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Sardegna e Alghero, infiltrazioni della criminalità organizzata. La scoperta dell’acqua calda.


Alghero, Bastioni, attentato incendiario (27 aprile 2022)

In queste ultime settimane sono stati portati all’attenzione dell’opinione pubblica fatti e considerazioni sulla strisciante penetrazione di persone e interessi della criminalità organizzata in Sardegna, ad Alghero in particolare.

E’ la scoperta dell’acqua calda.

Mafia, camorra, ‘ndrangheta riciclano e investono ingenti capitali sporchi da tempo in varie parti dell’Isola, in Gallura, a Cagliari, ad Alghero, nel settore speculativo immobiliare, nel settore delle energie rinnovabili.

Lo affermano indagini delle Commissioni parlamentari d’inchiesta, inchieste della polizia giudiziaria, magistrati, giornalisti, sindacati delle forze dell’ordine.

Alghero, Capo Caccia

E chi lo nega o se ne disinteressa pur avendo l’obbligo di agire fa un pessimo servizio alla collettività.

Il Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Cagliari Luigi Patronaggio ha affermato esplicitamente che “i vecchi metodi di riciclaggio, costituiti da uno spostamento fisico del denaro da una parte all’altra dell’isola o in continente, sono stati soppiantati dal ricorso a figure professionali quali commercialisti, brokers, operatori della finanza, imprenditori collusi. Non si può escludere che i rapinatori creino, operando quali soci occulti, imprese appositamente costituite, operanti nei settori alberghieri e della ristorazione, insieme ad insospettabili soggetti di varia estrazione sociale o professionale”.

Si tratta di quel mondo di mezzo che collega, con reciproci benefici, criminalità organizzata e società alla luce del sole, il punto d’incontro tra interessi della politica e dell’imprenditoria e interessi della criminalità organizzata, dove si organizzano e si trattano vantaggiosi affari illegali.

Chi ha elementi li porti all’attenzione della magistratura e della polizia giudiziaria, è un dovere sociale, se vogliamo conservare un po’ di sana qualità della vita.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

da La Nuova Sardegna, 29 agosto 2025

L’allarme. Infiltrazioni mafiose, «Il territorio di Alghero è esposto a una pressione crescente dei gruppi criminali».

La denuncia del sindacato di polizia: «Lo Stato deve interviene con decisione prima che sia troppo tardi». (Gianni Bazzoni)

«Un territorio che si propone come polo turistico e culturale di rilevanza internazionale, ma anche teatro di rischio elevato per un processo di progressiva penetrazione criminale, caratterizzato da episodi reiterati di violenza, minacce, atti incendiari e tentativi di infiltrazione nei settori economici e negli spazi decisionali locali». Di fronte al silenzio della politica, scossa solo nei giorni scorsi dalla chiara presa di posizione del consigliere regionale Valdo Di Nolfo, ci pensa il sindacato a sollevare il problema su quella che viene definita “emergenza Alghero”.

Il segretario provinciale di Sassari del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori polizia) Massimiliano Pala parla di «territorio esposto».

E sottolinea. «Il centro catalano rappresenta un caso di studio emblematico: città dalla forte vocazione turistica, ma al contempo vulnerabile alla penetrazione di fenomeni criminali». Una vulnerabilità che – secondo il segretario del Siulp – deriva da due fattori concomitanti: «La cronica carenza organica del Commissariato di pubblica sicurezza, che riduce drasticamente la capacità preventiva e investigativa; la pressione crescente di gruppi criminali organizzati, che perseguono il controllo delle attività economiche e turistiche attraverso violenza e intimidazione».

Alghero, Calabona, cantiere edilizio sul mare

E Massimiliano Pala cita gli episodi degli ultimi mesi che secondo lui sono degni di nota: «Vanno letti in sequenza – afferma l’esponente del Siulp – come indicatori di un processo in atto. Il 24 agosto, Hotel Baja di Conte: un dipendente viene selvaggiamente percosso da turisti, episodio che trascende il fatto occasionale e segnala la percezione di impunità in un contesto privo di deterrenza. Aprile, litoranea di Alghero: una ristoratrice riceve una lettera di minacce di morte, sullo sfondo di dinamiche riconducibili a tentativi in stile camorristico di controllo delle concessioni demaniali. E ancora: ripetuti incendi di autovetture, lettere anonime e telefonate minatorie, manifestazioni cicliche di una strategia di intimidazione che alimenta un clima di silenzio sociale».

Per questo, anche dopo la denuncia politica di Valdo Di Nolfo, il Siulp esprime massima preoccupazione «per una situazione che non può più essere considerata episodica o marginale. Si tratta di un fenomeno che, se non affrontato con tempestività e mezzi adeguati, rischia di consolidarsi in modo irreversibile, creando un divario incolmabile tra la capacità di risposta dello Stato e la forza criminale».

Massimiliano Pala evidenzia che «dal punto di vista sociologico, ad Alghero si assiste all’affermarsi della cosiddetta “legge del silenzio”: i commercianti tacciono non per complicità, ma per timore di ritorsioni. Gli imprenditori riducono le denunce per non esporre se stessi e le proprie famiglie a minacce o incendi. E ci sono alcune famiglie già note alle cronache che hanno acquisito immobili e ristoranti, alterando progressivamente l’equilibrio economico locale. Il risultato è un clima di paura normalizzata, in cui la comunità si abitua a convivere con la presenza mafiosa come se fosse un dato inevitabile».

Il segretario provinciale del Siulp in conclusione sottolinea che «Alghero rappresenta oggi il punto di intersezione tra una debolezza istituzionale e una pressione criminale crescente». E per questo il sindacato di polizia afferma di non volersi limitare a una denuncia ma intende formulare un “atto di responsabilità pubblica”. La richiesta è «un rafforzamento organico strutturale e stabile del Commissariato di Alghero; l’attivazione di programmi straordinari di contrasto alle infiltrazioni mafiose, con strumenti investigativi dedicati; una presenza tangibile dello Stato, che restituisca fiducia ai cittadini e libertà all’economia locale. Ad Alghero è in corso una battaglia silenziosa tra la legalità e la criminalità, e lo Stato deve interviene con decisione. Prima che sia troppo tardi».

Alghero, Punta Giglio

30 agosto 2025

Il sindaco di Alghero: «Il rischio mafie esiste ma le istituzioni non sono vulnerabili».

Raimondo Cacciotto: «Chi vede qualcosa denunci, è così che si fa un servizio alla comunità». (Giovanni Bua)

Alghero Parlare di infiltrazioni mafiose ad Alghero non è più un tabù. Il rischio esiste e la sequela di piccoli e grandi episodi criminali degli ultimi mesi, come denunciato in questi giorni dal consigliere regionale Valdo Di Nolfo e dal segretario provinciale di Sassari del sindacato italiano unitario lavoratori polizia, Massimiliano Pala, è la prova che il tentativo è in atto.

«Ma adombrare una “vulnerabilità istituzionale” è sbagliato oltre che offensivo soprattutto a fronte del lavoro congiunto che il Comune di Alghero sta facendo in stretta collaborazione con la Prefettura e le forze dell’ordine».

Non si nasconde il sindaco di Alghero Raimondo Cacciotto, entrando con forza nel dibattito lanciato dalla Nuova Sardegna sui sempre più innegabili segnali di uno sbarco nella Riviera del Corallo della criminalità organizzata, complice la massiccia presenza dei boss camorristi al 41-bis nel carcere di Bancali. Ben conscio di quanto sia delicato (e però indispensabile) parlare del problema in una città turistica come Alghero, che inevitabilmente molto vive dell’immagine che dà di sé.

Ci tiene però a fare alcuni importanti distinguo: «Mi auguro – inizia – che, tutti coloro che hanno a cuore realmente il tema della sicurezza connessa alla presenza di micro e macro criminalità, sia cittadini che associazioni, non si limitino a denunce a mezzo stampa o diffamazioni sui social, ma rappresentino ai magistrati gli elementi e le informazioni di cui sono in possesso. Così, realmente, si fa un servizio alla comunità. Diversamente si costruisce un quadro a tinte fosche che non giova alla città, agli algheresi e al nord ovest dell’Isola, e non restituisce dignità al lavoro di chi quotidianamente si spende per garantire la sicurezza sul territorio».

Alghero, catapulta sui Bastioni

«Non ci nascondiamo di fronte ai problemi – continua Raimondo Cacciotto – ma li affrontiamo con le armi che l’amministrazione possiede, e l’arma principale è rappresentata dalla collaborazione con lo Stato, che perseguiamo costantemente».

A far saltare sulla sedia il primo cittadino algherese il passaggio in cui il Siulp parla di «punto di intersezione tra una debolezza istituzionale e una pressione criminale crescente». «Non è accettabile che si parli di vulnerabilità istituzionale – attacca –. La città di Alghero è amministrata da persone serie, che rispettano le leggi e sono impegnate tutti i giorni al servizio delle istituzioni, con quella disciplina e onore che richiede la Costituzione del nostro Paese. Per quel che riguarda sicurezza e Polizia, l’interlocutore del sindacato non era certo il sindaco o l’amministrazione comunale. La giusta rivendicazione di personale aggiuntivo è evidentemente rivolta al proprio dipartimento. Non può però un sindacato portare avanti le proprie rivendicazioni, per quanto legittime, sulla carenza di personale e sull’organizzazione del lavoro, utilizzando la città di Alghero per ottenere risposte».

Su cosa infine l’amministrazione comunale possa fare per contrastare un quadro a tinte sempre più fosche: «Tra le azioni dell’amministrazione in materia di sicurezza – spiega il sindaco –recentemente è stato approvato il nuovo regolamento di polizia urbana, un atto fondamentale che non esisteva nel Comune di Alghero e che oggi contribuisce a definire le linee guida per una gestione equilibrata della città. Tra le misure adottate c’è anche l’integrazione del sistema di videosorveglianza, un intenso lavoro di contrasto all’abusivismo, dall’occupazione del suolo pubblico fino al pagamento dei tributi comunali, oltre all’acquisto di nuovi mezzi e dotazioni. C’è poi la sorveglianza notturna. Queste azioni si inseriscono in un progetto più ampio che vede una stretta collaborazione tra la Polizia Locale e le altre forze dell’ordine, per creare una rete di sicurezza sempre più forte e operativa, capace di affrontare le sfide quotidiane della città».

Alghero, Bastioni e centro storico

31 agosto 2025

Sardegna terreno fertile per i clan, Paolo Borrometi: «Attenti, le mafie ci sono già».

Paolo Borrometi, scrittore e giornalista da anni sotto scorta, lancia l’allarme. «La criminalità organizzata si infiltra nell’economia e compra consenso». (Francesco Zizi)

Sassari La Sardegna non è un’isola felice. Lo ripete con forza Paolo Borrometi, esperto di mafie, giornalista d’inchiesta, scrittore, presidente Articolo 21 e della scuola di formazione politica Piersanti Mattarella, da anni sotto scorta per le minacce della criminalità organizzato. Atttento osservatore delle trasformazioni mafiose, Borrometi invita a guardare oltre i cliché di coppola e lupara: oggi le mafie non sparano più per affermarsi, ma preferiscono corrompere, infiltrarsi nell’economia, comprare consenso. L’isola, dove per decenni si è pensato che il banditismo e i sequestri fossero un baluardo contro le organizzazioni tradizionali, è invece un territorio vulnerabile, attraversato da interessi criminali esterni e non immune da infiltrazioni.

Lei sostiene che la Sardegna non possa dirsi estranea alle mafie. Perché?

«In Sardegna ci sono sicuramente organizzazioni criminali mafiose. Abbiamo certezze sulla presenza di ’ndranghetisti e camorristi, e sono convinto anche di clan siciliani e stranieri. Non credo, invece, a una mafia sarda strutturata con una cupola verticistica come quella che conosciamo in Sicilia. Qui non vedo un architrave simile, ma questo non significa che l’isola sia immune. Dire che non c’è mafia significa invitare i mafiosi a entrare indisturbati».

Molti ricordano i sequestri di persona e il banditismo come antidoto alle mafie. È davvero così?

«Storicamente il fenomeno dei sequestri ha tenuto lontane le organizzazioni tradizionali, che preferivano fare affari economici piuttosto che affrontare il rischio di sangue. Ma oggi è cambiato tutto. Quelle organizzazioni dedite al banditismo si sono reinventate dopo che i sequestri non si potevano fare più a causa delle leggi e dell’attenzione dello Stato: pensiamo agli assalti ai portavalori, spesso opera di bande pugliesi o sarde. La domanda è come questi soldi vengano poi reinseriti nel circuito legale: la risposta è il riciclaggio. Ecco perché il 416 bis dovrebbe essere rivisto per essere riadattato alla realtà sarda, lo dice bene il procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio».

Alghero, costa di Punta Cristallo

A suo avviso, quali sono i segnali che non vanno sottovalutati nell’isola?

«Prima di tutto le intimidazioni: auto bruciate, minacce ad amministratori, atti di pressione verso imprenditori e giornalisti. Poi il traffico di sostanze stupefacenti: dove c’è tanta droga c’è quasi sempre un’organizzazione criminale che controlla il territorio. Questi sono reati spia, indicatori che ci dicono chiaramente che qualcosa si muove. La società civile deve prenderne atto e pretendere risposte dalla politica».

Lei ha citato spesso la necessità di non abbassare la guardia. A cosa si riferisce in particolare?

«Io vengo da una provincia, quella di Ragusa, dove per anni si diceva che la mafia non esisteva, che eravamo immuni. Poi abbiamo scoperto che era solo una riserva di caccia per gli affari. In Sardegna rischia di accadere la stessa cosa. Dire che non ci sono infiltrazioni significa illudersi. E invece ci sono già, eccome. Bisogna alzare l’asticella, perché le mafie non hanno più bisogno di sparare: minacciano e corrompono prima di uccidere».

Il ministro Nordio ha cercato di tranquillizzare gli animi sull’arrivo dei 92 detenuti a regime di 41bis in Sardegna. C’è da stare sereni?

«Io, lo dico chiaramente, mi fido molto di più del parere del procuratore Patronaggio che non di quello del ministro Nordio: il procuratore conosce a fondo la realtà dell’isola e ha ben chiaro il rischio che corriamo. È un problema serio, non solo di ordine pubblico ma anche di sicurezza. È vero che essendo un’isola i colloqui sono più difficili, ma avvengono. E intorno ai detenuti si muove sempre un sistema fatto di relazioni, contatti, affari. Pensare che questo non abbia effetti sul territorio è un errore».

Si può parlare di spartizione del territorio tra clan in Sardegna?

Non ho elementi per dire che ci sia una spartizione geografica. Piuttosto, c’è una spartizione di affari, come accade a Roma: tutte le mafie convivono, senza dividersi fisicamente il territorio ma dividendosi i settori economici. Certo, ci sono zone dove prevalgono camorristi o ’ndranghetisti, ma non è questo il punto. Il vero tema è che in Sardegna esistono tutte le condizioni perché le mafie si radichino».

Molti cittadini sardi non percepiscono la presenza mafiosa. È un rischio?

«È il rischio più grande. Anche a Milano per anni si diceva che ci fossero gli anticorpi. Poi abbiamo scoperto che non era vero. Faccio un esempio: Matteo Messina Denaro usava Telegram quando non lo usava nessuno, poi quando l’app è diventata di uso comune è tornato ai pizzini. Insomma, i mafiosi vivono nella società come noi, e non sono stupidi. Bisogna riconoscere i segnali e reagire». 

Grifone (Gyps fulvus)

1 settembre 2025

Luigi Patronaggio: «I tentacoli della mafia hanno stretto Alghero, investimenti nei lidi e nei ristoranti».

Il procuratore generale: «La Riviera del Corallo non è un caso isolato, tutta l’isola nel mirino di organizzazioni criminali». (Francesco Zizi)

L’ennesimo assalto a un portavalori avvenuto in Sardegna riporta l’attenzione su un fenomeno criminale tutt’altro che episodico e ormai strutturato. Non si tratta più di azioni isolate, ma dell’espressione di un sistema organizzato, capace di mettere in campo mezzi, armi ed esplosivi con modalità paramilitari. Come spiega il procuratore Patronaggio, alla base di queste rapine ci sono gruppi ben radicati, formati da soggetti legati da vincoli familiari o territoriali, e legame con altre realtà criminali, anche di stampo mafioso. L’isola si conferma così non solo teatro di colpi ad alto impatto, ma anche terreno fertile per l’infiltrazione della criminalità organizzata anche continentale, attratta dalle opportunità di investimento – lecito e illecito – offerte da settori come il turismo e la ristorazione. Un quadro che impone un rafforzamento costante degli strumenti di prevenzione e contrasto, a fronte di una criminalità sempre più interconnessa. Il procuratore generale di Cagliari Luigi Patronaggio fotografa l’attuale situazione delle mafie e delle organizzazioni criminali locali.

Procuratore, assistiamo all’ennesimo assalto a un portavalori. Salta all’occhio l’utilizzo massiccio di armi da guerra. Come si muovono queste bande e come si riforniscono?

«L’ennesimo, peraltro assolutamente previsto e prevedibile, assalto ad un portavalori in Sardegna non può non esimerci da una sempre più attenta analisi del fenomeno che ha assunto dimensioni assolutamente preoccupanti per l’ordine e la sicurezza pubblica. Le più recenti indagini ci forniscono indicazioni circa l’esistenza di uno “zoccolo duro” di malviventi, numericamente contenuto, con particolari competenze criminali, disponibilità di armi ed esplosivi, ben protetto all’interno delle zone rurali nel centro della Sardegna, attorno al quale si aggregano di volta in volta altri malviventi per il compimento delle rapine programmate di maggiore rischio e remunerazione. Il sodalizio si è formato nel tempo sulla base di vincoli di sangue, di comparatico o di semplice comune appartenenza territoriale o militanza carceraria. Per meglio descrivere il fenomeno si potrebbe fare ricorso al concetto di “sistema modulare”: un sistema formato da comparti o moduli, efficienti ed autonomi, ma pronti ad assemblarsi fra loro per imprese ben precise quali grossi colpi ai portavalori o ai caveaux delle società di preziosi. Le armi da guerra e gli esplosivi di cui sono dotati tali consorterie spesso provengono dall’Est europeo o da alleanze con clan mafiosi del continente ed in particolare con consorterie mafiose pugliesi o calabre».

Alghero, Torre costiera di Tramariglio

Quando si parla di assalti a portavalori parliamo in alcuni casi di colpi da milioni di euro. Come vengono ripuliti questi soldi?

«Il riciclaggio e il reimpiego degli enormi profitti delle rapine, spesso costituiti da denaro contante o preziosi, rappresentano per l’organizzazione criminale un vero problema che per essere risolto necessita del ricorso ad energie esterne al sodalizio criminale. I vecchi metodi di riciclaggio, costituiti da uno spostamento fisico del denaro da una parte all’altra dell’isola o in continente, sono stati soppiantati dal ricorso a figure professionali quali commercialisti, brokers, operatori della finanza, imprenditori collusi. Non si può escludere che i rapinatori creino, operando quali soci occulti, imprese appositamente costituite, operanti nei settori alberghieri e della ristorazione, insieme ad insospettabili soggetti di varia estrazione sociale o professionale. L’organizzazione criminale, insieme o in sostituzione alle prestazioni dei professionisti del riciclaggio, fa inoltre ricorso ad acquisti di grosse partite di stupefacenti di tipo “pesante” che piazza nell’isola, e oggi anche fuori dall’isola, grazie ad una fittissima rete di medio e piccoli spacciatori».

Ci sono rapporti tra le organizzazioni locali e quelle provenienti da Campania, Calabria e Sicilia, ci sono anche casi di infiltrazioni straniere?

«Le bande sarde sono in genere autoreferenziali ma sono stati registrati contatti con organizzazioni campane, calabresi e pugliesi. Questi contatti spesso traggono origine da comuni periodi di detenzione nelle carceri di massima sicurezza sarde, vere palestre del crimine. In relazione al narco traffico, inoltre, ci sono elementi investigativi da cui desumere contatti con organizzazioni criminali del Nord Africa, dell’Est Europeo, della Spagna e della Francia».

Esiste un caso Alghero per quanto riguarda le infiltrazioni mafiose, oppure ci sono altri territori coinvolti?

«Il caso di Alghero, ormai additata da più qualificati osservatori, come la città dove elementi della malavita campana hanno occupato ampi settori dell’economia cittadina – dai ristoranti, alle gelaterie, ai lidi – non rappresenta certo un caso isolato in Sardegna. Si può affermare che la Sardegna, con il suo altissimo potenziale economico nel settore turistico, rappresenta terra elettiva di investimenti e purtroppo anche di investimenti opachi provenienti da soggetti legati ad organizzazioni mafiose continentali. Unica nota positiva in questo preoccupante panorama è che lo Stato è presente ed attivo. La Dda di Cagliari, le Procure circondariali e le Prefetture dell’isola hanno stilato protocolli ed osservatori che lasciano ben sperare per l’attuazione di una seria ed efficace attività di prevenzione».

Il Fatto Quotidiano, 4 aprile 2025
Alghero, Isola Piana

(foto S.D., archivio GrIG)

  1. settembre 3, 2025 alle 3:09 PM

    da Il Manifesto Sardo, 3 settembre 2025

    Sardegna e Alghero, infiltrazioni della criminalità organizzata.

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