Marche, ottusi invasi idrici.


Foresta lungo il corso del Fiume Candigliano

Puntuale come l’estate, ecco riapparire l’ipotesi del grande invaso in montagna come “unica” soluzione alla “sete della provincia”.

Cerchiamo di capire come stanno le cose.

Nel corso dei decenni, un agricoltura con poche regole, molta assistenza e nessuno sguardo nel futuro ha inquinato pesantemente le grandi falde che si trovano nelle aree di pianura, nelle basse valli del Foglia e soprattutto del Metauro. Rendendo di fatto indisponibili tali falde.

Per risolvere il problema, la politica di allora ha fatto la cosa piu’ semplice: è andata prendere l’acqua dove c’era, ovvero in montagna, precisamente sul Nerone.

Senza alcuna cautela, si è provveduto a realizzare una imponente opera di captazione, a tappeto: praticamente è stata intubata tutta l’acqua del Nerone (specie quella del versante ovest), lasciando ai corsi d’acqua della zona solo le acque derivanti dalle precipitazioni. Il torrente Giordano (Cagli) e il Fiumicello (Apecchio) sono stati sostanzialmente annientati; il primo in particolare, ha acqua solo in brevi periodi invernali, per il resto è una pietraia.

Apecchio, torrente in ambito appenninico

E stiamo parlando di quella che era stata scelta dal Duca Federico di Urbino come sua riserva personale di pesca.

Non paghi, si è rivolto lo sguardo alle acque profonde che sottostanno alla catena carbonatica del Catria e del Nerone, aprendo un pozzo sulle rive del Burano.

Le inaspettate, forti e costanti proteste della popolazione locale hanno di fatto impedito che anche questa risorsa ambientale venisse “sequestrata”. 

I risultati di questa politica sono quelli che conosciamo: l’acqua sembra non  bastare mai.

 Eppure le concessioni agli stabilimenti di acque minerali vengono sostanzialmente “regalate”, con la sola contropartita dei posti di lavoro.

Ed inoltre nella nostra provincia vi è un numero sterminato di captazioni abusive, che nessuno controlla e sanziona. 

Ora, le stesse forze economico politiche (straordinariamente trasversali) che hanno condotto a questa situazione propongono la loro ricetta, che è sempre quella: prendiamo quel che c’è, fin che c’è. 

Nessun accenno alle perdite eccezionali delle nostre tubature che, guardacaso, equivalgono alla cubatura “dell’invaso in montagna” che si vorrebbe realizzare. Nessuna ipotesi di recupero delle immense falde di pianura, inquinate dai nitrati e per questo attualmente indisponibili.

Solo argomentazioni che sembrano ovvie solo ad una lettura estremamente superficiale, la solita ribollita, con dentro “Ridracoli”, i “cambiamenti climatici”, l’entroterra della provincia che ha sete (la  costa no).

acqua

Esaminando questi aspetti si svela invece che: Ridracoli è in una situazione radicalmente diversa ed ha a monte una foresta primaria che è patrimonio dell’Unesco la quale, oltre a fornire acqua, impedisce l’interramento del lago artificiale. Mentre l’alto Candigliano, ad esempio, avrebbe verosimilmente tempi di interramento brevissimi, come testimoniano altri bacini dell’Emilia Romagna, riempitisi di sedimenti in tempi record.

Per quanto riguarda i cambiamenti climatici, come può risultare credibile l’allagamento di una valle coperta di boschi, con l’inevitabile abbattimento ed eradicazione di centinaia di migliaia di alberi? Si propone  l’annientamento di uno dei tratti di territorio ed ecosistema meglio conservati di tutta la regione per “contrastare il cambiamento climatico”; ovvero si propone di progettare una catastrofe per migliorare l’ambiente. Chi ci puo’ credere?

Chi ci crederà in Europa?

Riccio (Erinaceus europaeus)

Infine la questione che la sete riguarda solo l’entroterra: qui siamo davvero alle comiche; con delle tubature decenti e senza che le montagne fossero già state depredate di ogni goccia d’acqua, gli “entraterricoli” non avrebbero alcun problema, potendo disporre dell’acqua dei loro monti. Insomma, “i signori del vapore” se la suonano e se la cantano da soli.

E qui diventa determinante il ruolo dei rappresentanti  piu’ diretti dei cittadini, gli amministratori locali, i sindaci. In passato, supinamente (o forse non se ne sono neanche resi conto) hanno accettato ogni espropriazione. Ora i tempi sono cambiati e devono rispondere a cittadini un po’ piu’ consapevoli di quello che accade.

Per giunta, quello che si prospetta sarebbe “l’ultimo esproprio”; dopo questo non rimarrebbe molto altro da prendere. Auguriamoci che non prendano per oro colato le parole di chi indica loro “l’interesse generale”, che non si facciano comprare con specchietti e perline colorate, che salvino una parte del territorio della quale, anche senza esserci mai stati, non si puo’ fare a meno.    

Gruppo Intervento Giuridico (GrIG) Marche  –  Guardie Giurate WWF Marche  –  La Lupus in Fabula

Appennino, Monte Nerone

(foto A.L.C., S.D., archivio GrIG)

  1. donatella
    luglio 5, 2021 alle 10:58 am

    Predoni dei beni comuni, ecco quello che sono, predatori senza scrupoli e senza capacità d’intendere altro che distruggere, veramente solo noi cittadini possiamo e dobbiamo prendere coscienza che l’ambiente e la natura va rispettata, solo questo permette la conservazione dei suoi beni vitali, questo è il vero bene comune

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