Chi fa la bonifica dei siti inquinati? E chi controlla?


Assemini, Macchiareddu, cartello sequestro aree Fluorsid (2017)

L’I.S.P.R.A. ha recentemente ricordato che in Italia vi sono ben 149 mila ettari complessivi nei 37 mila siti inquinati da rifiuti da bonificare.

La bonifica ambientale dei siti d’interesse nazionale (SIN) procede lentamente e in modo disorganizzato, purtroppo, mentre sono numerose le pronunce giurisprudenziali che dispongono pesanti condanne e obblighi di bonifica ambientale ai danni dei responsabili di scarichi illeciti di rifiuti e discariche abusive, nonché roghi di rifiuti.

Eppure accade anche che gli obblighi di bonifica ambientale stabiliti in sentenze passate in giudicato vengano disattesi, per quali motivi?

Perché i controlli ambientali sono scarsi?

Ne parla  Gianfranco Amendola, magistrato in quiescenza, uno dei padri del diritto ambientale in Italia.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Cagliari, S. S. n. 554, campo nomadi abusivo, incendio di rifiuti (6 novembre 2016)

da Italia Libera, 17 settembre 2025

La “Terra dei Fuochi” e le altre migliaia di discariche abusive: pene più severe per chi inquina. Ma i controlli chi li fa?

Secondo l’Ispra (Istituto per la protezione dell’ambiente) in Italia ci sono 37.000 siti contaminati da rifiuti (circa 149.000 ettari) in attesa di bonifica. Cassazione e Consiglio di Stato emettono sentenze molto severe per fermare lo scempio del territorio e degli ecosistemi da parte dei gestori delle discariche e di una pubblica amministrazione distratta o inerte. Ma, senza il personale di controllo numericamente e professionalmente adeguato all’ampiezza del fenomeno, servirà poco l’aumento delle pene(Gianfranco Amendola)

Recentemente l’Ispra (Istituto per la protezione dell’ambiente) ha reso noto che nel nostro paese ci sono 37.000 siti contaminati da rifiuti (circa 149.000 ettari) in attesa di bonifica. Siamo, insomma, il paese delle discariche abusive come, del resto, riconosciuto più volte anche dalla giurisprudenza comunitaria, e non solo per la “Terra dei Fuochi”. Vale la pena, quindi, di evidenziare che questa estate ha portato qualche novità in proposito. A livello normativo è in attesa di conversione (quindi, per ora non è definitivo) il decreto legge 8 agosto 2025, n. 116 con disposizioni urgenti per il contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti, e per la bonifica dell’area denominata “Terra dei Fuochi”, il quale inasprisce in modo rilevante le sanzioni per chi viola la normativa sui rifiuti, prevedendo in particolare per le discariche abusive la pena della reclusione da 1 a 5 anni con aumenti di pena se vi sono anche rifiuti pericolosi ovvero quando ne derivi pericolo per la salute, per l’ambiente, per l’ecosistema o se realizzate su siti contaminati. 

Roma, Palazzo Spada, sede del Consiglio di Stato

E non sono mancate sentenze che hanno anche esse ribadito la linea dura verso i gestori di discariche abusive. La Cassazione (Sez. 3, 7 agosto 2025, n. 29231) ha confermato che il concetto di gestione di una discarica abusiva deve essere inteso in senso ampio, comprensivo di qualsiasi contributo, sia attivo che passivo, diretto a realizzare od anche semplicemente a tollerare e mantenere il grave stato del fatto-reato, strutturalmente permanente, e, di conseguenza devono ritenersi sanzionate non solo le condotte di iniziale trasformazione di un sito a luogo adibito a discarica, ma anche tutte quelle che contribuiscano a mantenere tali, nel corso del tempo, le condizioni del sito stesso, con possibile coinvolgimento, quindi, non solo del proprietario del terreno ma anche di altri soggetti inclusi quelli della Pubblica amministrazione che avevano l’obbligo di intervenire; e con la confisca dell’area in caso di condanna. 

Nello stesso tempo, il Consiglio di Stato (Sez. IV n. 6166 del 14 luglio 2025) ha anche esso confermato con chiarezza che il proprietario del terreno è responsabile non solo quando contribuisce alla discarica in modo attivo ma anche quando si disinteressi del fondo omettendo di adottare le cautele necessarie ad evitare che siano accumulati rifiuti; e cioè omettendo quei doverosi controlli che – soli – potrebbero distogliere o impedire terzi soggetti dal compiere le condotte sanzionate dalla norma, tra cui quelle di deposito incontrollato e di abbandono per le quali è causa. Né – ha aggiunto la Suprema Corte (Sez. 3, 28 luglio 2025, n. 27671) – si può escludere per causa di forza maggiore la responsabilità penale dell’imputato a causa delle difficoltà di gestione dell’azienda in quanto dovuta alla carenza di personale, in quanto la forza maggiore è configurabile solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, il quale non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.

Insomma, sta sicuramente avanzando la convinzione che l’inquinamento dei terreni da rifiuti è un fatto grave da colpire con severità a tutti i livelli e che nessuno può restare inerte ad assistere a questi scempi. Tuttavia, come sempre, resta il problema dei controlli che oggi, specie dopo tutte le modifiche legislative di settore, richiedono un personale numericamente e professionalmente adeguato all’ampiezza del fenomeno. E se mancano i controlli serve poco aumentare le pene.

Roma, Corte di cassazione

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

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