Ambiente e salute svenduti, giustizia svenduta.


Taranto, acciaieria Ilva

La Corte d’Assise d’Appello di Lecce – Sezione distaccata di Taranto ha annullato, con ordinanza del 13 settembre 2024, la sentenza del 31 maggio 2021 comportante numerose condanne per il disastro ambientale prodotto dall’inquinamento industriale del complesso ILVA.

Il procedimento dovrà esser rinnovato presso la Corte d’Assise di Potenza, con il rischio dell’incombente prescrizione, tanto per cambiare.

Le motivazioni risiederebbero nel fatto che giudici togati e popolari sarebbero anche loro parti offese, in quanto vivrebbero a Taranto, luogo dell’inquinamento, per cui dovrebbero astenersi da qualsiasi giudizio.

Così ne parla Nicolangelo Ghizzardi, già magistrato, di origine tarantina.

Nel mentre, prosegue il procedimento civile presso il Tribunale di Milano, nel quale è intervenuto il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), patrocinato e difeso dagli Avv.ti Carlo e Filippo Colapinto, del Foro di Bari.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Mauro Zaratta (Taranto, 17 agosto 2012, da http://www.gettyimages.com)

da Italia Libera, 15 settembre 2024

L’Ilva e Taranto, l’“ambiente svenduto” e le condanne cancellate: sconcerto di una intera comunità. (Nicolangelo Ghizzardi)

Venerdì 13 settembre, la Corte d’Assise d’Appello di Taranto ha annullato la sentenza di condanna di primo grado trasferendo gli atti alla Procura di Potenza. Anche i giudici, togati e popolari, erano da considerare parti offese del disastro ambientale. Il processo ora ripartirà nel capoluogo della Basilicata. E bisognerà attendere la decisione del giudice dell’udienza preliminare lucano per capire se vorrà sollevare un conflitto di competenza. Intanto incombe la prescrizione per quasi tutti i reati contestati ai 44 imputati. Il commento di Nicolangelo Ghizzardi, Avvocato generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Taranto fino al 2019.

Taranto, acciaieria Ilva

Nel libro “Taranto tra pistole e ciminiere, ieri e oggi. Storia di saghe criminali” (scritto con Arturo Guastella e pubblicato da ‘I Libri di Icaro’), nell’affrontare le tormentate fasi dell’affaire Ilva, forse troppo ottimisticamente scrivevamo che spes ultima dea, frase con la quale i latini intendevano significare che la speranza è l’ultima a morire. E la speranza era che, dopo anni di battaglie condotte su ogni piano, in primo luogo quello giudiziario, si potessero spezzare definitivamente i tentacoli con cui lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa aveva stretto in una morsa mortale Taranto e i suoi cittadini continuando ad esercitare su tutti il diritto di vita e di morte. In tanti avevamo pensato di incominciare a intravedere una flebile luce in fondo al tunnel dei drammi tarantini nella conclusione del processo “Ambiente svenduto” avviato a seguito del sequestro degli impianti nel 2012.

La sentenza emessa dalla Corte di assise di Taranto, all’esito di un giudizio caratterizzato da tempi biblici, forse mai visti in un’aula giudiziaria, aveva, infatti, confermato l’assunto accusatorio per i danni ambientali e sanitari cagionati dalle mefitiche esalazioni dello stabilimento, a carico degli imputati e cioè gli ex proprietari, la famiglia Riva, ed altre 44 persone tra fiduciari, ex manager e rappresentanti della fabbrica, oltre ad amministratori, funzionari pubblici e le tre società proprietarie degli impianti. Ma è ben noto che le battaglie giudiziarie si sa quando iniziano ma non si sa quando finiscono e, soprattutto, non si sa come possano finire. Ed è proprio questo il caso del processo per il disastro ambientale sotto la gestione Riva.

Con la sentenza emessa venerdì 13 settembre, la Corte d’Assise d’Appello di Taranto ha inopinatamente annullato la sentenza di condanna di primo grado trasferendo gli atti alla Procura di Potenza e il processo ora ripartirà nel capoluogo della Basilicata. Allo stato si ha solo conoscenza del dispositivo della sentenza mentre le motivazioni saranno depositate entro 15 giorni. La Corte ha, in sostanza, dichiarato la competenza funzionale del tribunale di Potenza, disponendo la trasmissione degli atti alla procura lucana per i successivi adempimenti. È verosimile che la clamorosa decisione si fondi sull’assunto che i giudici tarantini, togati e popolari, siano a loro volta da considerare ‘parti offese’ del disastro ambientale, vivendo negli stessi quartieri in cui risiedono numerose parti civili che in primo grado hanno ottenuto peraltro il risarcimento, e non abbiano la “giusta serenità” per decidere.

Taranto, complesso siderurgico Ilva

Il fondamento normativo è rinvenibile nell’art. 11 del Codice di procedura penale secondo il quale «i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di persona sottoposta ad indagini, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reatoche secondo le norme di questo capo sarebbero attribuiti alla competenza di un ufficio giudiziario compreso nel distretto di corte d’appello in cui il magistrato esercita le proprie funzioni o le esercitava al momento del fatto, sono di competenza del giudice, ugualmente competente per materia, che ha sede nel capoluogo del distretto di corte di appello determinato dalla legge». Sarebbe stata, così, accolta la richiesta dei difensori di spostare il procedimento in quanto i giudici tarantini, togati e popolari, che hanno emesso la sentenza di primo grado, sarebbero a loro volta da considerare “parti offese” del presunto disastro ambientale.

Come da più parti è stato sottolineato, le conseguenze della decisione appaiono devastanti in quanto le condanne sono state cancellate ed il processo, nella migliore delle ipotesi, ripartirà dall’udienza preliminare e tutta l’istruttoria dibattimentale dovrà essere rinnovata. Insomma, al disastro ambientale si aggiunge un vero e proprio disastro giudiziario con il rischio impellente della prescrizione per quasi tutti i reati. Ma, a questo punto, ciò che incuriosisce è stabilire se, in quello che è stato definito un processo monstre, abbiano sbagliato i giudici del primo grado a rigettare l’eccezione di incompetenza funzionale tempestivamente proposta dai difensori o se, di contro, i giudici della Corte di assise di appello si siano lasciati andare ad una applicazione troppo formalistica della norma di legge (summum ius, summa iniuria) trascurando la possibilità di diverse opzioni interpretative come, peraltro, alcune sentenze della Corte di cassazione avrebbero consentito di intravedere.

Ora, dinnanzi alla impossibilità di ricorrere per Cassazione contro la sentenza di annullamento dei giudici dell’appello, dovrà inevitabilmente attendersi la decisione del giudice dell’udienza preliminare lucano che, se lo riterrà, potrà sollevare un conflitto di competenza che è l’unico percorso processuale praticabile per investire della questione i giudici della legittimità. Ma il tutto richiederà, considerata la cronica lentezza della giustizia italiana, tempi molto lunghi che non aiuteranno, certamente, a lenire le ferite inflitte ai tarantini ai quali – e non solo a loro − rimarrà anche lo sconcerto per il clamoroso passo indietro e per i ritardi che ne deriveranno per imputati e parti offese (quelle vere).

Iris planifolia

(foto da http://www.gettyimages.com, A.N.S.A., S.D., archivio GrIG)

  1. settembre 17, 2024 alle 7:02 am

    “In tanti avevamo pensato di incominciare a intravedere una flebile luce in fondo al tunnel dei drammi tarantini nella conclusione del processo “Ambiente svenduto” avviato a seguito del sequestro degli impianti nel 2012.”

    Non abbiamo, al momento, altra scelta se non quella di continuare a sperare.Carlo Hendel

  2. Avatar di capitonegatto
    capitonegatto
    settembre 17, 2024 alle 12:59 PM

    Un presunto colpevole , deve essere giudicato secondo la colpa, e non deve avere eccezioni se e’ potente , in denaro o status . Ovviamente in casi complessi come i crimini ambientali, la preparazione dei giudici d’accusa e’ fondamentale , e questa deve prevalere sulle linee di difesa di parte , basate su cavilli e intendimenti procedurali. Questo dovrebbe bastare per non avere ripetizione infinita di processi che arrivano al liberi tutti….abbiamo scherzato. E se questo accade , pensiamo a quanti soldi sperperati , e quanta poca giustizia !!

  3. settembre 19, 2024 alle 2:40 PM

    da Italia Libera, 19 settembre 2024

    L’Ilva e Taranto dopo la sentenza annullata: la giustizia negata e la riconversione ecologica mancata. (Corrado Carrubba)

    L’acciaieria più grande d’Europa è il paradigma forse più crudo di come il progresso del XX secolo ha portato sviluppo e benessere, ma al prezzo incompreso, nascosto e a lungo taciuto di un disastro ambientale e sanitario tra i più gravi d’Italia e d’Europa. Una tragedia che ancora oggi lacera un territorio e la sua gente, storie di lavoro e vita ma anche di malattia e morte, che troppo a lungo sono state ignorate. L’azione giudiziaria avviata nel 2012 ha sbattuto in faccia all’Italia la tarda e definitiva epifania del lato oscuro del classico modello di sviluppo industrialista, su cui urgeva ed urge la transizione ecologica. Su Taranto lo Stato ci ha messo la faccia, rinunciando a una facile chiusura come accadde a Bagnoli e alla sua attuale, infinita, incompleta bonifica. Ma la giustizia, soprattutto penale, non sarà mai in grado di dare la risposta unica e definitiva: la verità giudiziaria, si sa, non sempre coincide con la verità storica, ammesso che in simili complesse vicende vi sia una sola verità. (https://italialibera.online/primo-piano/lilva-e-taranto-dopo-la-corte-dappello-la-giustizia-penale-negata-e-la-riconversione-ecologica-mancata/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_source_platform=mailpoet&utm_campaign=gli-ultimi-articoli-di-italia-libera-online)

    La giustizia penale non dà ancora giustizia a Taranto; questo il pensiero di tutti dopo l’annullamento della sentenza di primo grado del maxi processo Ambiente Svenduto venerdì della settimana scorsa (su cui per “Italia Libera” ha già scritto domenica 15 l’ex magistrato Nicolangelo Ghizzardi). Un pensiero purtroppo comune, aldilà delle diverse valutazioni sui tecnicismi processuali che hanno portato a questo risultato, un risultato che oggettivamente delude nuovamente la comunità tarantina e specularmente fa tirare un sospiro di sollievo agli imputati in quel processo, a chi lo merita e a chi no. Ma il processo penale ha le sue regole, e il doppio grado di giudizio e infine quello di legittimità hanno fisiologicamente il fine di correggere eventuali errori, o comunque di confrontare giudici diversi e diverse soluzioni sul medesimo aspetto.

    Taranto, la sua Ilva, il paradigma forse più crudo di come il progresso del XX secolo ha portato sviluppo e benessere, ma al prezzo incompreso, nascosto e a lungo taciuto di un disastro ambientale e sanitario tra i più gravi d’Italia e d’Europa. Una tragedia che ancora oggi lacera un territorio e la sua gente, storie di lavoro e vita ma anche di malattia e morte, che troppo a lungo sono state ignorate, sino a quando la situazione ormai incancrenitasi è divenuto oggetto di un’azione giudiziaria che, con i suoi limiti e meriti, ha comunque dal 2012 sbattuto in faccia all’Italia la tarda e definitiva epifania del lato oscuro del classico modello di sviluppo industrialista. Taranto come Priolo, Augusta, Genova, Casale Monferrato, Bagnoli, Seveso e molte altre cosiddette zone di sacrificio che la hanno preceduta.

    I numeri riassuntivi dell’Ilva aggiornati al 2021 (credit Repubblica)

    Ma la vicenda di Taranto è unica, solo a Taranto abbiamo assistito da dodici anni a una serie di tentativi di salvare l’ultimo polo siderurgico integrale italiano, pacificando l’industria con la terra che la ospita, dando un futuro che affondando le radici in quella gloriosa esperienza ma traendo esperienza dagli errori e insuccessi potesse guardare al futuro, coniugando economia, produzione, sviluppo giusto, ambiente, salute. Con sulle spalle una insolvenza accertata di miliardi di euro per migliaia di creditori, a cui oggi si aggiunge un altro miliardo e mezzo circa con altri creditori della nuova Amministrazione Straordinaria di Acciaierie d’Italia

    Un dato è comunque oggettivo: solo su Taranto lo Stato ci ha messo la faccia, rinunziando a una facile chiusura come accadde a Bagnoli e alla sua attuale, infinita, incompleta bonifica, al punto di utilizzare e creare strumenti straordinari e aprendo conflitti con la magistratura, tra di essa e la pubblica amministrazione, con tutto intorno decine, migliaia di altri attori spesso vittime, che poco hanno compreso e poco hanno potuto avere voce in capitolo in questa vicenda più grande di loro. Forse più grande di tutti.

    Taranto e la sua Ilva è stata per tutti, ma soprattutto per chi la ha vissuta e ancora la vive, la storia di un possibile, annunciato fallimento: troppe erano e sono le contraddizioni, le resistenze, i conflitti anche strumentali che la caratterizzano. Nonostante l’impegno di tanti che, pur di provare a correggere la rotta, hanno speso tempo e si sono assunti rischi e impopolarità.

    Abbiamo infatti assistito in in questi anni, aldilà della giusta utile e normale dialettica, a scontri e contrapposizioni manichee, spesso meschine e strumentali, tra attori grandi e piccoli, anche istituzionali: potere legislativo contro potere giudiziariogoverno centrale contro governi locali, sindacati e lavoratori contro altri sindacati e altri lavoratori, governi entranti contro governi uscenti, ministeri contro ministeri; una delle tipiche caratteristiche italiane, l’incapacità di fare squadra dinanzi a un tema gigantesco e di tutti, dare continuità a interventi di interesse nazionale aldilà della contingenza della politica e delle maggioranze. Un contesto da tifoserie contrapposte e organizzate, dove far valere le parole e le ragioni della verità, dell’equilibrio e della realtà è stato ed è difficilissimo. 

    Il prezzo più alto del disastro ambientale provocato dall’Ilva a Taranto è pagato dai bambini

    E quindi Taranto, l’Ilva con il suo maxi processo è stato per oltre un decennio ed è ancora il palcoscenico di una tragedia con tratti da commedia, con tutte le maschere tipiche del caso: il magistrato, il politico, il governatore, il sindaco, il ministro, l’avvocato, l’esperto e lo scienziato, il funzionario pubblico integerrimo o inquietante, il lavoratore, il contadino vessato e danneggiato, il cittadino scontento e avvelenato, i cittadini dolenti e partecipi con le loro associazioni, le associazioni prezzemolo, il giornalista e la giornalista, il voltagabbana, il politico locale, l’affarista e il lobbista. Lascio ai lettori il dare un nome o più nomi a questi personaggi, non è difficile. 

    A fonte di tutto ciò la giustizia soprattutto penale non sarà mai in grado di dare la risposta unica e definitiva, anche perché la verità giudiziaria non sempre coincide con la verità storica, ammesso che in simili complesse vicende vi sia una sola verità. Potrà ben punire qualche colpevole di fatti precisi, dare soddisfazione postuma, tardiva e inadeguata a qualche vittima o parente, ma non renderà essa o almeno essa sola giustizia a Taranto. In ogni caso e in attesa che sotto il cielo di Taranto i nuovi e vecchi attori riescano a dare un futuro e una speranza, una lezione forse l’abbiamo imparata o, meglio, ci è stata confermata: nulla è più difficile che governare la complessità e la transizione nonostante la passione e l’impegno spesso di pochi, e non a caso la complessità di fondo della vicenda tarantina è una complessità ecologica.

  4. Avatar di Paolo
    Paolo
  5. settembre 30, 2024 alle 10:11 PM

    dalla Rivista telematica di Diritto Ambientale Lexambiente, 24 settembre 2024

    Sentenza Ilva, una decisione discutibile: è solo casuale? (Gianfranco Amendola): https://www.lexambiente.it/index.php/materie/ambiente-in-genere/dottrina188/ambiente-in-genere-sentenza-ilva-una-decisione-discutibile-e-solo-casuale

  6. ottobre 17, 2024 alle 2:48 PM

    A.N.S.A., 17 ottobre 2024

    Gip Potenza firma sequestro ex Ilva ma produzione continua.

    Provvedimento disposto dopo trasferimento atti da Taranto. (https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2024/10/17/gip-potenza-firma-sequestro-ex-ilva-ma-produzione-continua_d499aac7-00a3-4e87-9ee4-e1252089a272.html)

    Il gip di Potenza Ida Iura ha emesso un nuovo decreto di sequestro degli impianti dell’area a caldo dell’ex Ilva, su richiesta della procura lucana, dopo la trasmissione degli atti della sezione distaccata di Taranto Corte d’Assise d’Appello che (il 13 settembre scorso) ha annullato la sentenza di primo grado del processo Ambiente Svenduto a carico di 37 imputati e tre società.

    Lo stabilimento di Taranto, grazie ai vari decreti salva-Ilva, potrà comunque continuare la sua attività.

    La notizia è riportata dalla Gazzetta del Mezzogiorno.
        L’atto è stato notificato nelle scorse ore ai commissari straordinari di Acciaierie d’Italia e Ilva in Amministrazione Straordinaria.

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