Becera ignoranza al potere.
La VII Commissione permanente “cultura” della Camera dei Deputati ha recentemente (25 giugno 2014) approvato un emendamento (vds. pag. 204) proposto dalla maggioranza governativa (on.li Maria Coscia ed Emma Petitti, P.D.) che punta di fatto al commissariamento dell’attività di vigilanza e controllo svolta dalle Soprintendenze (gli organi periferici del Ministero per i Beni e le Attività Culturali).
Si tratta di un vomitevole mostro giuridico creato dalle eccelse e non disinteressate menti dei deputati della Commissione “cultura” (tutti, vista l’assenza di alcuna contestazione) con la scusa di “assicurare l’imparzialità” e con l’inconfessabile fine di spazzar via all’occorrenza i già deboli argini a difesa dei beni paesaggistici e culturali.
Disposizioni di tale tenore olezzano di incostituzionalità per contrasto con gli obblighi della Repubblica di tutela del paesaggio/ambiente (artt. 9, 117 cost.), ribaditi dalla giurisprudenza costituzionale. E il quadro normativo in tema di tutela del paesaggio/ambiente costituisce valore primario dell’ordinamento.
Resta, purtroppo, una triste sentìna istituzionale di ignoranza.
Viviamo nel Bel Paese, risorsa fondamentale anche sul piano turistico, siamo circondati da straordinari valori ambientali e storico-culturali: cari deputati, studiate e imparate, una buona volta!
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
qui trovate i componenti della VII Commissione permanente “cultura” della Camera dei Deputati
da Il Manifesto, 4 luglio 2014
Soprintendenze, il parere a giudizio. (Paolo Berdini)
Beni culturali. I nulla osta o i veti di tutela saranno valutati da una apposita Commissione di garanzia. La Commissione cultura della Camera approva l’emendamento, un mostro giuridico con la scusa di «assicurare l’imparzialità» e «contenere la discrezionalità».
La commissione Cultura della Camera dei deputati ha approvato un emendamento della maggioranza che di fatto cancella il ruolo delle Soprintendenze in materia di tutela del paesaggio e dei beni culturali. Si legge nell’emendamento che verrà istituita una commissione di riesame dei pareri di tutela espressi dai soprintendenti. La commissione lavorava alla conversione del decreto legge n. 83 del 31 maggio 2014, misure per la semplificazione e la trasparenza, l’imparzialità e il buon andamento dei pareri in materia di beni culturali e paesistici. L’emendamento all’articolo 12 recita che «al fine di assicurare l’imparzialità… I pareri di nulla osta possono essere riesaminati d’ufficio… da apposite commissioni…». Un inedito mostro giuridico.
Nel suo illuminante articolo sulla deriva mercatista nel campo dei beni culturali apparso ieri su queste pagine, Adriano Prosperi citava lo scandalo del battistero di Firenze affittato alla maison Emilio Pucci. E proprio da Firenze è partito il virus che rischia di cancellare le ragioni della tutela che, come è noto a tutti meno che agli estensori dell’emendamento, è iscritta nei principi della nostra Costituzione.
È nel capoluogo toscano infatti che l’allora sindaco Matteo Renzi ingaggiò un braccio di ferro con il soprintendente reo di aver negato l’uso di Ponte Vecchio per una serata di gala della Ferrari. Il ponte è un bene culturale e perciò stesso, patrimonio di tutta la collettività: un luogo inadatto a far svolgere una festa privata. Apriti cielo. Renzi fece svolgere lo stesso la festa. Anche Ignazio Marino ha cancellato il prescritto parere negativo della soprintendenza per far svolgere il concerto dei Rolling Stones al Circo Massimo, nel cuore della città. Anche lui fece appello al rischio del tracollo economico del paese.
Poveri replicanti del ben più incisivo presidente di Confindustria. Pochi giorni fa Squinzi ha tuonato contro la «burocrazia rea di sabotare la ripresa dell’Italia». Niente meno. Detto fatto, dall’ufficio studi di viale dell’Astronomia deve essere stato fatto recapitare l’emendamento che la maggioranza ha votato senza fiatare e senza capire. Squinzi dirige un’azienda che ha praticato la strada dell’innovazione di prodotto. Non può essere dunque accusato di appartenere alla classe dirigente che da decenni lucra sui ritardi strutturali dell’Italia. Ma sicuramente conosce molti suoi associati che non investono un euro e vivono di rendita finanziaria e immobiliare, le vere patologie che soffocano l’Italia.
E la dimostrazione più solare sui motivi veri che causano il declino del paese viene proprio da uno dei tanti annunci del premier Renzi. Come si ricorderà, appena un mese fa aveva tuonato contro i ritardi nella realizzazione delle opere pubbliche chiedendo ai sindaci di inviargli l’elenco delle opere che avrebbe inserito nello «Sblocca Italia». Il provvedimento ritarda perché l’elenco delle opere finora pervenuto è un clamoroso atto d’accusa contro la classe politica di cui Renzi fa parte. Solo alcuni esempi. Marino lamenta il mancato completamento del palazzo del nuoto di Calatrava. Costerà un miliardo per completarlo ma non è stato deciso dai burocrati, bensì da uno dai sindaci onnipotenti (Veltroni) che pensavano di mettersi un fiore all’occhiello con i soldi di tutti. Ancora. La metro «C» di Roma: uno scempio senza fine che ha travolto tutti i pareri di tutela e sperperato miliardi di euro. Da Perugia si chiede il completamento della quadrilatero Umbria-Marche un’opera pubblica che ha devastato l’Appennino e che è ferma non per le tutele, ma perché hanno prosciugato irresponsabilmente le risorse. Si aspetta la segnalazione del Mose e della devastazione del lungomare di Salerno in atto per volontà del sindaco.
L’elenco dell’incapacità amministrativa della politica potrebbe continuare. Per nasconderle è partita l’offensiva contro l’untore. Prima era la magistratura, oggi la tutela del paesaggio. Ma per quanto arroganti e dotati di una copertura mediatica che neppure Berlusconi poteva vantare, perderanno la partita. La tutela è sancita dalla Costituzione e non sarà la vandea dell’ignoranza a scardinarla.
(foto da Il Manifesto, Cristiana Verazza, E.R., S.D., archivio GrIG)
Ok, ma di converso, stiamo attenti a non diventare vittime dall’irrazionale e altrettanto ignorante burocrazia di certi Enti.
Non potevo aspettarmi niente di meglio o peggio che dir si voglia….
Poveri noi……
Ad ogni buona notizia ne segue subito una che ci (vi) invita a non abbassare mai la giardia visto la banda di lestofanti che ci amministra…..
Avevo colto con piacere il rimandare ai mittenti lo scellerato nuovo editto delle chiudende..che ora mi si prospetta il bel paese si mercificato ma solo in termini di esclusività come anche il nostro premier rottamatore aveva già fatto con la festa della Ferrari a Ponte Vecchio…. Cerchiamo di stare attenti tutti che le cose piovono da tutte le parti….
da Eddyburg, 18 luglio 2014
La valorizzazione? Non è un punto ristoro. (Paolo Berdini) su Il Manifesto, 18 luglio 2014
«Beni culturali. La riforma del Mibact presentata da Dario Franceschini mette a rischio la tutela del paesaggio e sfiducia gli organi decentrati dello Stato, quelli che presidiano il territorio». (http://www.eddyburg.it/2014/07/la-valorizzazione-non-e-un-punto-ristoro.html)
Il ministro Franceschini è vissuto a Ferrara e conosce ciò che quella meravigliosa città ha saputo costruire: un mirabile equilibrio tra la bellezza urbana e il paesaggio. Lo affermo perché rimasi colpito di una sua dichiarazione nel novembre 2012 in occasione della morte del grande Paolo Ravenna. Sosteneva Franceschini che a lui si doveva molto del rispetto della cultura dei luoghi, dalle mura al parco agricolo che le cinge. A leggere le parti salienti del progetto di riforma del Mibac viene da pensare che siano state quelle parole vane, come sempre più spesso ci abitua una politica che vive di slogan. Ma forse, nessuno poteva aspettarsi – e dunque neppure il ministro – che il Presidente del consiglio avrebbe iniziato a costruire il suo profilo istituzionale proprio riempiendo di contumelie i «professoroni» e attaccando burocrati e Soprintendenze di Stato. Solo dei grigi burocrati come i soprintendenti, appunto, non capiscono che il futuro dell’Italia è nella messa a reddito del nostro petrolio, e cioè lo straordinario patrimonio culturale che ci fa un caso unico nella storia della cultura mondiale. Un atteggiamento culturale che è l’esatto contrario dell’impegno di una vita di uomini come Paolo Ravenna o, sempre per restare a Ferrara, di Giorgio Bassani.
Sarà un caso, ma proprio due giorni prima la presentazione del progetto di riforma tutto centrato sulla valorizzazione, è stato reso pubblico uno studio della Società Autostrade per l’Italia che si occupa niente meno dello sviluppo turistico e culturale del parco dell’Appia antica di Roma. Tra le tante perle contenute in quel documento — tutte elencate in un ottimo documento-appello dell’associazione Bianchi Bandinelli- c’è anche scritto che in alcuni luoghi si sarebbero creati dei punti di vendita ristoro con prodotti tipici in modo da riscoprire l’importanza del gran tour nella Roma del settecento. È scritto proprio così e nessun soprintendente di Stato avrebbe mai immaginato una simile genialità. Chissà cosa avrebbe scritto Antonio Cederna, una vita spesa per salvaguardare l’Appia antica. Questa follia c’entra molto con il progetto di riforma di Franceschini. Il ruolo dei soprintendenti diviene infatti marginale e uno dei pilastri che regge la riforma sta nel fatto che i più importanti luoghi della cultura italiana potranno divenire speciali e per ciò stesso affidati a manager esterni all’amministrazione dello Stato. Tutti meno i soprintendenti. Una vera ossessione.
E veniamo al nodo che riguarda il paesaggio. Il ministro sa che nella discussione parlamentare è stato inserito un comma all’articolo 12 in cui vengono istituiti i «comitati di garanzia per la revisione dei pareri paesaggistici», una mostruosità giuridica –la messa sotto tutela ministeriale del capillare lavoro degli organi decentrati dello Stato- che significa una sola cosa: la fine della tutela paesaggistica del territorio, questione contenuta nei principi fondamentali della nostra Costituzione. E anche qui c’è una coincidenza importante. Il 4 luglio scorso la regione Toscana ha adottato il Piano paesaggistico regionale, un ottimo strumento di tutela voluto dall’assessore Anna Marson e a cui ha partecipato attraverso intesa istituzionale il Ministero dei Beni culturali. Forse chi ha presentato l’emendamento voleva azzerare per sempre l’azione regionale di tutela del territori ed è grave che Franceschini abbia accettato l’emendamento e non ristabilito il corretto funzionamento dello Stato. Molti parlamentari e qualche ministro hanno a cuore le betoniere che hanno devastato l’Italia.
Alcuni anni fa la Soprintendenza del Lazio per tutelare l’agro romano meridionale impose un vincolo generico. Iniziarono lo stesso i lamenti che denunziavano il «blocco» delle costruzioni. Possiamo proporci di accompagnare questi parlamentari e il ministro verso le campagne del Divino Amore a Roma – luogo interno al vincolo — e contare insieme il numero dei grandi quartieri che sta sorgendo in aperta campagna in una città che ha duecentomila abitazioni vuote Il problema non sono i vincoli o i soprintendenti: sono il rispetto della storia e della cultura che fanno grandi le nazioni e le città. Come la splendida Ferrara.
chiedo scusa anche se non in tema, chiedo se è possibile aprire un argomento sulla iniziativa del sindaco di Cagliari:
SABBIA BIANCA – Il futuro è una spiaggia sempre più “bianca”, come una volta. “Anche durante i lavori – ha sottolineato Zedda – stiamo trovando e quindi recuperando la vecchia sabbia e la stiamo depositando nell’area dell’ippodromo”.
Mi chiedo con che cosa viene lavata la sabbia perchè a me interessa il detersivo per usarlo per la biancheria, l’importante che non inquini. A voi risulta che tale deposito nell’area dell’ippodromo sia stato autorizzato e quale sabbia ci sta mettendo, da dove la sta prendendo ? E la vecchia sabbia quella non bianca dove la sta mettendo ?
Chiedo scusa per l’intrusione in un argomento non pertinente. Grazie
da Il Corriere della Sera, 26 luglio 2014
Beni culturali malvezzi italici. (Gian Antonio Stella) (http://www.corriere.it/cronache/14_luglio_26/beni-culturali-malvezzi-italici-4f990d76-1485-11e4-9885-7f95b7ef9983.shtml)
«Sovrintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia. È una di quelle parole che suonano grigie. Stritola entusiasmo e fantasia fin dalla terza sillaba. Sovrintendente de che? Sovrintendente, sottintendente, mezzintendente…».
Bastano queste parole sferzanti, scritte nel suo libro Stil novo, a riassumere l’opinione che Matteo Renzi ha di quella che chiama «casta delle sacerdotesse e dei sacerdoti delle sovrintendenze», visti come «persone in genere molto perbene, molto preparate, molto qualificate» però sorde all’idea che «la cultura dovrebbe essere il baluardo di una sfida identitaria. Ma anche una scommessa economica in grado di creare posti di lavoro, di far crescere la platea di utenti…». Insomma, più un intralcio talebano a ogni iniziativa dal vago odorino di «modernità» che una preziosa fonte di collaborazione sull’obiettivo di custodire con amore i tesori artistici e monumentali e insieme aprire il Paese, con giudizio, al boom del turismo mondiale. E ricavarne quelle risorse utili proprio per conservare, scavare, riparare, restaurare …
Quanto abbia pesato questa sua allergia alla sacralità di tanti lacci e lacciuoli sullo stop alla riforma dei Beni culturali portata in Consiglio dei ministri da Dario Franceschini, riforma che non sarebbe sufficientemente netta nel limitare i «poteri di interdizione» dei funzionari delegati a tutelare il nostro patrimonio, non si sa. Né è chiaro se possa aver davvero pesato sul premier, come ammiccano gli antipatizzanti, l’impressione d’una riforma «non renziana» (come ha scritto tessendo qualche elogio Tomaso Montanari) e di un «eccesso d’autonomia» dello stesso Franceschini. Lui, si capisce, minimizza: è normale che quando si porta un progetto all’esame di un organo collegiale ci si prenda il tempo di parlarne insieme. Vedremo…
Fatto sta che, dopo essere stato rinviato dal dicembre scorso ad oggi a causa della caduta del governo Letta e della rimozione di Bray quando il suo progetto era quasi pronto, il riordino dei Beni culturali imposto dalla spending review rischia ora, con l’accavallarsi di altre urgenze e altre risse e con l’incombere del Generale Agosto, di slittare all’autunno. Dopo di che, chissà…
Guai, se accadesse. Sia gli uni sia gli altri, infatti, su un punto devono essere d’accordo: dopo rimaneggiamenti che non hanno portato a una maggiore efficienza della macchina ma al contrario ne hanno ulteriormente ingrippato i meccanismi, il ministero dei Beni culturali dev’essere assolutamente sistemato.
Quello, per noi, è un ministero chiave. Con l’ingresso delle Langhe, abbiamo rafforzato la nostra leadership assoluta tra i Paesi con più siti protetti dall’Unesco. Il Mezzogiorno, col nuovo arrivo delle grandi processioni rituali, ne ha da solo 17. Quanti la Grecia, la nazione madre europea. Il doppio dell’Austria o dell’Argentina.
È una fortuna, ma anche una responsabilità: non si tiene così Pompei, non si spreca così la Reggia di Caserta dai visitatori dimezzati, non si lasciano a terra per mesi le macerie del castello di Frinco. Essere i primi ci impone di trovare il modo di tenere insieme la bellezza, la piena e premurosa tutela di queste ricchezze e una corretta gestione anche economica di un’eredità che non può essere un peso ma deve essere anche una risorsa. Servono nuove professionalità? Nuove freschezze? Nuove idee? Avanti! Purché siamo d’accordo su una cosa: non siamo i «padroni» dei nostri tesori. Siamo solo i custodi. E l’obiettivo principale non può essere quello di fare cassa. Neppure con questi chiari di luna…