Il nuovo Rapporto annuale delle Nazioni Unite sull’interazione tra i diritti umani e l’ambiente.
Federico Esu è un giovane laureato in giurisprudenza con un master in diritto internazionale presso l’University College London e una collaborazione in corso con la cattedra di Diritto internazionale dell’Università degli Studi di Cagliari.
Ci ha inviato un interessante intervento relativo al nuovo Rapporto delle Nazioni Unite su diritti umani e ambiente, appena esitato dall’O.N.U.
Lo pubblichiamo molto volentieri.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
Il 10 Marzo 2014 è stato pubblicato il nuovo Rapporto delle Nazioni Unite sull’interazione tra i diritti umani e l’ambiente.[1]
Il Documento, che riporta il lavoro dell’esperto incaricato Prof. John H. Knox (Wake Forest University, North Carolina) ed è stato presentato dallo stesso al Comitato ONU sui Diritti Umani, analizza gli obblighi in materia di diritti umani che devono essere osservati dagli Stati e dagli altri attori non-statali per garantire un’ambiente sano, salutare, pulito e sostenibile.
Da più di quarant’anni (sin dalla prima Conferenza ONU sull’Ambiente Umano del 1972)[2] si susseguono importanti dibattiti in merito alla relazione esistente tra i diritti dell’uomo e l’ambiente. In particolar modo, tali dibattiti hanno cercato di dare risposta a due quesiti fondamentali: a) che natura ha il rapporto diritti umani-ambiente?; b) esiste (o dovrebbe essere riconosciuto), nella comunità internazionale, il diritto a vivere in un ambiente sano?
Oggi, dottrina e giurisprudenza (internazionali e nazionali) riconoscono gli effetti che l’ambiente produce sul godimento dei diritti umani. Tuttavia, il rapporto tra questi due ambiti è di tipo sinallagmatico. Ciò significa che, se da un lato è importante proteggere l’ambiente al fine di salvaguardare i diritti umani ad esso connessi, dall’altro è importante rispettare determinati diritti umani se si vuole salvaguardare l’ambiente.
Nonostante i grandi traguardi raggiunti negli anni, molti aspetti di questa relazione restano ancora sconosciuti o poco chiari. A tal proposito, parte del mandato affidato dall’ONU all’esperto era proprio quello di colmare tali lacune e fare maggiore chiarezza sul problema. Altra parte del mandato era quello di studiare le migliori pratiche (cosiddette good practices) adottate dagli Stati negli corso degli anni. Numerosi Stati (177 of the sui 193 stati membri dell’ONU) riconoscono, all’interno delle loro Costituzioni o attraverso decisioni giurisprudenziali o la ratifica di trattati internazionali, il diritto a vivere in un ambiente sano.[3] Molti altri Stati stanno ugualmente impiegando la normativa sui diritti umani per rafforzare i loro impegni ad avere una più forte politica ambientale. Sotto tale mandato, il Commissario doveva riportare le misure efficaci attuate da tali Stati e renderle pubbliche, in modo da fornire esempi chiari e importanti agli Stati in tal senso più “pigri”. Nell’adempiere al suo mandato, l’esperto ha compiuto una ricerca completa su quattro categorie di fonti: a) le istituzioni e i meccanismi sui diritti umani delle Nazioni Unite; b) i trattati internazionali sui diritti umani; c) i sistemi di protezione dei diritti umani di ambito regionale (intendendosi per regioni aree come l’Europa, il Sud-America, l’Africa etc…); d) e gli strumenti internazionali in materia ambientale.[4]
Passando al contenuto del Documento pubblicato, lo stesso identifica gli obblighi Statali di natura procedurale,[5] gli obblighi di natura sostanziale[6] e quelli diretti alla protezione dei membri dei gruppi più vulnerabili ai danni ambientali.[7]
Gli obblighi procedurali vincolano gli Stati a porre in essere valutazioni di impatto ambientale (V.I.A.), a rendere pubbliche le informazioni in materia ambientale, a facilitare la partecipazione nelle decisioni, e a garantire l’accesso ad appositi rimedi legali nelle ipotesi di danno ambientale. Gli Stati devono riconoscere e garantire libertà di espressione e la libertà di associazione degli individui e delle collettività interessate nonché proteggere la vita, la libertà e la sicurezza di chi esercita tali libertà; stessa tutela deve essere riconosciuta a diritti quali quello alla vita, ad un’abitazione, e alla salute. Inoltre, si legge nel Documento, tali diritti devono essere garantiti soprattutto nelle ipotesi in cui si intenda realizzare progetti su larga scala, tutte le informazioni relative ai quali devono essere rese pubbliche e accessibili (come sancito anche da strumenti internazionali quali la Dichiarazione di Rio, la Convenzione delle N.U. sui Cambiamenti Climatici, la Convenzione di Aarhus, etc … ).[8]
Quanto agli obblighi di natura sostanziale, il Rapporto mette in primo piano quello di adottare strumenti legislativi adeguati ed efficaci diretti a proteggere contro i danni ambientali in grado (questi ultimi) di limitare il godimento dei diritti umani. Inoltre, gli Stati sono esortati ad attenersi agli standard ambientali da essi stessi previsti all’interno della propria normativa nonché a proteggere contro danni ambientali prodotti da privati e soggetti terzi.[9] Il Documento menziona a tal proposito il diritto alla vita contro il rischio di disastri nucleari; il diritto a godere del più alto standard di salute fisica e mentale (quando minacciati dall’esposizione a rifiuti tossici, a radiazioni e ad agenti chimici pericolosi, o all’ inquinamento delle acque o quello da petrolio); il diritto ad un adeguato standard di vita quando minacciato in tutte le sue componenti essenziali. E poi ancora il diritto alla salute, all’acqua e al cibo – esposti anche a minacce derivanti da cambiamenti climatici e industrie estrattive.
Infine, il Documento analizza gli obblighi diretti alla protezione delle popolazioni e dei membri di quei gruppi che si trovano in situazioni di maggiore vulnerabilità. A tal proposito, viene ribadito, tra gli altri, l’obbligo degli Stati di non compiere nessuna discriminazione nei confronti di donne, bambini, e popolazioni indigene particolarmente esposti e sensibili agli effetti dei danni ambientali.
Nel rilevare che gli obblighi citati sono sufficientemente chiari per fornire agli Stati e a tutte le altre istituzioni la giusta direzione da seguire nella protezione dei diritti umani e dell’ambiente, e sebbene si testimonino importanti sviluppi normativi, il Documento registra ancora numerose violazioni – soprattutto nel tutelare coloro che a loro volta proteggono i “diritti umani-ambientali”.
Nelle conclusioni, il Rapporto pone l’accento su due aspetti, a mio parere molto importanti. Il primo riguarda la natura transfrontaliera di certi danni ambientali.[10] Appurato che l’ambiente non è qualcosa di limitato da specifici confini, ma transfrontaliero, gli sforzi per proteggere e tutelare l’ambiente non devono fermarsi entro confini nazionali. A tal proposito si legge che “non vi è ragione di liberare dalla responsabilità uno Stato per il semplice fatto che un danno ambientale è avvenuto oltre i suoi confini.”[11] Ovviamente questo non significa dimenticarsi dell’esistenza dei limiti nell’esercizio della sovranità e della giurisdizione di ciascuno Stato (e qui risiede la sfida più grande). Tuttavia, i confini non devono nemmeno servire come scusa per non agire. Per questo l’autore del Rapporto invita ad una maggiore cooperazione tra gli Stati per fronteggiare problemi di carattere globale e transfrontaliero.
Il secondo aspetto riguarda la contrapposizione tra sviluppo e protezione ambientale (e dei diritti umani connessi). Il Rapporto chiarisce che l’adempimento degli obblighi sopra menzionati non deve significare la cessazione di qualsiasi attività capace di causare degrado ambientale. Tuttavia, le autorità devono porre in essere un preventivo bilanciamento degli interessi in gioco e tale bilanciamento non deve risultare “irragionevole” e non deve provocare “ingiustificate e prevedibili violazioni dei diritti umani”.[12]
Si è sempre più d’accordo che il modo in cui noi trattiamo l’ambiente influenza, direttamente e indirettamente, il nostro godimento dei diritti umani. Oggi sussistono molti meno dubbi rispetto al passato circa l’esistenza di un tale nesso tra ambiente e diritti umani e sono stati compiuti grandi passi avanti. Tuttavia, ancora molto deve essere fatto e, come si legge alla fine del Rapporto, è necessario che gli Stati prendano in considerazione gli obblighi riguardanti i diritti umani nello sviluppo e nell’attuazione delle loro politiche ambientali.
(foto da http://www.salvaleforeste.it, S.L., P.F., S.D., archivio GrIG)
[3]http://www.environmentmagazine.org/Archives/Back%20Issues/2012/July-August%202012/constitutional-rights-full.html
[4] Paragrafo (9)
[5] Paragrafi (29) – (43)
[6] Paragrafi (44) – (68)
[7] Paragrafi (69) – (78)
[8] La Banca Mondiale, ad esempio, finanzia soltanto progetti che risultino sicuri e sostenibili per l’ambiente.
[9] The Guiding Principles on Business and Human Rights, adottati dal Consiglio sui Diritti Umani nel 2011 è uno strumento di soft-law contenente una serie di principi e obblighi per gli Stati atti a prevenire, evitare, reprimere – e proteggere contro – eventuali abusi dei diritti umani perpetrati da parte di soggetti terzi e multinazionali nell’esercizio delle attività d’impresa.
[10] Paragrafo (63)
[11] Ibis.
[12] Paragrafi (53) e (80)
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