed Enel che da tempo hanno deciso di usare la Sardegna come piattaforma per lo sfruttamento del vento e del sole da esportare, però, dall’altra parte del Tirreno. Il discorso non cambia con l’accumulo dell’energia solare: dei 10.098 Mw che si vorrebbero produrre nell’Isola e collegare alla rete nazionale solo 689 hanno una richiesta di connessione a sistemi di accumulo. Il risultato è semplice: prima in Sardegna si veniva a far legna, ora, invece, si viene a far soldi, a piene mani, con il vento e il sole. In terra sarda restano solo pale eoliche, alte oltre 200 metri, piazzate nel cuore dell’Isola, insieme a distese infinite di pannelli fotovoltaici adagiati nei terreni agricoli più fertili. Benvenuti nella colonia energetica dell’Isola di Sardegna.
Altro che Sardi indomiti! Solo muti perchè accondiscendenti all’occupazione militare ed energetica della propria Isola! E solo per un “tozzo di pane”! Vergogna!
Non siete altro che NIMBY. Quando scrivete “dell’energia prodotta in eccesso che ne facciamo?” dimostrate di non capire assolutamente nulla della crisi climatica che incombe. Magari avessimo energia rinnovabile in eccesso, magari! E le dorsali di collegamento sono fondamentali proprio per ridurre la necessità di stoccaggio. E finitela di riproporre sempre lo stesso video dell’uccello con le pale eoliche, sapete benissimo che e centrali a carbone ne uccidono molti di più, per non parlare degli edifici vetrati e, soprattutto, dei gatti domestici.
…e lei, illustre anonimo, dimostra che non ha letto l’articolo o non ha capito che cosa c’è scritto.
“la ‘fotografia’ del sistema di produzione energetica sardo (energia richiesta in Sardegna: GWh 9.171,5 energia prodotta in più rispetto alla richiesta: GWh +3.491,5, dati TERNA 2019) è che oltre il 38% dell’energia oggi prodotta “non serve” all’Isola e viene esportato verso la Penisola grazie alle connessioni oggi esistenti ovvero viene disperso in quanto non utilizzato (i sistemi di accumulo e conservazione sono ancora in fase di studio o sperimentale)”.
Ancora: al termine dei lavori per il nuovo collegamento Thyrrenian Link (2027-2028), “considerando l’altro collegamento già esistente, il SA.PE.I. con portata 1000 MW, la Sardegna avrà collegamenti con una portata complessiva di 2.400 MW. Non di più”.
E l’energia prodotta in più, dopo l’orgia di altri “15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile. Otto volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021)”, che cavolo ne facciamo?
Se la mette lei in tasca?
Energia prodotta e non utilizzabile a esclusivo beneficio delle società energetiche sotto forma di acquisto obbligatorio, incentivi, certificati verdi, fondi pubblici a sostegno delle rinnovabili.
Altro che “Sindrome Nimby”!
Stefano Deliperi
P.S. perdonerà se non le rispondo sull’invettiva relativa al Grifone fatto fuori dalla pala eolica: è troppo stupida.
da Il Sole 24 Ore, 7 novembre 2021
Rinnovabili, in arrivo 39 centrali eoliche nel mare davanti alle nostre spiagge. Ecco dove
Per cercare i luoghi più ventosi e per sfuggire alle opposizioni dei comitati Nimby decine di proposte davanti a Romagna, Puglia, Sicilia e Sardegna. (Jacopo Giliberto): https://www.ilsole24ore.com/art/rinnovabili-arrivo-39-centrali-eoliche-mare-alle-nostre-spiagge-ecco-dove-AEnv5hu?cmpid=nl_morning24&refresh_ce=1
Mi dispiace ma quando si parla di rinnovabili il GrIG non e’ credibile perche’ a parte la riduzione dei consumi e degli sprechi (sacrosanta ma longi dall’essere sufficente) il GrIG non propone mai niente di concreto e fattibile nel settore dell’energia.
E magari fosse solo il video del grifone che continuate a riproporre:
anche e soprattutto ribadite sempre che dovrebbero farle in terreni industriali dismessi ma quale imprenditore sarebbe tanto stolto da spendere molti piu’ quattrini per il loro acquisto/affitto condannandosi alla bancarotta?
Allora dovrebbe fare gli impianti lo stato ma perche’ non lo suggerite?
E non auspicate neppure l’aumento dei collegamenti con la penisola solo perche’ ai sardi non serve piu’ energia di quanto gia’ non se ne produca nell’isola, come se fosse inutile ridurre i consumi altrove ivi trasportando piu’ energia prodotta in Sardegna.
Il riscaldamento globale non e circoscritto alla sola Sardegna!
E poi ridagli con questi slogan delle servitu’! La Sardegna fa parte della nazione italiana e quindi deve contribuire di piu’ delle altre regioni se ne ha la possibilita’ grazie al clima solare e ventoso di cui gode.
caro Riccardo, mi spiace, ma quando si parla di produzione energetica da fonti rinnovabili non ragioni più.
A parte il fatto che sono anni che facciamo proposte in materia, a iniziare dalla prima e fondamentale risorsa energetica, rappresentata da quel risparmio energetico che in pochi vogliono sentir nominare, ma chi se ne frega del “povero” imprenditore delle energie rinnovabili che dovrebbe spendere qualcosa in più per proporre i suoi impianti a fronte dei lucrosi introiti pubblici sotto forma di incentivi di acquisti obbligati, di fondi pubblici a vario titolo che lo Stato gli dà.
Incassa parecchio e può permettersi di spendere qualcosa in più per non consumare altro suolo.
Ancora con ‘sta storia della contrarietà all’esportazione di energia dalla Sardegna?
Ma vuoi leggere per intero l’articolo prima di commentare?
Al termine dei lavori per il nuovo collegamento Thyrrenian Link (2027-2028), “considerando l’altro collegamento già esistente, il SA.PE.I. con portata 1000 MW, la Sardegna avrà collegamenti con una portata complessiva di 2.400 MW. Non di più”.
E l’energia prodotta in più, dopo l’orgia di altri “15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile. Otto volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021)”, che cavolo ne facciamo?
Energia prodotta e non utilizzabile a esclusivo beneficio delle società energetiche sotto forma di acquisto obbligatorio, incentivi, certificati verdi, fondi pubblici a sostegno delle rinnovabili.
Basta…è l’energia che deve “servire” i territori e le comunità che ci vivono, non il contrario.
Stefano Deliperi
Caro Stefano, anni che fate proposte in materia? Oltre il risparmio energetico, cos’altro avete proposto di fattibile, ovvero non roba del tipo di fare gli impianti in aree industriali dismesse molto piu’ care di quelle agricole?
Eppoi sono le comunita’ che stanno distruggendo il pianeta e quindi sarebbe ora che fossero esse a servire questo nostro martoriato pianeta e non viceversa. Come? Smettendo di usare, direttamente o indirettamente, energia non rinnovabile.
Caro Riccardo, quella che tu chiami con sufficienza “roba” è l’abc del contrasto al consumo del suolo, parte fondamentale della lotta ai cambiamenti climatici.
Altro non c’è da aggiungere.
Buona serata.
Stefano Deliperi
Grande Stefano! Purtroppo la Sardegna sta per subire un nuovo attacco coloniale, con il placet dei suoi abitanti che, esattamente come ai tempi dei grandi tagli forestali, “applaudono” come nei tanti paesi d’oltremare gli indigeni attorno allo straniero di turno…
Ma con quale paesaggio e soprattutto con quale ambiente la Sardegna vorrebbe fare turismo?
Sono totalmente d’accordo con quanto scritto nell’articolo delGrIG e con i commenti del Presidente Stefano Deliperi . Grazie infinite!
Vogliamo parlare di serre fotovoltaiche e relatvi contributi? Fatevi un giro e vedete quante svolgono attività agricola. Il bello che il TAR ha detto che non è necessario che lo facciano. Che tristezza e che scempio per le campagne e per i soldi pubblici.