L’UE alla vigilia della conferenza ONU sul clima a Parigi.


albero e neve

albero e neve

Marco Siddi è un giovane ricercatore e si occupa di problematiche ambientali, con particolare riferimento ai cambiamenti climatici. Ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Politiche alle Università di Edimburgo e Colonia, master in Studi Internazionali all’Accademia Diplomatica di Vienna e laurea all’Università di Oxford. Attualmente è ricercatore presso il CRENoS a Cagliari e ricercatore associato all’Istituto di Politiche Europee a Berlino.

Ecco un suo intervento concernente le politiche europee sul clima alle porte della conferenza internazionale promossa dall’O.N.U. per il 2015.   

Lo pubblichiamo volentieri.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

 

albero in autunno

albero in autunno

Il 2015 sarà un anno di estrema importanza per le politiche globali che mirano a porre un freno al cambiamento climatico. Alla conferenza della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si svolgerà a Parigi a novembre, i leader mondiali dovrebbero accordarsi sugli obiettivi per la riduzione delle emissioni di gas serra. Dopo il fallimento delle conferenze precedenti – in particolare quella del 2009 a Copenhagen, dove i leader europei avevano cercato invano di coinvolgere gli altri paesi industrializzati ad accettare riduzioni vincolanti – il summit di Parigi sembra quasi un’ultima spiaggia per contrastare il riscaldamento globale.

Come sottolineato dal recente rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (il gruppo intergovernativo di esperti dell’ONU sul cambiamento climatico), se non verrà raggiunto un accordo per la riduzione dei gas serra, le temperature globali potrebbero aumentare fino ad un massimo di 7,8°C entro il 2100. Un tale aumento cambierebbe radicalmente la geografia fisica e socio-economica del pianeta. L’innalzamento del livello degli oceani cancellerebbe interi paesi; desertificazione, scarsità d’acqua e di cibo causerebbero catastrofi umanitarie ed economiche. Dinanzi a una prospettiva così disastrosa, i leader dei paesi sviluppati sono chiamati a guidare la transizione verso la low-carbon economy, ovvero un’economia fondata su un sistema di produzione e consumi a basso contenuto di carbonio. In particolare, dovranno stilare obiettivi ambiziosi per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e scadenze chiare e vincolanti per raggiungere tali obiettivi. La conferenza di Parigi potrà avere un esito positivo solo se verrà raggiunto un accordo su questi due elementi.

A causa del loro maggiore peso sull’inquinamento atmosferico – sia su base storica che attuale – le principali responsabilità a Parigi ricadranno sui paesi industrializzati. Oltre a impegnarsi a limitare le loro emissioni di CO₂ in tempi brevi, essi dovranno offrire trasferimenti di tecnologia e finanziamenti ai paesi in via di sviluppo, per consentire a questi ultimi di limitare le emissioni senza ricadute negative sulla loro già precaria economia. Oltre che necessari per contrastare su scala globale il cambiamento climatico, tali trasferimenti sono un obbligo morale per stati che hanno storicamente costruito le loro fortune su un’economia ad alto consumo di combustibili fossili, contribuendo molto più dei paesi in via di sviluppo al riscaldamento del pianeta. Gli stati industrializzati hanno dunque un ‘debito climatico’ nei confronti di quelli più poveri, la maggior parte dei quali si trovano in aree pesantemente danneggiate dal cambiamento del clima (Africa sub-sahariana, Asia meridionale).fumi industriali

Lo scorso ottobre, i leader dell’Unione Europea hanno raggiunto un accordo sui target climatici ed energetici della UE per il 2030. Il ‘pacchetto clima-energia 2030’, come viene riassuntivamente chiamato l’insieme dei target, è il biglietto da visita con cui l’Unione Europea si presenterà alla conferenza di Parigi l’anno prossimo, con l’obiettivo di persuadere gli altri paesi industrializzati a ridurre le emissioni di CO₂. Esso prevede una riduzione delle emissioni di anidride carbonica del 40% rispetto al 1990, la produzione di almeno il 27% dell’energia da fonti rinnovabili e un aumento dell’efficienza energetica del 27%. I leader europei hanno affermato che i target sono ambiziosi e che rafforzeranno la posizione dell’Unione in vista del summit di Parigi. Tuttavia, ad una più attenta analisi, questo ottimismo appare ingiustificato.

Solo l’obiettivo riguardante la riduzione delle emissioni di CO₂ è stato ulteriormente suddiviso in target vincolanti a livello nazionale. L’obiettivo riguardante le energie rinnovabili è vincolante solo a livello UE e non è chiaro come verrà tradotto in target vincolanti per ciascuno stato membro. Inoltre, il target per l’efficienza energetica non è vincolante e gli stati membri potranno ignorarlo senza rischiare sanzioni. Se si osservano i numeri, nessuno degli obiettivi del pacchetto 2030 sembra particolarmente ambizioso. Come evidenziato da uno studio dell’Istituto di Studi Energetici dell’Università di Oxford, l’Unione Europea riuscirebbe a tagliare le sue emissioni di  CO₂ del 32% entro il 2030 semplicemente lasciando in atto le politiche attuali, senza ulteriori sforzi. Per questo, associazioni ambientaliste come Friends of the Earth (Amici della Terra) sostengono che il target del 40% è troppo basso e che l’Unione dovrebbe puntare ad un obiettivo ben più ambizioso, intorno al 60%. Allo stesso modo, il target del 27% per le rinnovabili non è un passo avanti significativo, né rispetto a quello del 20% già stabilito per il 2020, né in rapporto alla produzione energetica attuale derivante dalle rinnovabili (intorno al 14% del totale).

Puntare su target più alti avrebbe prodotto benefici anche a livello strategico e geopolitico per la UE, contribuendo a ridurre la dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili dalla Russia – una delle preoccupazioni principali per Bruxelles nel contesto della crisi ucraina. L’aspetto forse più controverso dei recenti accordi a livello europeo riguarda la necessità di un voto unanime di tutti i 28 paesi membri per l’introduzione di nuove leggi in materia di politiche climatiche ed energetiche. Questo significa che stati come il Regno Unito e la Polonia, che si sono strenuamente opposti a obiettivi più ambiziosi e vincolanti per le energie rinnovabili e l’efficienza energetica, avranno diritto di veto sulla nuova legislazione.

Trieste, la "ferriera" di Servola dal mare

Trieste, la “ferriera” di Servola dal mare

Dopo aver avuto un ruolo di primo piano, per quasi due decenni, nelle politiche globali volte a contrastare il cambiamento climatico, la UE ora rischia di essere relegata ad un ruolo marginale. Alla conferenza ONU sul clima a Copenaghen, nel 2009, i diplomatici cinesi e statunitensi decisero l’esito del summit in negoziati bilaterali, ignorando la posizione europea. Gli ultimi eventi sembrano indicare che lo stesso scenario potrebbe ripetersi alla conferenza di Parigi. A metà novembre 2014, durante il summit della Cooperazione Economica Asiatico-Pacifica (APEC), USA e Cina hanno raggiunto un accordo in materia di politiche climatiche in vista del summit di Parigi. Per la prima volta dagli anni ’90, gli Stati Uniti si impegneranno a ridurre le emissioni di CO₂ (del 26-28%, rispetto ai livelli del 2005, entro il 2025). Obama ha persuaso la Cina – il principale produttore globale di CO₂ – a ridurre le proprie emissioni a partire dal 2030. La Cina si è anche impegnata a coprire il 20% del suo consumo energetico da fonti non fossili (rinnovabili e nucleare) entro il 2030.

Alla luce di questi sviluppi, l’Unione Europea può mantenere un ruolo di primo piano nelle politiche climatiche globali solo se si impegna a raggiungere target più ambiziosi di quelli annunciati nel pacchetto 2030. Un impegno più lungimirante rafforzerebbe la posizione negoziale dell’Unione al summit di Parigi, dove i leader europei dovrebbero provare a persuadere i loro colleghi americani e cinesi ad accettare in maniera vincolante sia gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO₂, sia i trasferimenti di tecnologia e i finanziamenti per le politiche climatiche nei paesi in via di sviluppo.

Marco Siddi

 

 

(foto A.N.S.A., da mailing list ecologista, E.R., archivio GrIG)

  1. novembre 29, 2015 alle 6:14 PM

    è iniziata.

    A.N.S.A., 29 novembre 2015
    Parigi: Tensione polizia-manifestanti per conferenza clima, cariche e cinquanta fermati.
    Leggi speciali e massima allerta per il vertice sul clima ma non solo. E’ ancora caccia a Salah che però potrebbe aver raggiunto la Siria: http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2015/11/27/parigi-blindata-150-leader-per-il-vertice-sul-clima_5a4a08fa-7de3-416f-9f5d-00ec6a9e6b85.html

    _____________________________________________________________

    da Il Corriere della Sera, 29 novembre 2015
    Clima: tensioni alla manifestazione a Parigi, polizia usa lacrimogeni.
    A Place de la Republique manifestanti sono scesi in piazza, sfidando i divieti decretati dopo gli attacchi terroristici. Scontri con le forze dell’ordine, distrutti gli omaggi alle vittime degli attentati del 13 novembre. 100 gli arresti: http://www.corriere.it/ambiente/15_novembre_29/clima-spianata-scarpe-parigi-marce-ed-eventi-resto-mondo-01371a24-9689-11e5-bb63-4b762073c21f.shtml

    _________________________________________________________________

    da Il Fatto Quotidiano, 29 novembre 2015
    Cop21 a Parigi, disordini a Place de la Republique. Marcia vietata: lancio di sassi e cariche della polizia: http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/11/29/vertice-sul-clima-manifestazioni-vietate-a-parigi-place-de-la-republique-invasa-da-migliaia-di-scarpe-foto/2262382/1/#foto

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