Expand and die. Il sogno americano dell’agricoltore veneto.
A volte, in Veneto, sembra di vivere nel Midwest.
Con tutto quel mais e soia, piantati fino alla nausea, vengono in mente gli stati federati dell’Illinois, dell’Iowa, del Kansas…
Solo che l’Illinois, da solo, è grande come metà Italia, tuo padre non guarda il Super Bowl, tuo cugino non gareggia al “NASCAR Pepsi 400 race”, se vai nel fienile trovi tuo nonno che porcona, non certo Clark Kent a petto nudo, e tu non sei una cheerleader. Non ancora almeno…
E mentre nel Midwest i sindacati degli agricoltori hanno nomi venerandi tipo “Kansas Soybean Association”, da noi si chiamano… Coldiretti; che non è proprio una sinfonia di nome…
Giocare a fare gli agricoltori del Midwest americano in un Paese stretto come l’Italia porta con se gravi conseguenze. E più che partecipare al “Nutria Tour” proposto da Federico Miotto di Coldiretti Padova[1] (il Mattino di Padova 29-03-2016, il Gazzettino di Padova 03-04-2016), per apprezzare insignificanti – quando non fantomatici – danni delle nutrie alle arginature, bisognerebbe partecipare al “Coldiretti Tour” per vedere di quali azioni dannose sono capaci gli agricoltori veneti.
Come afferma la stessa Veneto Agricoltura, Azienda della Regione Veneto per i settori Agricolo, Forestale e Agro-Alimentare, nell’ormai introvabile videocassetta del 1999 “Le fasce tampone boscate” «Con l’avvento della monocoltura è stata cancellata la struttura agricola tradizionale. Le vecchie siepi svolgevano nell’ambito dell’azienda agricola e della sua economia un ruolo di primaria importanza. Esse erano utilizzate per produrre legna da ardere, piccoli frutti e piante officinali, per ricavarne tutori vivi e legacci per le viti, per l’alimentazione degli animali – in particolare i bachi da seta – per proteggere le colture dal vento, per mantenere stabili le rive dei corsi d’acqua e per delimitare e difendere la proprietà. Con la monocoltura e la meccanizzazione sono venute meno le funzioni in difesa dell’ambiente e del paesaggio.»
Non si dispone di dati sull’esistenza delle siepi in Veneto e in Italia perché non ne è mai stato fatto un censimento significativo. Le siepi in passato erano diffuse sul territorio rurale, al quale conferivano varietà paesaggistica e biologica. A partire dagli anni ’60 sono state progressivamente rimosse fino a scomparire nelle zone ad agricoltura intensiva. Laddove continuano ad esistere, sono state sfinite e assottigliate da continui tagli, fino a diventare discontinue, banali, inutili e infine morte.
Con la rimozione delle siepi campestri e delle barriere vegetali spontanee sono emersi ulteriori problemi ambientali. Innanzitutto sono venuti meno corridoi e habitat per la fauna selvatica che per muoversi sul territorio agricolo necessita di fasce tampone boscate inserite in un sistema di organizzazione a maglia chiusa (il normanno Bocage[2]). Un paesaggio agrario di questo tipo prevede la completa chiusura dei campi con siepi, fossi, corsi d’acqua, stagni e boschetti planiziali a formare un reticolo senza interruzione della continuità.
Poiché la siepe è formata da una componente legnosa (alberi e arbusti) e da una erbacea (piante erbacee che crescono alla base), la loro eliminazione comporta la scomparsa simultanea di tutti gli organismi viventi che la abitano, dalla parte inferiore (radici, lettiera e sottosiepe) fino alla cima degli alberi: dai microrganismi, passando per gli invertebrati fino alla fauna superiore. Dai lombrichi a chiocciole e lumache, continuando con cavallette, coleotteri, formiche, api, farfalle e coccinelle, andando avanti con serpenti, rane e rospi, e poi toporagni, ricci, volpi, fino ai pipistrelli e agli uccelli sulla sommità degli alberi che compongono la siepe.
Le singole specie dipendono l’una dall’altra; sono anelli di catene e reti alimentari: un insetto predatore mangia un insetto più piccolo ma viene mangiato a sua volta dall’averla piccola e quest’ultima può diventare la preda di uno sparviere.
Questa interdipendenza fa si che si determino dei meccanismi di regolazione per il controllo delle diverse specie e si creino ecosistemi armoniosi. Ma quando l’uomo elimina le siepi e rompe questo equilibrio, cancellando i livelli più alti della catena alimentare, singoli insetti fitofagi (che si nutrono di vegetali) si moltiplicano rapidamente e si cibano delle colture, spingendo l’uomo ad irrorare nuovamente e maggiormente il campo coltivato con pesticidi e insetticidi, cosa che non farà altro che avvelenare e far diminuire ulteriormente i nemici naturali degli insetti “nocivi” (i quali, peraltro, continuano a sviluppare sempre nuove resistenze ai prodotti fitosanitari). E l’uomo, da più di cinquant’anni, da quando ha dato avvio alla cosiddetta “Rivoluzione Verde”, non fa che perseverare in questo spirale senza tregua, in cui l’effetto torna a essere causa di se stesso. Nel frattempo sta azzerando la biodiversità (dal 1970 ad oggi sono scomparse in Europa oltre 6 milioni di coppie di rondini[3], fonte: BirdLife International), distruggendo il suolo e facendoci ammalare di cancro.
Le siepi campestri favoriscono le specie ornitiche e gli insetti pronubi (es. api) grazie all’inserimento di piante mellifere, influenzano il microclima (clima della zona circostante) e il clima globale, perché fissano il carbonio atmosferico (anidride carbonica) e così immagazzinano energia proveniente dal sole (fotosintesi clorofilliana), cedono ossigeno, riducono l’eccessiva evapotraspirazione (perdita di acqua dalla superficie del suolo dovuta all’azione combinata dell’evaporazione superficiale, direttamente dal terreno, e della traspirazione da parte delle piante) e in questo modo preservano acqua e sostanze nutritive, rallentano il flusso dei venti e il ruscellamento delle acque, preservando i suoli da fenomeni erosivi, biodegradano i composti organici della lettiera (ad opera dei microrganismi ospitati nella sottosiepe), hanno capacità filtranti, disinquinanti e metabolizzanti nei confronti di pesticidi e concimi (nutrienti tra cui azoto e fosforo) e in questo modo diminuiscono i fenomeni di eutrofia (crescita abnorme di alghe, ecc.) e conseguentemente prevengono la mancanza d’ossigeno nei corsi d’acqua: i batteri decomponendo le alghe morte (e non solo) consumano l’ossigeno del corpo idrico con conseguente moria di invertebrati e pesci.
Non da ultime, le siepi campestri, offrono movimento e continuità paesaggistica tra bosco, aree coltivate ed edificato.
Ma agli imprenditori agricoli veneti e italiani, e a tutti i sindacati degli agricoltori, delle siepi campestri e della biodiversità non importa nulla e soprattutto non ne sanno nulla, se non per quello che gliene viene in tasca.
È molto più facile spostare l’attenzione su questioni di infima rilevanza (le nutrie) che occuparsi dei veri e gravissimi problemi che affliggono il Pianeta.
Stando a sentire gli agricoltori veneti, coltivare è sempre una perdita di denaro per loro.
Per queste persone il proverbio “piangere il morto e fregare il vivo” non fu mai tanto azzeccato.
Michele Favaron, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto
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[1] http://mattinopadova.gelocal.it/padova/cronaca/2016/03/29/news/ambientalisti-e-tar-vengano-a-vedere-i-danni-delle-nutrie-1.13206065
[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Bocage
[3] http://www.lipu.it/rondine
(foto d’epoca, M.F., archivio GrIG)
Salve molto interessante, avrei cose da aggiungere sulla devastazione agronomica del Veneto ma soprattutto sulle scelte politiche relative.
salve Franz, aggiungi pure!
Se si tratta di un intervento articolato, inviacelo all’indirizzo grigsardegna5@gmail.com e lo pubblichiamo come articolo.
Ok vi ringrazio, appena possibile provvedo. Buon Lavoro
realtà abbastanza condivisibile anche in Sardegna, nella Pianura del Campidano. Una volta ricca di siepi di rovi e fichi d’india che allietavano con il loro frutti l’autunno, oggi sterminati campi da golf. Della fauna selvatica in generale agli agricoltori non è mai importato nulla, anzi meno è presente meglio è, meno danni. Secondo la loro mentalità, prima di tutto viene il profitto. La fauna si adegua ai mutamenti dell’habitat, ai pesticidi, ai diserbanti ai macchinari agricoli…una siepe disturba, toglie metri quadri coltivabili e quindi centinaia di euro di profitto. Alcuni furbi in passato consci della devastazione ambientale che commettevano per interessi personali, puntava il dito sul depauperamento faunistico sui cacciatori, distogliendo gli occhi della società, per anni il giochino ha funzionato.
Oggi ci provano ma fortunatamente la realtà è sotto gli occhi di tutti.
Bisogna porre dei severi limiti anche in campo agricolo, perchè come concepita oggi anche un certo tipo di politica agricola è dannosa per l’ambiente, in alcuni casi molto di più di cemento e fumi di ciminiera.
Bellissima lezione!
però rifletto, e invito a farlo, anche su questa frase:
«Stando a sentire gli agricoltori veneti, coltivare è sempre una perdita di denaro per loro»
…forse non hanno tutti i torti. Parlando da agricoltore, seppure di altro settore e di altra regione e anche di altra zona rispetto al campidano, comunque mi soffermerei su questa osservazione non liquidandola con una battuta sprezzante, ma chiedendomi se sono tutti stupidi, gli agricoltori, oppure hanno qualche ragione! Conosciamo i conti degli agricoltori, quelli piccoli, dico, ovvero la maggior parte? forse vittime, di questa politica che crea il grosso del guadagno, se non l’unico, non certo dai prodotti ma dai “pagamenti” pubblici relativi alla PAC?