Orgia di cemento veneta.


Veneto, trasformazione di area boscata

E’ quello che vuole la gran parte degli elettori veneti.

Quelli che hanno incoronato (2020) in modo plebiscitario (il 76,8% dei voti validi) Luca Zaia Presidente della Regione Veneto, anzi Doge a vita per mancanza di avversari che possano far intuire un futuro diverso per la ex Serenissima.

Il novello Doge interpreta alla perfezione quello che vogliono i suoi elettori: un’overdose di capannoni-fabbrichette-svincoli-tangenziali-pedemontane-centricommerciali-piattaformelogistiche-viadotti  che continuano a massacrare e impermeabilizzare il territorio, consegnandolo alle calamità innaturali.

Quelle causate o incrementate dall’uomo nella sua infinita stupida avidità.

Ne ha voglia l’Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA) a presentare i suoi documentatissimi rapporti annuali sul consumo del suolo (l’ultimo è il Rapporto sul consumo del suolo 2021).

Un territorio felicemente massacrato, dove trionfano le pedemontane e dove in troppi vivono un perenne lobotomizzato sonno di cemento.

Gruppo d’Intervento Giuridico odv

ISPRA, Rapporto sul consumo del suolo 2021, Veneto

DAI MONTI AL MARE NEL CEMENTO E NELL’ASFALTO IL VENETO DEVE AFFOGARE.

Sulle Dolomiti, sulle pedemontane, sulle pianure, lungo le coste, prosegue, nell’indifferenza generale, lo sterminio di suolo e alberi.

Sui temi ambientali, confinati alla periferia di un approfondito e complesso dibattito culturale che investa il futuro e la salute delle persone e del pianeta, c’è bisogno di un “linguaggio descrittivo” dai toni provocatori, di “rottura” e di uno “sguardo” che capovolga la visione rassicurante, soporifera e anestetizzante della  comunicazione propagandistica da parte dei politici e del potere economico: se non si compie questa operazione di “smascheramento semantico” ed “iconografico” nessun movimento ambientalista riuscirà mai a portare al centro del dibattito politico ed elettorale la gravità della situazione ambientale.

Il Veneto è un po’ il capofila di questo trend comunicativo e linguistico dove il “rischio ambientale” viene tacitato, assecondando in modo irresponsabile il desiderio collettivo di evasione dal “dovere” dello “sviluppo compatibile”, distogliendo gli elettori dalle possibili conseguenze di certi propositi antropocentrici, come, ad esempio, nella scelta dei luoghi dove autorizzare nuove infrastrutture, nuovi insediamenti residenziali, commerciali e produttivi.

Per il Veneto tale problematica è tremendamente accentuata dalle percentuali di suolo già consumato e dalla conseguente frammentazione e dispersione insediativa di infrastrutture ed edificazioni civili, produttive e commerciali.

Ecco allora venire in soccorso dei “devastatori amministrativi seriali” la “semantica tecnocratica”, attraverso l’ossessiva ripetizione di un termine come “funzionalità”, una parola manipolabile in mille direzioni, anche opposte, una sorta di “passepartout linguistico” che possa giustificare l’accanimento cementocentrico e poter così ingrigire a tappeto il poco suolo libero di una certa estensione rimasto in Veneto.

alluvione nella pianura veneta

Certe infrastrutture e grandi opere addirittura sono poli-funzionali, assolvono a più funzioni, come nel caso della progettata “autostrada del mare”, un’arteria di circa 20 km a 4 corsie tra Meolo e Caposile e da Caposile a Jesolo, un’opera doppiamente “funzionale”: funzionale al “traffico su gomma” e funzionale al consolidamento della fidelizzazione dell’elettorato veneto. Infatti, appena un secondo dopo la lettura dei dati del rapporto Ispra 2021 sul consumo di suolo in Veneto, che continua a crescere grazie a una “legge fuffa” che lo dovrebbe contenere, l’euforia antropocentrica raggiunge il suo apice alla notizia dell’ennesima infrastruttura.

Le “reazioni nulle” al progetto denotano la mancanza assoluta di una coscienza ecologica diffusa, sia fra i pendolari delle spiagge (ed elettori) dell’estate che plaudono all’opera sognando la fine di stressanti code, sia fra quella che dovrebbe essere l’opposizione in regione che si attarda su una critica sterile al Project Financing, legittimando così l’opera dal punto di vista ambientale.

Vengono rimosse da qualsiasi valutazione di impatto ecologico, idrogeologico e sociale le conseguenze per la qualità ambientale di lungo periodo dei luoghi in un effetto domino distruttivo multi-fase: prima l’ennesimo esproprio di terreni  agricoli,  poi il “nuovo sprawl” nell’area di Meolo-Roncade e lungo l’arteria con nuovi insediamenti produttivi, commerciali e residenziali ed infine il collo di bottiglia che si determinerà a Jesolo e la conseguente  richiesta, a furor di popolo balneare,  del prolungamento dell’opera fino al Cavallino.

Perché non si valuta il costo della perdita di suolo agricolo e dei suoi servizi ecosistemici? Perché non si valutano i danni che tali infrastrutture veloci generano sui territori, sui quali ingenerano una corsa senza fine a nuovi insediamenti di capannoni e centri commerciali, a nuove strade di collegamento tra i paesi attraversati e tra questi e la nuova arteria? 

Nessuna riflessione su quello che sta accadendo sul pianeta a livello globale e su quale sviluppo a base di cemento abbia caratterizzato il litorale di Jesolo, nonché sui limiti di tale sviluppo. Si continua a pensare che non stia  uccedendo nulla, che i cambiamenti climatici  siano  un fenomeno leggero, addomesticabile, che non ci sia l’obbligo morale e politico di assumere il “limite” come parametro delle nostre azioni future.

Veneto, paesaggio

Che senso ha pensare a nuove infrastrutture veloci di collegamento che possono incrementare la congestione urbanistica e antropica di una località già in sofferenza?

E tutto come se il livello del mare non si stesse alzando,  come se d’inverno a Jesolo non si provvedesse ad alzare un “muro di sabbia” per difendere dalle mareggiate l’erosione della spiaggia, come se il livello di espansione della cementificazione a Jesolo  non avesse già raggiunto e superato il limite della compatibilità ambientale,  come se “l’autostrada del mare”, una volta raggiunto Jesolo, non creasse automaticamente il “bisogno indotto” di un ulteriore prolungamento al Cavallino distruggendo un’area naturale mista e agricola a sud di Jesolo. Jesolo, nel Rapporto Ispra 2021, con 1682 ettari è al 17,5% di suolo consumato, Caorle è al 6,9%, Eraclea è al 9%.

Perché non mettiamo un limite alla crescita quantitativa dell’antropizzazione turistica di Jesolo cercando di riqualificare le cubature esistenti e/o rinaturalizzare le aree cementificate?

Quello che non sta avvenendo nella Pineta di Jesolo dove a maggio di quest’anno, in pieno periodo di nidificazione, è stato attuato uno scempio di 180 pini marittimi sani per far posto a 150 appartamenti, facendolo passare per “rigenerazione urbana” anche se non c’era nessuna cubatura preesistente da riqualificare. Tutto lo scempio è stato accompagnato dal cartello, scritto in modalità “greenwashing“: “facciamo rinascere la pineta per vivere nuove emozioni, area di rigenerazione urbana”(!).

Non bastano le migliaia di strutture ricettive esistenti: alberghi, residence, appartamenti, campeggi, ecc.? 

Si tratta di accettare il limite, di non superarlo più di quanto lo sia già e di gestire l’esistente in termini di presenze e di fatturato turistico senza aggravare il bilancio ecologico negativo che un certo tipo di sviluppo turistico ha creato.

Mi sorprendo a chiedermi mentre scrivo queste righe: ma sono solo io, un semplice cittadino, che vedo la carenza progettuale di un “futuro resiliente” per una località balneare di massa nel tempo dei cambiamenti climatici?

Perché invece di alterare ulteriormente il paesaggio, incrementare la congestione urbanistica e la cementificazione, con sullo sfondo i cambiamenti climatici in atto, non si lavora per rendere più attraente e rinaturalizzato un ambiente che rischia, se prosegue una certa declinazione di offerta turistica e di progettazione infrastrutturale, di subire la concorrenza di altre località estere per il momento più attrattive  dal punto di vista paesaggistico  e naturalistico?

Dante Schiavon, socio GrIG Veneto

Marano Vicentino, cantiere abbandonato (febbraio 2014)

(foto D.S., M.F., archivio GrIG) 

  1. capitonegatto
    novembre 13, 2021 alle 12:30 PM

    Orgia ? NOO. Erano solo cene eleganti !! Camilaa, mettimi nella cartelaa quanti ettolitri di vino abbiamo autorizzato per ettaro.
    Autonomia alle Regioni ? NOOO.

  2. Porico.
    novembre 13, 2021 alle 1:11 PM

    Curioso il metodo Iesolo adottato per “rigenerare la pineta ” togliendo i pini e piantando palazzi.

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