La tragedia di Sarno, vent’anni dopo.
Gli abitanti del Bel Paese tendono a dimenticare in fretta.
Fra il 5 e il 6 maggio 1998 l’area compresa fra Sarno (SA), Quindici (AV), Siano (SA), Bracigliano (SA) e San Felice a Cancello (CE) venne interessata da un devastante movimento franoso causato dalle forti piogge dei giorni precedenti e, soprattutto, dall’incuria e dall’abbandono in cui versavano i canali di scolo realizzati fin dal ‘600, sotto la dominazione spagnola (i Regi Lagni).
Accadde uno dei peggiori disastri innaturali italiani: milioni di metri cubi di fango e detriti, 160 morti (137 nella sola Sarno) e una devastazione di cui tuttora quel territorio porta i segni.
Con la sentenza Cass. pen., Sez. III, n. 19507 del 2013 venne condannato definitivamente solo l’allora sindaco di Sarno Gerardo Basile per condotta omissiva.
Eppure continua la deforestazione e la realizzazione di strade, che favoriscono ulteriore dissesto idrogeologico.

frana causata da tagli boschivi
Una pistola puntata alla tempia, ma così continua giulivo un gran bel pezzo d’Italia, dove negli ultimi 55 anni, sono stati più di 5.000 i morti a causa delle ripetute, consuete calamità innaturali.
L’allora Governo Renzi, due anni e mezzo fa, affermava di voler voltare pagina con il nuovo programma nazionale Italia sicura, l’attuale Governo Gentiloni non pare che abbia fatto seguire molti fatti.
Noi abbiamo proposto un vero e proprio New Deal a livello nazionale e regionale, un grande piano di risanamento idrogeologico del Bel Paese per salvaguardare l’ambiente, la vita, il lavoro.
Finora poco o nulla.
Nel mezzo continua estenuante lo stucchevole teatrino dei troppi vincitori delle elezioni politiche 2018 che rivendicano lo scranno adatto alle loro ambizioni.
I reali problemi e le reali necessità possono attendere.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
da La Stampa, 6 maggio 2018
Sarno, vent’anni dopo la frana può ancora uccidere.
Sulle montagne sempre meno alberi, l’unica difesa del territorio. Realizzati canali per l’acqua e il fango, che però sono ostruiti. (Flavia Amabile)
Le strisce chiare solcano le montagne, interrompono bruscamente la macchia scura del bosco e si inerpicano in orizzontale. Una, due, tante. Li chiamano sentieri di risalita, sono mulattiere, strade sterrate, ferite aperte nel verde. Le creano i commercianti di legname per portare più facilmente a valle gli alberi. Ma queste montagne circondano la valle di Sarno, il paese dove venti anni fa una valanga di fango sommerse 137 persone, case, interi quartieri e un ospedale. I sentieri non avrebbero dovuto segnare la montagna allora e tantomeno dovrebbero farlo oggi. Per gli esperti proprio queste mulattiere sono la principale causa della frana e delle morti di venti anni fa. Micla Pennetta, docente di Geologia ambientale e rischi naturali dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e referente per la Campania dei Geomorfologi italiani: «Nel 60-70% dei casi le frane innescate a Sarno venti anni fa sono dovute all’apertura di queste strade che non permettono agli alberi di evitare l’ingrossarsi della massa di fango in caduta. Sappiamo con certezza che il pericolo aumenta in corrispondenza delle curve dei sentieri dove il fango si accumula».
Si sa tutto. Eppure a venti anni esatti dalla tragedia di Sarno non solo le strade non sono scomparse ma sono anche aumentate e sono state allargate. «Ormai vedo passare persino i camion, ormai il processo di deforestazione viene effettuato in modo sempre più meccanizzato», avverte Micla Pennetta.
Si sa tutto ma non si impara nulla, sostiene anche Legambiente che su questi venti anni di lezioni mancate ha presentato un dossier zeppo di cifre e di denunce. Dopo l’alluvione sono stati investiti 400 milioni di euro, una spesa due volte e mezzo più elevata rispetto alla previsione iniziale. È stata realizzata una rete di circa 20 chilometri di canali e un sistema di 11 enormi vasche di raccolta a valle per raccogliere l’eventuale massa di terra, acqua e detriti in caduta dalla montagna e evitare che per la seconda volta raggiunga il paese e i suoi abitanti. Ma sono venti chilometri di canali e di opere che oggi «sono senza manutenzione e ostruite da fango, terreno e rifiuti di ogni genere», denuncia l’associazione.
«Piogge di straordinaria portata non possono trasformarsi in un cataclisma da cui la popolazione, inerme, non può difendersi» e la prevenzione sul territorio è «irrinunciabile», ha provato ad affermare il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per ricordare l’anniversario. «La prevenzione, la cura del territorio, l’equilibrio idrogeologico, l’armonia tra ambiente e aree urbane sono ormai tratti di civiltà irrinunciabile, senza i quali il nostro stesso modello sociale rischia di venire compromesso», afferma Mattarella, «la sostenibilità dello sviluppo deve poggiare anche su queste basi».
Parole che si scontrano con la realtà di una terra dove in questi venti anni invece l’abusivismo edilizio in tropi casi è stata una regola di vita: come ricorda il dossier di Legambiente, a Sarno sono state presentate 6386 richieste di condono su una popolazione di 31 mila persona, vale a dire che un abitante su cinque ha chiesto di sanare un abuso. Un’abitudine condivisa: secondo le stime delle forze dell’ordine nei comuni di quest’area sono state oltre 27 mila le persone denunciate per abusi edilizi, si tratta del 10% della popolazione residente. In otto dei comuni della zona (Angri, Bracigliano, Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Sarno, Scafati, Siano e Roccapiemonte) dopo i tre condoni Legambiente ha censito 24.420 richieste di sanatoria. Inoltre negli ultimi dieci anni sono state emesse 4091 ordinanze di demolizione ma ne è stato eseguito appena l’uno per cento.
Infine i piani di protezione civile, spesso ignoti o poco accessibili ai cittadini. Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania, ricorda: «Non c’è più nessun alibi per le amministrazioni campane, visto che sono state beneficiarie di oltre 15 milioni di fondi comunitari destinati alle emergenze idrogeologiche con gli strumenti di prevenzione: piani di emergenza, strutture operative comunali, attività di informazione e addestramento delle comunità».
Risorse ne sono arrivate, come sempre accade nelle grandi tragedie. Ma sono state spese nel modo migliore? È quello che chiedono i parenti delle vittime. «Abbiamo promosso una selezione pubblica per l’assegnazione di una borsa di studio di durata annuale», spiega Antonio Milone, presidente dell’associazione Rinascere che nell’alluvione perse il padre. «I piani di intervento iniziali prevedevano il ripristino dei versanti montani, invece si sono realizzate soltanto le opere di miglioramento dei canali e le vasche. Sono sufficienti? Come mai i piani sono stati cambiati? Chiediamo che qualcuno studi questa materia e ci dia una risposta adeguata».
Gli amministratori locali, invece, appaiono soddisfatti. «Si potrebbe fare sempre di più in tema di prevenzione ma di sicuro si sono fatti grandi passi avanti in questi anni – sostiene Gaetano Ferrentino, vicesindaco di Sarno -. La sensibilità sul tema è alta e abbiamo modelli di Protezione Civile che prima non esistevano. Ovviamente tutto può sempre essere migliorabile ma non viviamo più le forti piogge con l’angoscia del passato. Le opere destinate a frenare l’eventuale fango ci sono. Purtroppo manca la manutenzione e questo è quello che chiediamo. Non si tratta di beni nella disponibilità del Comune e le operazioni sono troppo costose per la nostra amministrazione. Lo Stato deve aiutarci, da soli non possiamo farcela».
Le vasche di raccolta dell’eventuale fango, infatti, rappresentano un grande punto interrogativo per gli esperti. Micla Pennetta: «Non sono state sperimentate e speriamo che non debbano essere messe alla prova. Non sappiamo se reggeranno, possiamo solo sperarlo». E così, dopo venti anni di dibattiti, studi, interventi e centinaia di milioni di euro spesi, a Sarno è solo la speranza quella che resta.

frane e dilavamento dei terreni a causa dei tagli boschivi
(foto A.L.C., archivio GrIG)
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Maggio 7, 2018 alle 1:17 PMLa tragedia di Sarno, vent’anni dopo. – Fratello Albero
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