Piani sciistici sull’Appennino, piani scempi ambientali.

Tra due liti d’Italia surgon sassi,
e non molto distanti dalla tua Patria,
tanto che’ troni assai suonan più bassi,
e fanno un gibbo che si chiama Catria,
di sotto al quale è consacrato un eremo,
che suole essere disposto a sola latria (Dante, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXI).

La migliore presentazione del Monte Catria è quella del sommo poeta, che soggiorno’ durante il suo esilio presso l’Eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, uno dei monasteri più celebri d’Italia e comunque per molti aspetti il più importante centro monastico delle Marche.
Il Monte Catria ha la vetta maggiore a 1702 msm. e la seconda per altezza è il Monte Acuto, che raggiunge i 1666 msm.
Fa parte della catena del Catria e del Nerone, il primo (o l’ultimo, dipende dal punto di vista) allineamento calcareo dell’Appennino centrale, l’area nella quale, alle arenarie e marne dell’Appennino tosco romagnolo, si sostituiscono i calcari mesozoici umbro marchigiani.

La dorsale è intensamente interessata dal carsismo (sul solo Monte Nerone sono censite oltre 260 caverne) e, in dissonanza con il resto della dorsale umbro-marchigiana, è praticamente coperta di boschi. Da quasi 50 anni si parla di Parco Regionale (vi sono ponderosi studi in proposito) e recentemente di Parco Nazionale. Ma non se n’è mai fatto di nulla, soprattutto per l’opposizione del mondo venatorio.
Dagli anni ’60, esistono sulla dorsale due piccoli impianti sciiistici, uno sul Catria e uno sul Nerone, che potremmo considerare parte del “gruppo locale”, che comprende quindi anche quelli del Monte Carpegna (1400 msm), del Monte Falco/Falterona (1658 msm). e del Monte Fumaiolo (1405 msm). Nei fatti, questi piccoli impianti sono riservati soprattutto all’utenza locale.
Sono collocati in genere a quote di 1200, 1400 mt.
Il mare è sull’orizzonte ed è evidente, dalle quote e ad un primo sguardo, che non vi è alcuno dei presupposti che possano far pensare allo sviluppo dell’attività sciistica su queste montagne.
Le bufere invernali (sempre meno frequenti) possono anche depositare al suolo molta neve, ma questa viene sciolta in una manciata di ore dall’inevitabile sopraggiungere dei venti meridionali, della nebbia e della pioggia battente. In sostanza, le caratteristiche metereologiche del Monte Catria non consentono alcun genere di programmazione: non settimane bianche, neppure dei “fine settimana bianchi” e neanche delle singole giornate sciabili.
La neve va e viene, c’è spesso nebbia e piove, bisogna cogliere il momento. Anche nelle stagioni migliori i giorni utili sono pochissimi.
E’ quindi impensabile che l’attività possa coprire, anche solo in parte, le spese di realizzazione e di esercizio degli impianti. Anzi, in questo modo vengono gettate le premesse per nuovi interventi finanziari a carico degli enti pubblici, perché è facile immaginare che la Regione si farà carico in futuro di ripianare i nuovi debiti che inevitabilmente si accumuleranno ogni anno. In pratica, si è finanziato un progetto insensato, in grado unicamente di creare debiti “autorigeneranti”.
Il caso del Catria è davvero emblematico, perché cose di questa entità sembravano ormai impossibili e relegate all’inizio degli anni ottanta, quando vennero realizzati gli ultimi “villaggi turistici”, i cui resti possiamo trovare qua e là in tutto l’Appennino.

E invece, i milioni erogati dalla regione Marche hanno permesso il “miracolo”: la devastazione della montagna. Il versante nord est del Monte Acuto, una bella piramide, elegante, visibile a grandissima distanza, lontano punto di riferimento per i naviganti adriatici di un tempo, è stato maciullato da 6,5 milioni di euro, che hanno permesso il rifacimento della vecchia funivia, nuovi impianti di risalita, nuove piste, impianti per l’innevamento artificiale (….), bacino di accumulo dell’acqua e altre attrezzature.
Contro tale scempio, un anno or sono (2019) è intervenuto il GRIG (Gruppo di Intervento Giuridico) con un esposto, al quale quest’anno si è aggiunto quello sottoscritto da ben 10 associazioni ambientaliste, coordinate da Italia Nostra Marche, depositato presso la procura competente (Urbino). Tra le contestazioni, vi è l’impatto distruttivo dei lavori nei confronti di aree di importanza europea (Rete Natura 2000), distruzione e deturpamento di bellezze naturali, riduzione dei corpi boschivi presenti, ecc,
In attesa di sviluppi, si addensano anche ombre scure sul vicino Monte Nerone, dove si vorrebbe fornire di illuminazione notturna l’impianto attualmente esistente.
Un problema di portata sicuramente minore, ma che indica con forza in quale direzione si stia remando. Alla faccia della tanto sbandierata consapevolezza sul cambiamento climatico (purchè i sacrifici li facciano gli altri), della lotta agli sprechi, delle belle parole pronunciate da quasi tutti gli amministratori in tutte le occasioni.
E poi ci si stupisce che i politici siano la categoria piu’ screditata del pianeta.
Aldo Loris Cucchiarini, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Marche

(foto Claudio Orazi – Luca Gemignani, A.L.C., archivio GrIG)
Ignobili distruzioni , insensate idee, di non pensanti, da denunciare e ostacolare con anima e corpo finchè un briciolo si buon senso e rispetto resterà su questa Terra
La devastazione come “normalità” dell’agire politico, l’agire politico come forma di insensibiltà…
“muore il cielo, muoiono i boschi e le montagne, muore il mare, muore una parte di te”.
‹‹Ma lo sanno gli sciatori come si fa una pista da sci? Io credo di no, perché altrimenti molti di loro non sosterrebbero di amare la montagna mentre la violentano. Una pista si fa così: si prende un versante della montagna che viene disboscato se è un bosco, spietrato se è una pietraia, prosciugato se è un acquitrino; i torrenti vengono derivati o incanalati, le rocce fatte saltare, i buchi riempiti di terra; e si va avanti a scavare, estirpare e spianare finché quel versante della montagna assomiglia soltanto a uno scivolo dritto e senza ostacoli.
Poi lo scivolo va innevato, perché è ormai impossibile affrontare l’inverno senza neve artificiale: a monte della pista viene scavato un enorme bacino, riempito con l’acqua dei torrenti d’alta quota e con quella dei fiumi pompata dal fondovalle, e lungo l’intero pendio vengono posate condutture elettriche e idrauliche, per alimentare i cannoni piantati a bordo pista ogni cento metri. Intanto decine di blocchi di cemento vengono interrati; nei blocchi conficcati piloni e tra un pilone e l’altro tirati cavi d’acciaio; all’inizio e alla fine del cavo costruite stazioni di partenza e d’arrivo dotate di motori: questa è la funivia.
Mancano solo i bar e i ristoranti lungo il percorso, e una strada per servire tutto quanto. I camion e le ruspe e i fuoristrada. Davvero non lo sanno? Non vedono che non c’è più un animale né un fiore, non un torrente né un lago né un bosco, e non resta nulla del paesaggio di montagna dove passano loro? Chi non mi crede o pensa che io stia esagerando faccia un giro attorno al Monte Rosa in estate: sciolta la neve artificiale le piste sembrano autostrade dai perenni cantieri, circondate da rottami, edifici obsoleti, ruderi industriali devastazioni di cui noi stessi malediciamo i padri. (…) tra cent’anni la vera ricchezza non saranno le piste che abbiamo costruito, ma la montagna che abbiamo lasciata intatta››.
Così scriveva Paolo Cognetti in difesa del Vallone delle Cime Bianche.
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