Come la “transizione ecologica” dimentica i parchi nazionali.

Fra le tante cose importanti di sua competenza di cui si dimentica il Ministro per la Transizione Ecologica Roberto Cingolani c’è sicuramente un’efficace politica di rilancio dei parchi nazionali.
Finora i parchi nazionali – così come tutte le aree naturali protette in generale – sono stati ben poco sostenuti, non solo finanziariamente, nonostante il grande contributo per la salvaguardia della natura e l’equilibrata crescita economico-sociale in Italia.
Ce ne parla Giorgio Boscagli, su Italia libera.
Gruppo d’Intervento Giuridico odv
da Italia Libera, 25 settembre 2021
Tutela della natura nel fu Bel Paese: Parchi nazionali senza direttori e furberie italiche. (Giorgio Boscagli, Società italiana per la Storia della fauna)
Otto Parchi su ventiquattro hanno dimenticato da due lustri che sono privi di una gamba. Con super-spot televisivi, il governo annuncia ora cinquecento assunzioni di laureati da impiegare nel Pnrr: economisti, giuristi, ingegneri, statistici, matematici e informatici. Dove stanno i biologi, i naturalisti, i geologi, i veterinari, i botanici, gli zoologi, i laureati in Scienze Ambientali e quelli in Scienze Forestali? Per competenze professionali dovrebbero essere loro il motore dei parchi, compresi i direttori. Eppure i cinquecento super specialisti dovrebbero occuparsi di tutela della natura e transizione ecologica. Mancano solo gli esperti di infissi in alluminio.
In realtà abbiamo già scritto, diverso tempo fa, per “Italia Libera” di questo argomento, o almeno su criteri, modalità di nomina e profili qualitativi di Presidenti e Direttori dei Parchi nazionali. Ma ci torniamo su perché sembra che non ci sia peggior sordo di chi non vuole ascoltare. Quanti sono i Parchi nazionali italiani? Venticinque? Ventisei? Ventisette? Ventotto? In realtà 24 perché Gennargentu, Delta del Po, Costa Teatina e Matese, per ragioni diverse (ma tutte riconducibili a un perverso senso dell’autonomia), finora sono chiacchiere, ovvero “parchi nazionali di carta”. Già questo la dice lunga sulla serietà e attenzione con cui le infinite compagini governative che si sono succedute negli ultimi trent’anni hanno tenuto in considerazione i cosiddetti gioielli del Paese. Perché proprio trent’anni? Bene, perché quest’anno — il prossimo 6 dicembre — ricorre il trentesimo anniversario dell’approvazione della 394/91 “Legge Quadro sulle Aree Protette”. Lo strumento fondamentale per ragionare sull’argomento Parchi: strumento aggirato, inapplicato, interpretato cicero pro domo propria. Talvolta usato pure come foglia di fico.
Cosa vi aspettereste da un Governo, che della cosiddetta transizione ecologica dice di voler fare il «cavallo di battaglia all’interno di un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)», per celebrare questa ricorrenza trentennale? Un colpo di reni del ministero per la Transizione Ecologica (Ambiente, cari amici, si dovrebbe chiamare Ambiente! Punto e basta) per mettere in piena operatività tutti i famosi “gioielli del Paese” che chiamiamo Parchi nazionali? Manco per idea! Questa è la situazione ad oggi, mentre scriviamo: Parchi nazionali del Gargano, della Majella, dell’Appennino Lucano-Val d’Agri-Lagonegrese, della Valgrande, del Circeo, dell’Aspromonte, delle Dolomiti Bellunesi, della Sila….(otto su ventiquattro) e ministero… forse hanno dimenticato che c’è bisogno di Direttori nominati a termini di legge? In un paio di casi da quasi due lustri! O forse qualcuno pensa che è meglio avere direttori… poco direttori (ovvero malleabili?)? Diceva il divo Giulio che a pensar male si fa peccato ma di solito ci si azzecca!
Nel frattempo però ci si adopera alacremente con super-spot televisivi del governo per cinquecento (500!) assunzioni di laureati da impiegare nel Pnrr: economisti, giuristi, ingegneri, statistici, matematici e informatici …Accidenti! Ma dove stanno i biologi, i naturalisti, i geologi, i veterinari, i botanici, gli zoologi, i laureati in Scienze Ambientali e quelli in Scienze Forestali? Cioè quelli che per competenze professionali dovrebbero essere il motore dei parchi, compresi i direttori? E meno male che i cinquecento super specialisti dovrebbero occuparsi di tutela della Natura e transizione ecologica! Mancano solo gli esperti di infissi in alluminio. Evviva l’Italia!
Un Direttore Facente Funzioni — specie animale sempre più diffusa — è sicuramente molto più manovrabile, condizionabile, se necessario rimuovibile, piuttosto che non un direttore nel pieno dei suoi poteri. Che di norma — i poteri — dovrebbero (?) essere quelli del garante dell’aderenza fra operato del Parco e missione istituzionale (conservazione della Natura innanzitutto). Ma di questo si sono accorti presidenti e consiglieri (fra i quali quelli dotati di curriculum adeguato al ruolo sono da cercare “col lanternino”). Soggetti diffusamente distribuiti che evidentemente ritengono più opportuno non avere tra i piedi direttori rompiscatole e difficilmente rimuovibili (ma qualche presidente molto abile — leggasi Parco nazionale del Gargano — è riuscito anche in questo).
Allora che si fa? L’italica furbizia soccorre in questi casi: si adotta la tattica delle orecchie da mercante (leggasi, per esempio, Majella, dove manca un direttore pienamente legale dal 2013). Tradotta in parole povere, la tattica significa far finta che le (blandissime) sollecitazioni del ministero (ex) Ambiente a procedere alla designazione delle terne di candidati (fra i quali il ministro dovrebbe scegliere secondo norma) possano essere utilizzate quali… utili provviste di carta igienica. Pio desiderio e debole speranza: ma quand’è che verrà commissariato pure il ministero?
da Italia Libera, 8 aprile 2021
Dalle aree protette ai “parchi da bere”, dai generali d’assalto alle mezzemaniche. (Giorgio Boscagli, Società italiana per la Storia della fauna)
I primi presidenti dei parchi avevano profili autorevoli in campo scientifico o una storia nell’impegno per la conservazione; i direttori venivano selezionati da un ristretto e qualificato Elenco nazionale degli idonei, provenienti dalle professionalità naturalistiche. Via via, la politica si è accorta che i Parchi erano enti pubblici e i due ruoli istituzionali preminenti potevano essere appetibili posti di potere. Ci trovavamo già nella decantata, cosiddetta “seconda Repubblica”: altri spazi da conquistare. Curriculum: chi è costui? Il risultato oggi è sotto gli occhi di tutti: riciclaggio del sottobosco politico e amministrativo.
Chi sono, o meglio cosa dovrebbero essere e fare, un presidente e un direttore di un Parco? Parliamo di due figure così apparentemente determinanti per la vita di un’area protetta. Avendo praticato parchi e riserve naturali per tanti anni (più o meno quarantacinque) − e con tanti ruoli (funzionario-ispettore, direttore, biologo-ricercatore, consulente, consigliere d’amministrazione) −, mi permetto l’immodestia di valutare “a pelle” quello che ho visto, quello che vedo e quello che temo di continuare a vedere.
In realtà le due figure (presidenti e direttori) meriterebbero trattazione separata, proprio perché separati e distinti sono – o dovrebbero essere – i loro ruoli. Ma dopo l’approvazione della eccellente e futuristica Legge Quadro sulle Aree Protette (L. 394/91) abbiamo in realtà assistito a una progressiva “erosione dei contorni”. Una lenta e fumosa sovrapposizione del “chi fa cosa”, che certamente non ha aiutato le Aree Protette a perseguire la loro missione istituzionale prioritaria, ovvero la conservazione della Natura. E neppure a rendere chiaro ai portatori di interessi (locali e non) a chi ci si dovesse rivolgere per proporre argomenti o affrontare le problematiche connesse alla gestione di un parco o riserva naturale. In sostanza uno strisciante sberleffo alla tanto decantata separazione tra ruoli gestionali e ruoli politici (qualcuno ricorda il rimpianto Bassanini?). È per questo che, almeno in questa sede, provo a tratteggiare le due figure in un’unica riflessione.
Quali profili? I primi presidenti e direttori degli anni ‘90, designati e nominati con procedure del tutto diverse tra loro e definite dalla già citata Legge Quadro, furono senz’altro aderenti a quello che ci si potrebbe immaginare (e che era nello spirito della legge). Bene o male tenendo come riferimento lo standard delle figure che avevano presieduto/diretto i (pochissimi) Enti Parco Autonomi già esistenti (Abruzzo e Gran Paradiso). Presidenti: profili autorevoli in campo scientifico e/o che avevano una storia nel mondo e nell’impegno per la conservazione; talvolta pure provenienti da quella Politica (con la “P” maiuscola) che, meritoriamente, da anni cercava di portare alla luce i temi “ambiente & natura”. Direttori: selezionati da un ristretto e qualificato Elenco nazionale degli Idonei. Generalmente provenienti dall’area delle ampie competenze e professionalità naturalistiche. Sia reso onore al ministro Valdo Spini.
Sembrò che, una volta tanto, la prassi (qualità delle selezioni) seguisse una buona teoria (lo spirito della 394/91). Poi, via via, la politica (stavolta con la “p” minuscola) si è accorta che i Parchi erano enti pubblici! Quindi non solo effervescenti congreghe di ambientalisti d’assalto come, con percepibile fastidio, in precedenza erano stati considerati i parchi storici. I due ruoli istituzionali preminenti potevano quindi costituire appetibili posti di potere. Sarà un caso…., ma ci trovavamo già nella decantata, cosiddetta “seconda Repubblica”. Spazi da conquistare. Parafrasando, “parchi da bere”. Figure possibilmente organiche, simpatizzanti o contigue a questo o quel partito. Magari con qualche verniciatina di pseudo-ambientalismo per salvare la faccia, ma sensibili ai “suggerimenti” e refrattari a mettere i bastoni fra le ruote alle Giunte regionali di turno. Cosa quest’ultima, volendo perseguire la missione istituzionale, assai difficile e conflittuale in un Paese dove la speculazione edilizia, il piccolo abusivismo, il taglio boschivo e la pesca commerciale (imperando “prima l’economia”), gli obbligatori conti con la potente lobby venatoria e quella dell’impiantistica “di risalita”, il consenso elettorale pesato col bilancino… la fanno da padrone.
Abbiamo così assistito qua e là (presidenti) al riciclaggio di figure che – così è sembrato – non si sapeva più bene dove collocare. Titoli? Ex-parlamentare di…., oppure responsabile provinciale/regionale di questo o quel partito… e ancora …ex-assessore a… oppure già-presidente della Comunità Montana di…..! Ma anche alla latitanza nelle nomine di direttori a termini di legge, in casi paradossali per anni e anni (emblematici il Parco della Majella, quello dell’Appennino Lucano, il Gargano, ma potremmo allargarci) – con varie escamotage procedurali talvolta assurte all’onore dei tribunali – per evitare che ne capitasse malauguratamente qualcuno troppo ligio al dovere. Curriculum… chi è costui? Qualche eccezione “per il rotto della cuffia”. Perché accade? I direttori – figure in grado di condizionare fortemente gli indirizzi operativi dei parchi – li nomina il ministro (almeno quelli dei parchi nazionali) che non sempre è disposto ad ascoltare le più o meno delicate sollecitazioni in favore di un direttore addomesticato o addomesticabile! Ma in vari casi il ministro di turno…non c’era o se c’era …dormiva (con la testa opportunamente sotto al cuscino). Ultimamente qualche timida resipiscenza c’è stata (meglio tardi che mai).
Sui criteri di selezione della governance nei parchi regionali stendiamo ampi e pietosi veli. Un esempio (uno per molti) straziante? Il Parco Regionale Sirente-Velino (che diressi dal 1995 al 2000. Testardamente da biologo-ambientalista… pagandone le conseguenze) nella Regione Abruzzo. Un Parco reduce da presidenze… di cui sopra, attualmente commissariato da anni, senza direttore da illo tempore, con personale e risorse pari a un decimo del necessario e – ciliegina sulla torta – i cui confini sono da sempre una fisarmonica al servizio dei pruriti elettorali dei Governatori abruzzesi. Perenne valvola di decompressione/mercanteggiamento fra le Giunte regionali (tutte) susseguite dall’epoca della istituzione (1989) e le policrome e ondivaghe Amministrazioni comunali. Tutte col pesante fiato sul collo delle lobby venatorie e sciistiche locali (che votano!). Un paradigma di come si riesce a trasformare il proprio, unico, Parco Regionale in foglia di fico, sulla quale però sfavilla la coccarda di “Regione Verde d’Europa”.
Ma… e il preziosissimo orso bruno marsicano? E la tutela dei corridoi ecologici con adesione dell’Abruzzo al progetto “Patom” (nato per la tutela dell’orso)? Vattelapesca.
Sono profondamente laico, ma siamo ancora in clima pasquale e sento echeggiare… Agnus Dei qui tollit peccata mundi dona nobis pacem… Amen.

(foto archivio Parco nazionale della Maiella – A. Antonucci, S.D., archivio GrIG)
A parte il fatto che nella cartina compare in arancione il Parco nazionale del Gennargentu che scellerate decisioni hanno fatto fallire e di cui oggi tutti i Sardi e non ne stanno pagando le conseguenze per un uso di quel territorio esclusivamente “produttivo” ovvero ridotto a mostarne la bellezza ed il livello di wilderness (natura selvaggia) ormai solo su cartolina giacchè le azioni coordinate per la sua conservazione e protezione nella sua essenza sono divenute secondarie all’uso per esempio di quad ed attrazioni turistiche varie finanche in foreste demaniali, mi sa che il PNRR sia davvero la foglia di fico per procedere alla spallata finale alla natura in Italia (Sardegna compresa).
Un conto sono i parchi nazionali con le responsabilità dirette del Governo ed un altro le aree protette di competenza regionale; in quest’ultimo caso segnalerei il totale fallimento della politica dei parchi in Umbria, ove la Regione ha ripreso le funzioni di gestione dopo la chiusura delle Comunità Montane cui le aveva affidate. Non conosco le altre situazioni regionali, ma l’Umbria cuore verde d’Italia ha perso un’occasione!
La cartina non riporta il perimetro della Riserva Naturale di Monte Rufeno (Comune di Acquapendente, Provincia di Viterbo, nel Lazio) e forse di altre aree protette. Almeno così mi sembra.
la carta delle aree naturali protette è stata realizzata da Federparchi e aggiornata nel 2015.
Il parco nazionale del Gennargentu è formalmente istituito, ma “sospeso” dal 1998, nell’articolo è scritto.