Fari d’Italia, concessioni e privatizzazioni.

L’Agenzia del Demanio ha avviato nel 2015 un programma di “valorizzazione” di alcuni beni ricadenti nel demanio e patrimonio statale denominato Valore Paese: uno specifico ambito è quello di fari, torri e vari edifici costieri da assegnare in concessione (fino a 50 anni di durata) a privati in seguito a specifici bandi.
25 strutture sono state già assegnate in seguito ai primi tre bandi (2015, 2016, 2017), altre 9 lo saranno con le aggiudicazioni conseguenti al bando 2018.
L’obiettivo è semplice: far cassa.
In Sardegna, da tempo, è stato assegnato in concessione a una società alberghiera privata il Faro di Capo Spartivento.

L’area, di straordinario valore naturalistico e paesaggistico, è di fatto preclusa alla fruizione pubblica.
Nel 2014, dopo una lunga preparazione, l’Agenzia della Conservatoria delle coste della Sardegna avviava un processo per un nuovo futuro dei Fari e Semafori lungo le coste dell’Isola.
Si trattava di un piano di recupero e valorizzazione (allegato 1 e allegato 2) connesso al progetto di cooperazione transfrontaliera MED-PHARES, finanziato con fondi comunitari, chiamato a delineare – per la prima volta su scala internazionale – le strategie per conservare, recuperare e valorizzare i fari e le stazioni semaforiche del Mediterraneo.
Da anni ormai l’Agenzia della Conservatoria delle Coste è stata posta in stato catalettico dall’Amministrazione regionale Pigliaru per motivi sconosciuti ai più.
Nel 2017 la Regione autonoma della Sardegna decise di affittare quei fari e semafori e ulteriori altri[1] in accordo con l’Agenzia del Demanio.
Con quali finalità? Con quali prospettive?
Quali sono tempi, criteri e garanzie per il pubblico uso delle aree?

Finora di concreto non è stato fatto nulla, ma la necessaria trasparenza è d’obbligo.
Curiosamente sia le procedure di affidamento statale che quelle regionali non prevedono la prescritta verifica dell’interesse culturale (artt. 12 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) da parte degli Organi competenti del Ministero per i beni e le attività culturali.
Non si può che esser molto critici su procedure che, di fatto, portano alla privatizzazione strisciante di beni pubblici senza nemmeno aver garanzie sulla conservazione di beni e aree di grandissimo valore ambientale e sul mantenimento della fruizione pubblica.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
[1] – vecchio faro di Razzoli (La Maddalena);
– faro di Punta Filetto – Isola di Santa Maria (La Maddalena);
– ex stazione di vedetta di Marginetto (La Maddalena);
– ex faro di Capo d’Orso (Palau);
– ex stazione segnali di Capo Sperone (Sant’Antioco);
– ex stazione semaforica di Capo Ferro (Arzachena);
– ex stazione di vedetta di Capo Fìgari (Golfo Aranci);
– ex stazione segnali di Punta Falcone (Santa Teresa Gallura);
– ex stazione semaforica di Punta Scorno (Isola dell’Asinara);
– faro di Capo Comino (Siniscola), ancora in capo allo Stato.

da La Stampa, 13 maggio 2019
La triste storia dei Fari d’Italia venduti.
L’Agenzia del Demanio ha lanciato nel 2015 un progetto di valorizzazione del patrimonio del demanio costiero: Fari, torri ed edifici costieri al fine di dare in concessione a privati. Una scelta non per forza di cose sbagliata, ma che rischia di cancellare una storia. (Flavia Corsano)
L’Agenzia del Demanio ha lanciato nel 2015 un progetto di valorizzazione del patrimonio del demanio costiero chiamato Valore Paese – Fari, torri ed edifici costieri al fine di dare in concessione a privati ‒ per un arco di tempo che varia dai 20 ai 50 anni ‒ alcuni fari o stazioni di segnalamento (funzionanti e non) di proprietà del Ministero della Difesa o del Demanio dello Stato. Da allora sono state indette quattro gare di bando, sono stati messi all’asta una cinquantina di beni e circa una trentina di strutture sono state date in concessione, fruttando allo Stato €760.000 in canoni diretti (importo relativo ai primi due bandi). L’obiettivo del presente approfondimento è quello di analizzare luci e ombre di un’operazione innovativa che potrebbe influenzare le modalità delle future ingenti dismissioni stabilite dal Decreto Finanza dell’attuale governo, che prevede di ricavare 950 milioni dalla vendita del patrimonio immobiliare dello Stato nel solo 2019.
Va riconosciuto infatti all’Agenzia del Demanio di aver affrontato con un notevole sforzo di trasparenza la questione fari, con modalità mai prima messe in campo. È, credo, evidente a tutti che la consistenza e le condizioni del patrimonio del Demanio Marittimo impongono nuovi sistemi gestionali. Molti fari sono ormai automatizzati, nessuno più vive nelle abitazioni destinate ai guardiani o semaforisti e la manutenzione delle strutture, che viene svolta dalla Difesa, è un costo gravoso per lo Stato. Visto che le funzioni dei fari saranno in parte sostituite dal GPS, alcuni finiranno inevitabilmente per “spegnersi”, costringendoci a ripensarne gli usi, cercando di coniugare sostenibilità economica e tutela.
Non possiamo parlare, però, di fari senza soffermarci su ciò che ha rappresentato per secoli nell’immaginario collettivo quel fascio di luce proteso nell’oscurità a guidare i naviganti sani e salvi fino al porto. Spesso costruiti in luoghi impervi e desolati, la loro architettura a volte slanciata, a volte tozza e solida, costella con regolarità le coste italiane in una rete pensata e sviluppata in modo sistematico dall’unità d’Italia, con alcuni segnalamenti già in uso dai tempi delle repubbliche marinare o dei regni italici.

Oggi la rete viene gestita dal Servizio dei Fari e del Segnalamento Marittimo, affidato per legge alla Marina Militare dal 1911, e dispone di 866 ausili per la navigazione costituiti da 147 fari e 719 tra fanali, mede e boe (i fari si differenziano dai fanali perché hanno una portata superiore alle 15 miglia nautiche). Da notare che, per tutti i fari funzionanti, la concessione non include la torre e la lanterna, che rimangono in carico al Servizio Fari della Marina per la manutenzione.
Alcuni fari sono iconici, come la Lanterna di Genova, eretto nel 1128, distrutto e ricostruito nel 1543 nella sua forma attuale. I suoi 77 metri lo rendono il faro più alto del Mediterraneo (il secondo d’Europa) e inoltre il terzo faro in attività più antico del mondo. Il Fanale di Livorno, chiamato fanale benché abbia una portata di 36 miglia marine, risale all’epoca della Repubblica Marinara di Pisa (la struttura attuale, però, è una ricostruzione dell’originale andato distrutto nella seconda guerra mondiale). Il Faro di Punta Palascìa è in una posizione splendida, sul Capo d’Otranto, a picco sul mare nel punto più a est dell’Italia. Restaurato recentemente, è uno dei cinque fari del Mediterraneo, insieme a quello di Genova, tutelati dalla Commissione Europea e sede di un museo. Non possiamo dimenticare il Faro della Vittoria di Trieste, una vera e propria opera d’arte realizzata negli anni ’20. Il faro sorge sulle colline intorno a Trieste, a 60 m.s.m. e domina il golfo di Trieste. Fanno parte del faro due sculture dell’artista Giovanni Mayer: una in marmo alla base dedicata ai marinai caduti nella prima guerra mondiale, il Marinaio Ignoto, e una Vittoria Alata in bronzo in cima alla struttura.

Nell’ultimo bando Valore Paese – Fari, oltre a immobili di proprietà del Ministero della Difesa e del Demanio dello Stato, sono stati messi a gara anche edifici costieri di proprietà di Comuni e Regioni, con un positivo sforzo di ricognizione e rilevamento dei beni e del loro valore. A questi vanno anche aggiunti fari o stazioni di segnalazione di proprietà della Regione Sardegna.
Le linee guida del progetto di valorizzazione prevedono che gli operatori possano “sviluppare un progetto dall’elevato potenziale per i territori e a beneficio di tutta la collettività, e che favorisca la messa in rete di siti di interesse storico-artistico e paesaggistico, migliorandone la fruizione pubblica e sviluppando un modello di accoglienza turistica intesa non solo come ricettività, ma anche in relazione ad attività formative, di natura sociale e culturale e di scoperta del territorio”.
Paradossalmente, però, i fari finora ristrutturati sono diventati dei resort di lusso, chiusi al pubblico per le visite e inaccessibili 365 giorni l’anno se non si è disposti a prenotare una stanza al modico costo di €500 a notte. Parliamo del Faro di Capo Spartivento a Chia, nel comune di Domus de Maria (CA), situato sulla punta meridionale della Sardegna, in un luogo di selvaggia bellezza, che l’imprenditore cagliaritano Alessio Reggio insieme al socio Massimo Balia ha trasformato in un hotel a cinque stelle, con piscina a filo orizzonte sul mare e prato all’inglese. Sul sito web del resort e sul cancello che sbarra l’accesso al faro non si fa menzione di aperture al pubblico o visite guidate. Oppure del Faro di Punta Fenaio, sull’Isola del Giglio, preso in concessione dall’imprenditore alberghiero Mario Pellegrini, che l’ha trasformato in resort con 8 camere e ristorante. Per finire con Faro di Punta Libeccio, a Marettimo e il Faro di Capo Grosso, a Levanzo, entrambi in concessione all’imprenditore Lorenzo Malafarina, milanese, fondatore del Seventyseven Italian Luxury Heritage, che vuole trasformare i due edifici in alberghi “boutique” con servizio di maggiordomo e chef gourmet.

Non si vuole interferire con le proposte turistiche degli operatori del settore che, d’altronde, hanno il merito di investire risorse ingenti nel nostro patrimonio, ma quello che si chiede è che all’atto della concessione si preveda l’obbligo per gli affidatari di garantire l’accesso gratuito al pubblico secondo un calendario congruo di visite guidate. Si chiede anche all’Agenzia del Demanio di rivedere i criteri di scelta dei progetti meritevoli di concessione, in modo che possano essere selezionate anche proposte per la creazione di ostelli o rifugi per i turisti, accordi con i circoli velistici e la Lega Navale per centri di supporto ai diportisti, osservatori e centri di ricerca universitaria, centri sociali e musei di varia natura, e non prevalentemente resort di lusso, come purtroppo è avvenuto fino ad oggi.
Per fortuna non tutti i fari hanno fatto questa fine. Il Faro di Punta Palascìa è stato oggetto di una lunga battaglia da parte di ambientalisti, cittadini pugliesi e appassionati faristi che, per salvarlo dall’abbandono, festeggiarono in centinaia il Capodanno del 2000 con una fiaccolata al faro. Il recupero è arrivato quando il Comune di Otranto ha ottenuto la concessione dall’Agenzia del Demanio e i finanziamenti necessari per il lungo e difficile restauro. Gli accordi tra Comune, Regione Puglia, Università di Lecce, Marina Militare e il coinvolgimento della popolazione locale potranno garantire la fruizione pubblica del bene, oggi destinato a Museo e Osservatorio su Ecologia e salute degli ecosistemi mediterranei. Anche il Faro di Capo d’Orso a Maiori, preso in gestione dal WWF, sarà un contenitore culturale pubblico, punto di snodo di trekking sulla costiera amalfitana e i Monti Lattari, con l’obiettivo di sviluppare un turismo responsabile e la fruizione di territori altrimenti abbandonati. Più ancora, il Politecnico di Bari sta sviluppando l’idea di creare un Cammino di Fari italiani, sorta di “via della luce” lungo le coste italiane, creando un’infrastruttura che possa mettere in rete tutti i fari, sostenendo un turismo lento, responsabile e sociale, in cui ogni stazione di sosta o ostello del viandante sia un faro.

dal sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna, 27 giugno 2017
10 fari a bando per il recupero e riuso. Pigliaru: beni a nuova vita per creare valore.
qui le slide della presentazione del progetto Orizzonte Fari.

(foto da Sardegna Digital Library, A.N.S.A., Nicola Friargiu, per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)
[…] “La Regione possiede beni di grande valore: vogliamo metterli in grado di creare reddito”.
Le ultime parole famose…
Reddito per chi?
Non sarebbe male creare dei veri e propri percorsi geologici-naturalistici per consentire, a tutti coloro che volessero sperimentarli, di visitare queste testimonianze del passato e nel contempo ammirare e calpestare luoghi di rara bellezza.
Di autentica, rara bellezza.
Quanto bene farebbe allo spirito e… alla salute!
Io intanto da casetta mia posso ammirare, in lontananza,( ma lo spettacolo è di incomparabile bellezza), quando e se gradisco…uno di questi beni di grande valore…
E non devo nemmeno pagare.
🙂
Grazie per il vostro impegno, sempre.
Cordialità.
Bello il faro U.S.A Portland , se lo confrontiamo con i nostri nostrani !!
E’ triste assistere inermi al sacco dei beni che generazioni di Italiani hanno creato con il loro lavoro e con le loro capacità.
Si iniziò nel 1992 con il nefando golpe studiato per sottrarci i nostri beni . (Gelli venne trasferito da Calle Cerrito 1131 Buenos Aires a Ginevra .Le istruzioni per la demolizione dello stato Italiano attraverso l’organizzazione P2 gli venivano impartite in Rue de Terreaux du temple ,4 ) Ginevra.
Le riunioni avvenivano a casa di Luigi Olivi a Lausanne-Pully .
Il seguito è sotto i nostri indifferenti occhi. Tutti i beni Italiani hanno cambiato mano ,banche e banca Centrale con riserve auree comprese . Sono rimasti solo i beni ambientali. Presto si porteranno via anche questi ,magari per “rivalutarli” come dicono i politici disonesti complici del saccheggio.
Recentemente il GRIG ,con un suo intervento , ha salvato dalla svendita le terre comuni dei Sardi. Resta una esile speranza .
n.b. errata corrige .Il faro di Spartivento è affidato ad Alessio Raggio e non “Reggio”
La speranza, ancorché esile, è l’ultima ad andarsene;
ma con il “GRIG” la…speranza non muore.
E’ quel che sogniamo.
,
Francesco, non siamo inermi: basta mandare al governo del Paese e della Regione politici onesti e animati da un senso di responsabilità, di tutela e di cura del territorio.
Sbaglieranno anch’essi, di certo, ma faranno sicuramente meglio di altri… E mi fermo qui.
Francesco, grazie per le notizie che ha condiviso con tutti noi.
🙂
sta per aprire l’hard discount della vendita dei beni pubblici.
A.N.S.A., 25 maggio 2019
Demanio,1.600 immobili su mercato per maxi dismissione.
400 rientreranno nella lista che il Mef inserirà in un decreto ad hoc previsto dalla legge di bilancio. (http://www.ansa.it/sito/notizie/economia/2019/05/25/demanio1.600-immobili-su-mercato-per-maxi-dismissione_1168b856-8a75-4c92-beb2-819ec02ddad0.html)
Un lavoro certosino, fatto di attente ricognizioni, analisi e valutazioni. L’Agenzia del Demanio sta passando al setaccio gli immobili pubblici per contribuire al maxipiano di dismissioni che negli intenti del governo dovrebbe portare quest’anno nelle casse dello Stato 950 milioni di euro.
In tutto 1.600 beni saranno messi sul mercato: 400 rientreranno nella lista che il Mef inserirà in un decreto ad hoc previsto dalla legge di bilancio; altri 1.200, di minor valore ma comunque determinanti, saranno (e in parte già sono) oggetto di bandi di gara dell’Agenzia.
Dopo la lunga trattativa tra Roma e Bruxelles, a dicembre scorso è stato inserito nella legge di Bilancio un consistente programma di dismissioni immobiliari di carattere straordinario. La manovra ha stabilito in particolare che entro il 30 aprile 2019 sia approvato con un Dpcm (su proposte del Mef) un piano di cessione di immobili pubblici e siano disciplinati i criteri e le modalità di dismissione degli immobili da attuarsi nel triennio 2019-2021. Gli introiti stimati ammontano a 950 milioni per il 2019, 150 milioni per il 2020 ed altrettanti 150 milioni per il 2021. Nel programma previsto rientrano immobili di proprietà dello Stato individuati con uno o più decreti del ministero dell’Economia su proposta dell’Agenzia del Demanio (attesi entro 60 giorni dall’entrata in vigore della legge), disimpegnati dalla procedura di trasferimento agli Enti locali con il federalismo demaniale, infine in uso al Ministero della Difesa non più utili a finalità istituzionali individuati, sempre entro 60 giorni dall’entrata in vigore della manovra, dallo stesso Ministero della Difesa.
I decreti mancano ancora tutti, ma non per questo il processo è del tutto fermo. Dall’inizio di gennaio, l’Agenzia del Demanio ha avviato una ricognizione patrimoniale a largo spettro e ha avviato i primi contatti con gli enti locali per sollecitare la conferma o la rinuncia al trasferimento di beni. Dalle procedure di federalismo demaniale sono stati svincolati più di 800 beni inizialmente richiesti ed alcuni di questi beni sono rientrati nel piano vendite.
Da metà febbraio è stato quindi composto un primo elenco che è stato poi oggetto di approfondimenti per verificare la possibilità o meno di effettiva messa in vendita. Nella lista compare un po’ di tutto: castelli; ex caserme, molte al nord (prima proteggevano i confini poi presidiavano durante la guerra fredda); ex carceri; edifici costieri; caselli e piccole stazioni; ex stabilimenti industriali e militari dismessi, terreni agricoli ed edificabili, ex aeroporti. Ma anche proprietà di tipo residenziale ed abitativo: edifici cielo-terra, appartamenti, garage, posti auto, quote indivise. Molte di queste, anche se di valore spesso esiguo, sono attualmente oggetto di vendita o lo saranno nell’anno, anche se non inserite nel decreto, attraverso bandi di gara pubblici e procedure ordinarie. Dall’inizio dell’anno il Demanio ha messo sul mercato più di 450 beni dislocati in tutta Italia, per un valore d’asta totale di 14 milioni. Le gare concluse al momento sono 9 e tra i beni aggiudicati compaiono appartamenti a Padova, Milano e Venezia (dove è stata venduta anche una ex torre telemetrica), un palazzo nobiliare a Torino, terreni agricoli in Veneto. Attualmente sono in corso 4 bandi che coinvolgono 96 beni nelle Regioni Marche, Toscana, Umbria, Friuli Venezia Giulia e Lazio. La prossima settimana sono in pubblicazione altri 3 avvisi di vendita in Abruzzo, Molise, Lombardia e Piemonte e altri se ne aggiungeranno tra giugno e luglio anche nelle Regioni del Sud. Entro l’estate toccherà ad altre case cantoniere, magazzini, locali commerciali, ma anche ad ex caselli ferrovieri ed ex caserme.
da Il Corriere della Sera, 16 luglio 2019
Al via da oggi. In vendita il mattone di Stato. Sono 420 le proprietà che saranno cedute: obiettivo incassare 1,2 miliardi di euro. (Stefano Righi): https://www.corriere.it/economia/finanza/19_luglio_16/vendita-mattone-stato-sono-420-proprieta-che-saranno-cedute-obiettivo-incassare-12-miliardi-euro-8a9b2f22-a7af-11e9-87b1-16eba1cb2125.shtml
A.N.S.A., 18 luglio 2019
Demanio, primi bandi maxi-dismissione.
In vendita 93 immobili di pregio: http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2019/07/18/demanio-primi-bandi-maxi-dismissione_53dec086-de36-4cbd-9b6c-c2d421ed3e08.html
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da Il Corriere della Sera, 18 luglio 2019
Immobili pubblici, i bandi per le case di pregio: in vendita palazzi, negozi, ville a Firenze e Camogli. Come si compra dal Demanio: https://www.corriere.it/economia/casa/cards/immobili-pubblici-via-vendita-case-ex-caserme-box-come-funziona-l-asta-telematica-guida/ecco-primi-420-immobili-vendere_principale.shtml
per i fari locati indebitamente chiamare guardia di finanza e segnalarlo al ministero dei patrimoni culturali nonche a quello di grazia e giustizia le commissioni devono essere indagate ed i locatari vincitori dei bandi nonche proprietari di resort perdere il contratto pagare penali rifare i lavori con controlli una segnalazione alle iene programma molto seguito non farebbe male ci andrebbero a nozze
..e quali sarebbero e per quali motivi “i fari locati indebitamente”?
quelli adibirti a resort il tale menzionato nel link vanta 7 fari
il fascino spudorato delle privatizzazioni.
da Il Fatto Quotidiano, 29 ottobre 2019
Privatizzazioni, 18 milioni dalla prima di tre aste di immobili pubblici. Governo riduce le attese: ‘Obiettivi dei gialloverdi non realizzati.
Altri due lotti saranno venduti a novembre: il portafoglio di beni proposti dall’Agenzia del Demanio comprende una villa a Camogli, un ex convento a Sulmona, l’ex carcere di Corigliano, il faro di Capo Trionto sempre in Calabria, un albergo a Tabiano bagni e un ex Palazzo delle Poste a Piacenza. I gialloverdi avevano promesso alla Ue 18 miliardi di incassi, il nuovo esecutivo prende atto che quest’anno i proventi saranno quasi zero e per il futuro spera in 3,6 miliardi l’anno: https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/29/privatizzazioni-18-milioni-dal-primo-bando-di-immobili-pubblici-il-conte-2-ridimensiona-le-attese-obiettivi-dei-gialloverdi-non-realizzati/5538088/