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Rigenerazione urbana, reale riqualificazione delle città o mera speculazione immobiliare?


Bologna, Giardino San Leonardo

Uno degli attuali aspetti più critici della gestione delle città è certamente la riqualificazione delle aree degradate.

Nelle nostre città spesso vi sono rioni, isolati, anche singole strutture da risanare, rispettando – in ogni caso – luoghi, contesti, storie del vissuto cittadino e, soprattutto, chi quei luoghi vive e anima.

Spesso la riqualificazione urbana – oggi rigenerazione urbana, come va per la maggiore – è la foglia di fico dietro la quale si nasconde la mera speculazione immobiliare, come chiaramente emerso in questi ultimi anni a Milano, con gravi fatti di rilevanza penale.

Milano, Darsena dei Navigli, testimonianze dei bastioni spagnoli (sec. XVI)

Ecco un piccolo esempio nel centro di Bologna, lo storico Giardino San Leonardo (oggi intitolato a Don Tullio Contiero), frequentato da tanti studenti e dai pochi residenti rimasti nel centro storico felsineo, recentemente oggetto di un “innovativo patto di collaborazione tra Johns Hopkins University e Comune di Bologna, con il coinvolgimento attivo del Quartiere Santo Stefano, della Fondazione per le Scienze Religiose (FSCIRE) e dell’Università di Bologna”, come lo definisce lo stesso Comune di Bologna.

In realtà, non son tutte rose e fiori, però.

Al di là della sbandierata progettazione condivisa, cittadini e studenti contestano quella che appare una privatizzazione strisciante di uno dei pochi luoghi verdi pubblici nel centro storico, in particolare nel Quartiere Santo Stefano.

Il Comune di Bologna non ha dato gran prova della capacità di ascolto dei propri cittadini con la vicenda del Parco comunale Don Bosco, stavolta ce la fa a starli seriamente a sentire?

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Bologna, Giardino San Leonardo

dal sito web istituzionale del Comune di Bologna, 29 maggio 2025

Una nuova vita per il Giardino San Leonardo: al via il progetto di riqualificazione con un patto tra Johns Hopkins University e Comune di Bologna – FOTO.

Il Giardino San Leonardo si prepara a una nuova vita. È ufficialmente partito l’iter per la riqualificazione di uno degli spazi urbani più significativi del comparto San Leonardo, grazie a un innovativo patto di collaborazione tra Johns Hopkins University e Comune di Bologna, con il coinvolgimento attivo del Quartiere Santo Stefano, della Fondazione per le Scienze Religiose (FSCIRE) e dell’Università di Bologna.

L’intervento – curato dallo Studio Betarchitetti per conto di Johns Hopkins University – si inserisce in una più ampia strategia di rigenerazione urbana e mira a valorizzare il Giardino Don Tullio Contiero, noto come Giardino San Leonardo, cuore pulsante del comparto.

Il progetto punta ad aprire il giardino verso la città, mettendolo in relazione con le attività e i servizi circostanti, attraverso la riqualificazione dei margini, la riorganizzazione degli accessi e la valorizzazione delle connessioni urbane, in particolare lungo via Andreatta e via San Leonardo. Gradini, sedute, rampe e gradoni ridisegneranno il perimetro del giardino per renderlo più accessibile, vivibile e connesso al tessuto urbano, trasformandolo in uno spazio di relazione e incontro per residenti, studenti e cittadini.

L’intervento non è solo architettonico ma anche sociale: Johns Hopkins University si impegna a garantire presidio e animazione sociale, contribuendo alla creazione di spazi funzionali ben definiti, tra cui una caffetteria che presta servizi anche all’esterno, che fungerà da luogo di aggregazione e punto di riferimento per l’intera comunità.

Il giardino San Leonardo è da sempre un luogo amato dai residenti e da studentesse e studenti per i suoi spazi verdi e per la possibilità di studiare e riposarsi. Il progetto potenzia questa vocazione aumentando il numero di tavoli e panchine, aggiungendo percorsi accessibili. Al contempo, inserisce elementi che favoriscono il presidio e la sicurezza, abbassando il muro esterno e prevedendo uno spazio per la caffetteria. Dal punto di vista ambientale, sono previsti nuovi alberi e l’utilizzo di materiali drenanti per tutti i percorsi e gli spazi di sosta.

Il progetto rappresenta un esempio virtuoso di collaborazione tra istituzioni, accademia e territorio, con l’obiettivo di restituire centralità e qualità a uno spazio pubblico simbolico, promuovendo al contempo inclusione, sicurezza e partecipazione.

L’iter prevede, nei passaggi successivi alla proposta di collaborazione, una fase di progettazione condivisa con il soggetto proponente, approfondimenti e verifiche tecniche da parte degli uffici comunali interessati e di altri enti competenti, oltre al coinvolgimento del Quartiere Santo Stefano, territorialmente interessato, nella fase di progettazione e nel fondamentale ruolo di connessione con le ulteriori realtà attive nell’area.

Render di progetto

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da Zero Bologna, 30 giugno – 14 luglio 2025

Il Giardino San Leonardo alla Johns Hopkins University: cittadini in rivolta (RETTIFICATO). (Salvatore Papa)

Chi vive la zona universitaria sa che ogni albero e pezzo di terra viva è un patrimonio inestimabile. È anche per tale motivo che il Giardino San Leonardo (sulle mappe: Don Tullio Contiero), insieme a quello del Guasto, è uno dei luoghi più amati da studenti e studentesse e dagli ormai pochi e poche residenti, un rifugio pubblico dove studiare o semplicemente passare del tempo, riuscito a resistere alla colonizzazione turistica grazie anche al lavoro volontario dei cittadini che se ne sono presi cura. La più nota è stata la signora Anna che fino a quasi 90 anni ha presidiato e reso fruibile il San Leonardo cambiandone le sorti dopo alcuni anni molto bui, facendo praticamente quasi tutto da sola. «Da qui me ne andrò solo quando sarò morta», diceva nel 2016 allo scadere della convenzione con la sua associazione.

Dopo Anna si sono poi succedute diverse convenzioni con associazioni e comitati di residenti che hanno provato a tenerlo vivo e a fare un po’ di manutenzione, tra cui Chiusi Fuori, che si occupa del reinserimento sociale dopo la detenzione.

Il 29 maggio scorso il Comune di Bologna ha annunciato, però, il nuovo progetto per il Giardino: una “rigenerazione” a carico dell’adiacente Johns Hopkins University accordata tramite un patto di collaborazione.

L’università privata americana, tra le migliori dieci del mondo, offre corsi le cui rette costano mediamente attorno ai 40 mila euro annui (60 mila, considerando anche altre spese) e ha proposto al Comune uno scambio: l’allargamento della sua caffetteria verso il giardino in cambio della riqualificazione dell’area verde. “L’ampliamento di superficie della caffetteria – scrivono – è conditio sine qua non per questa massiccia opera di rigenerazione”.
La riqualificazione – da quello che si legge in una proposta del Patto di Collaborazione ripresa dal comunicato stampa del Comitato – comporterebbe tuttavia l’abbattimento di 3 allori tutelati, rimpiazzati da altri sei esemplari diversi.

L’intervento è stato affidato allo Studio Betarchitetti di Daniele De Paz (già presidente della Comunità ebraica di Bologna) per conto di Johns Hopkins University e l’inizio dei lavori è datato 19 maggio 2025, sebbene i cittadini e le associazioni ne siano venute a conoscenza a conti già fatti. Nessun percorso di partecipazione, quindi, e nessun coinvolgimento. È nata perciò un’assemblea spontanea e molto partecipata di residenti e frequentatori che si riunisce al giardino e ha costituito un Comitato per opporsi all’intervento: il “Comitato contro la privatizzazione del Giardino San Leonardo“.

“Nella proposta di patto di collaborazione – scrivono – si afferma che l’apertura della caffetteria privata della JHU nel giardino servirà anche a garantire un “presidio costante” e una “sorveglianza” dello spazio. In pratica, la gestione di una parte del giardino come bar diventa uno strumento di controllo affidato a un soggetto privato.”

«Sebbene non sia scritto da nessuna parte – racconta Valeria, un’attivista del Comitato – questa è una privatizzazione mascherata, perché si concede di fatto alla Johns Hopkins la regolamentazione delle attività diurne e serali, quindi la vigilanza privata di uno spazio pubblico. Puntando sulla “mala-frequentazione”, agiscono con la retorica della sicurezza stravolgendo un luogo che ha un degrado, sì, ma strutturale, che dipende quindi dalla mancata manutenzione ordinaria del Comune e non dalle persone che lo vivono, tra cui moltissime famiglie, bambine e bambini in un’area che ha comunque ancora un’anima popolare, in virtù della presenza di edilizia residenziale pubblica.»

Il progetto – si legge nel comunicato del Comune – “punta ad aprire il giardino verso la città, mettendolo in relazione con le attività e i servizi circostanti, attraverso la riqualificazione dei margini, la riorganizzazione degli accessi e la valorizzazione delle connessioni urbane, in particolare lungo via Andreatta e via San Leonardo. Gradini, sedute, rampe e gradoni ridisegneranno il perimetro del giardino per renderlo più accessibile, vivibile e connesso al tessuto urbano, trasformandolo in uno spazio di relazione e incontro per residenti, studenti e cittadini.”

«Nel patto di collaborazione leggiamo che grazie a questa riqualificazione i cittadini si riapproprieranno dello spazio, ma è abbastanza paradossale visto che quello è già uno spazio dei cittadini ed è più probabile che avvenga proprio il contrario

Per queste ragioni il Comitato sta organizzando un evento pubblico aperto alla cittadinanza che verrà comunicato a breve.

«Quello che chiediamo – conclude Valeria – è innanzitutto che venga ritirato immediatamente questo progetto e che si apra un tavolo pubblico con le realtà del quartiere, quindi con chi effettivamente utilizza lo spazio. E poi, soprattutto, che venga tutelata la funzione pubblica di questo luogo ma anche ecologica e sociale.»

Nel tardo pomeriggio di oggi è poi arrivata una precisazione dell’Amministrazione comunale che “smentisce categoricamente che sia in atto una privatizzazione del giardino e tanto meno la trasformazione dell’alloggio popolare che affaccia sul giardino in un ristorante”.  La nota spiega che “il patto di collaborazione ha una durata breve e specifica: solo per il periodo di rigenerazione del parco (a spese dell’Università Johns Hopkins) e al compimento dei lavori scadrà, mentre continueranno ad essere attivi gli altri patti pre-esistenti con le associazioni”. E conferma l’abbattimento dei tre allori compensati da altri sei alberi.

albero in città

da La Bottega del Barbieri, 15 luglio 2025

Bologna: la “rigenerazione urbana” non risparmia nessuno.

I protagonisti di questa storia sono un piccolo giardino, una prestigiosa università statunitense e un’amministrazione comunale. Cominciamo, come è giusto, dal giardino.

TRACCE DI STORIA

Da qualche anno porta il nome di don Tullio Contiero, un prete poco amato dalle gerarchie ecclesiastiche, chiamato a Bologna agli inizi degli anni Sessanta dal cardinale Giacomo Lercaro per occuparsi degli studenti universitari, per i quali organizzava ogni anno viaggi in Africa per far conoscere loro il sud del mondo e metterli di fronte alle responsabilità e alle contraddizioni dell’Occidente. Ma in realtà nessuno lo conosce con questo nome. Tutti continuano a chiamarlo come prima: giardino San Leonardo, dal nome della strada che lo costeggia.

È nel centro di Bologna, nella zona universitaria, ma defilato rispetto ai grandi flussi che, a poche centinaia di metri, ne caratterizzano la vita quotidiana. È di piccole dimensioni (circa 1.500 mq), ma è molto amato dagli abitanti e dai frequentatori della zona, che se ne sono presi cura, nel tempo, anche attraverso comitati o gruppi informali. Non ha nulla di particolare, se non il fatto di rappresentare la “normalità”: uno spazio verde e tranquillo, dove le persone trascorrono del tempo in modo informale, senza essere attratti da attività o da luoghi di consumo. Troppo normale per resistere alla febbre della “rigenerazione” che sta dilagando in tutta la città.

Ma prima di descrivere qual è la minaccia che incombe su questo piccolo lembo di terra, è bene ricordare qual è il contesto urbanistico e sociale in cui si trova. Si tratta, innanzitutto, di un esercizio di memoria che ci riporta al 1973, anno in cui il comune di Bologna, con la regia dell’architetto Pier Luigi Cervellati – all’epoca assessore all’urbanistica – adottò una variante al Piano per l’edilizia economica e popolare (Peep) che estese al centro storico gli interventi per quella tipologia abitativa, fino ad allora destinata alla periferia. Il piano coinvolse cinque comparti del centro e portò al risanamento – per iniziativa pubblica – di circa settecento alloggi, dove tornarono ad abitare gli stessi nuclei familiari che li occupavano in precedenza, quando erano fatiscenti. Furono anche realizzati centri civici, studentati, spazi per attività di quartiere, recuperando complessivamente circa 120 mila mq di superficie. (Per un approfondimento si rinvia a questo articolo dell’architetto Carlo De Angelis, che fu tra i protagonisti del piano). Era ben chiaro che i ceti popolari sarebbero stati progressivamente espulsi dal centro, e il piano mirava – al contrario – a farli rimanere dove erano sempre vissuti. Via San Leonardo era una delle strade comprese nel piano.

‘NA TAZZULELLA ‘E CAFE’

Finora – come è facile immaginare – non c’è stato grande dialogo tra questa strada che ancora oggi conserva un tessuto popolare e la limitrofa Johns Hopkins University, i cui master costano – come si può ricavare dal sito – tra 65 mila e 89 mila euro all’anno. Ma il muro che divide la strada e il suo giardino dalla sede bolognese della rinomata università che ha la casa madre a Baltimora sta per cadere, non solo metaforicamente. Ad aprire la breccia sarà una caffetteria.

Questo è, infatti, il succo di una proposta avanzata dalla Johns Hopkins University, elaborata dallo studio Betarchitetti. Il Comune la accoglie nella cornice dei “patti di collaborazione”, una delle articolazioni del sistema di partecipazione costruito dall’amministrazione comunale con grande enfasi retorica che ne nasconde l’essenza: imbrigliare la partecipazione entro forme istituzionalizzate e centralizzate e distoglierla dalle questioni cruciali, discusse e decise al di fuori delle sedi istituzionali, al riparo da qualsiasi dibattito pubblico e rese note solo a cose fatte. Nel caso specifico si tratta di una evidente forzatura: come è possibile utilizzare questo strumento per autorizzare un intervento urbanistico su un intero comparto? Si tratta di una corsia preferenziale? O di un esperimento per introdurre senza far rumore una ulteriore forma di deregolamentazione?

Ma torniamo alla caffetteria della Johns Hopkins. Il succo della proposta è tutta qui: l’università chiede di poterla espandere aprendola verso il giardino, in cambio si farà carico delle spese per la sua ristrutturazione. Come da copione, anche stavolta non mancherà l’abbattimento di alberi (in questo caso tre esemplari tutelati), un elemento che caratterizza tutti i progetti di “rigenerazione” in corso o in previsione in tutta la città e che sta assumendo dimensioni enormi e intollerabili, i cui effetti non saranno mitigati dalle promesse di “compensazione” tramite nuove piantumazioni.

Ovviamente una richiesta del genere – che comporta la modifica della configurazione di uno spazio pubblico a favore di un interesse privato – va addolcita con qualche zolletta di zucchero. Ecco allora che si prospettano “eventi e festival” (in un fazzoletto di terra!). E poi la formula magica: “riconfigurazione del margine”. Abbassando il muro di contenimento del giardino – secondo i promotori – si otterrà una maggiore “permeabilità” rispetto al comparto oggetto dell’intervento, “favorendone il presidio sociale”. Per supportare queste affermazioni generiche e prive di sostanza non poteva mancare il richiamo alla “sicurezza”: la “permeabilità” servirebbe infatti a “far fronte all’annoso problema della mala frequentazione durante le ore notturne”. Quindi un bar, un muro più basso, una migliore illuminazione e – non poteva mancare – un impianto di videosorveglianza.

Certi che la parola magica – “sicurezza” – rappresenti la chiave che apre tutte le porte (e non hanno tutti i torti, dal loro punto di vista, considerando il clima culturale e politico dominante, anche a livello locale), i redattori del progetto non si preoccupano delle evidenti contraddizioni. Se la “mala frequentazione” riguarda le ore notturne, come può la caffetteria garantire un presidio per scongiurarla? Se, come è scritto in un passaggio del progetto, “il rigido protocollo di sicurezza dell’università ha reso impensabile fino a ora favorire una permeabilità incontrollata degli accessi verso lo spazio pubblico”, cosa è cambiato ora? Forse la caffetteria non sarà aperta al pubblico (e quindi addio “presidio”?). Oppure dobbiamo aspettarci una caffetteria con “rigidi protocolli di sicurezza”?

Una versione precedente del progetto conteneva una proposta lasciata cadere nella versione definitiva, che merita però di essere citata: “Si propone inoltre la possibilità di trasformare l’attuale unità abitativa di proprietà comunale [che si affaccia sul giardino, ndr] in una attività ristorativa a carattere sociale che possa fornire una cucina interculturale di tipo kosher. Questa attività sociale consoliderebbe il carattere interculturale del comparto […]. Tale operazione potrà essere effettuata previo ricollocamento della famiglia ospitata nell’immobile”.

È un passaggio significativo, che illustra la protervia del soggetto privato che si spinge fino a invocare lo spostamento di un nucleo familiare insediato in un alloggio popolare per ricavarne un ristorante, e svela la vera natura del progetto. Il fatto che questa richiesta sia stata accantonata, infatti, non ne muta il significato: si tratta di un interesse privato su suolo pubblico. Tutto il resto è scenografia.

PICCOLO E GRANDE

Colpisce che nella relazione tecnica, nel paragrafo dedicato all’inquadramento storico e urbanistico, manchi qualsiasi riferimento al piano di edilizia popolare realizzato nel 1973. In sostanza, l’intervento proposto ignora completamente il contesto sociale nel quale va a incidere. Colpisce anche che il Comune non rilevi questa mancanza, che riguarda un aspetto di grande rilievo. Evidentemente l’amministrazione comunale ne ha perso la memoria, o forse non sa che farsene di una cultura urbanistica attenta ai bisogni sociali, al disegno complessivo della città e all’equilibrio tra interessi privati e interessi pubblici.

Del nuovo giardino San Leonardo il Comune è molto soddisfatto. I toni del comunicato con cui lo annuncia alla città (senza alcun confronto preliminare con il quartiere e i suoi abitanti) sono entusiasti: “Il progetto punta ad aprire il giardino verso la città, mettendolo in relazione con le attività e i servizi circostanti, attraverso la riqualificazione dei margini, la riorganizzazione degli accessi e la valorizzazione delle connessioni urbane […]. Gradini, sedute, rampe e gradoni ridisegneranno il perimetro del giardino per renderlo più accessibile, vivibile e connesso al tessuto urbano, trasformandolo in uno spazio di relazione e incontro per residenti, studenti e cittadini”.

Questo passaggio illustra bene quella che potremmo definire la neolingua della rigenerazione urbana. Si prende qualche termine dal lessico specialistico (riqualificazione, margini, connessioni…), lo si combina con qualche aggettivo comparativo che metta un po’ di enfasi nel discorso (più accessibile, più vivibile) e con qualche verbo che evoca il cambiamento (riorganizzare, trasformare), si condisce il tutto con una formula buona per tutti gli usi (spazio di relazione e incontro), e il gioco è fatto. Ma se si gratta sotto la superficie, quella frase non significa nulla.

Dietro al vuoto del discorso pubblico, però, ci sono processi rilevanti che stanno trasformando il volto della città. Da questo punto di vista la vicenda del giardino San Leonardo non è importante solo di per sé, per chi ne ha cura e lo frequenta, per chi abita nei dintorni, ma è anche una spia estremamente significativa delle tendenze in atto. Nella dimensione micro si possono leggere con chiarezza le distorsioni in atto nella dimensione macro. I 1.500 mq del giardino non sono diversi – per esempio – dalle decine di ettari delle grandi caserme dismesse, né meno importanti. La logica che regola la loro trasformazione è la stessa, e il suo nucleo è la profonda alterazione del rapporto tra pubblico e privato. In questo passaggio d’epoca, che ha inizio almeno trent’anni fa e che ora giunge a piena maturazione, i poteri pubblici hanno abdicato al loro ruolo di regolazione delle trasformazioni urbane in relazione ai bisogni della collettività. Non sanno né vogliono indirizzare gli interessi privati verso una funzione sociale, anzi, li assecondano al punto di modellare gli spazi pubblici sulla base delle loro esigenze. Bologna è ricca di esempi di questa sistematica distruzione dello spazio pubblico – che assume forme diverse a seconda dei contesti.

Il caso del giardino San Leonardo aggiunge a questo quadro un elemento specifico. Si tratta del fatto che – nella strategia dell’amministrazione comunale – la “rigenerazione” intesa nella sua accezione distorta deve riguardare anche le piccole aree, le zone interstiziali. Nulla deve sfuggire a questa ridefinizione dello spazio che è anche, necessariamente, una ridefinizione delle relazioni. I luoghi liberi, informali, dove non succede nulla di particolare perché vivono della ricchezza della quotidianità risultano d’intralcio a una visione dello spazio pubblico in cui i fattori dominanti sono il consumo, il controllo, l’organizzazione centralizzata di ciò che in quello spazio deve accadere. Ecco perché è così importante preservare la “normalità” di quel piccolo giardino. Se – partendo da lì – allarghiamo lo zoom, c’è la città intera, che vive ovunque le stesse tensioni.

(foto da mailing list ambientalista, S.D., archivio GrIG)

  1. luglio 17, 2025 alle 2:40 PM

    da Il Fatto Quotidiano, 16 luglio 2025

    “Il Comune di Bologna privatizza anche gli storici giardini di San Leo”. E la protesta blocca l’avvio dei lavori.

    Gli ambientalisti denunciano l’impatto su uno degli ultimi spazi verdi liberi del centro storico, frequentato quotidianamente da studenti, residenti, famiglie e associazioni. Il Comune assicura che lo spazio continuerà a essere accessibile nonostante l’accordo con l’università privata americana Johns Hopkins. (Flora Alfiero)

    Manca solo un passo all’avvio del cantiere per la riqualificazione del Giardino San Leonardo a Bologna. È ufficialmente partito l’iter grazie a un patto di collaborazione tra Johns Hopkins University e Comune di Bologna, con il coinvolgimento del Quartiere Santo Stefano, della Fondazione per le Scienze Religiose e dell’Università di Bologna. L’intervento, curato dallo Studio Betarchitetti per conto di Johns Hopkins University – ateneo privato statunitense con sede europea a Bologna – si inserisce in una strategia di rigenerazione urbana del comparto San Leonardo. Il progetto, però, è ancora nel pieno delle polemiche degli ambientalisti che denunciano l’impatto su uno degli ultimi spazi verdi liberi del centro storico, frequentato quotidianamente da studenti, residenti, famiglie e associazioni. Ma anche sul verde esistente che verrà abbattuto per fare spazio all’ampliamento della caffetteria dell’università americana.

    In tutto si tratta di tre allori tutelati che verranno rimossi e sostituiti con sei nuovi esemplari diversi. Cosí è nato un “Comitato contro la privatizzazione del Giardino di San Leonardo” che ha giá lanciato una petizione e organizzato proteste settimanali per chiedere il ritiro del progetto. Ma il patto di collaborazione è già stato firmato. Proprio a partire dall’impatto sulla comunità, il Comitato ha messo in fila le proprie richieste e le ha presentate pubblicamente. Tra i punti di polemica, la trasformazione di “uno spazio di socialità spontanea” in “uno spazio di consumo condizionato dal reddito”. Ma anche quella che viene definita una “privatizzazione strisciante” di un bene comune. «Il Giardino di San Leonardo – scrivono in un comunicato – è uno degli ultimi angoli verdi liberi del centro storico. È piccolo, imperfetto, ma vivo: un luogo di ombra, incontro, chiacchiere, bambini che giocano». Un giardino che rappresenta «memoria collettiva e comunità e resiste nonostante anni di incuria». Da ultimo, la denuncia di «un abbandono strumentale» dove «si lascia un giardino degradarsi per anni, così poi lo si dichiara “insostenibile” e si impone una trasformazione già decisa, senza un confronto vero».

    Il progetto della Johns Hopkins prevede l’allargamento della propria caffetteria verso il giardino in cambio della riqualificazione dell’area verde. Saranno abbattuti 3 allori tutelati ubicati sul muro di confine con la Johns Hopkins, che verrebbero sostituiti da 4 betulle, uno storace e un pero. Il progetto include anche una riconfigurazione dello spazio con una piazza polifunzionale in grado di ospitare eventi e festival, l’abbattimento del muro di recinzione del Giardino per portarlo a livello strada e il rinnovo di tavoli, panchine e illuminazione. Una cittadella commerciale in una zona centrale che però non mette tutti d’accordo, a cominciare dagli abitanti del quartiere Santo Stefano. Il Comitato ha poi messo in discussione lo stesso procedimento seguito dal Comune per arrivare all’approvazione. Ritirare il progetto e aprire un tavolo pubblico vero è l’obiettivo degli ambientalisti. «Per la realizzazione del progetto – continua il Comitato – è necessario demolire parte del muro di confine per estendere dentro al giardino la caffetteria, con tavolini, plateatico, pavimentazione, gazebo. Uno spazio di socialità spontanea diventerebbe uno spazio di consumo condizionato dal reddito». E sulla promessa di “apertura” della Johns Hopkins: «nessun cittadino può entrare liberamente nella Johns Hopkins né usare le aule, i cortili, le biblioteche, i servizi interni. Quello spazio resta chiuso, riservato, controllato. E allora di quale apertura parliamo?».

    Di tutt’altro avviso l’assessore all’urbanistica Raffaele Laudani: «Il giardino San Leonardo è un luogo molto amato dalla città, in molti lo abbiamo frequentato da studenti. Ma è indubbio che necessiti di lavori di manutenzione straordinaria», spiega Laudani alla stampa. «L’intervento della Johns Hopkins va visto in questo senso: come un modo di aprirsi e integrarsi maggiormente alla città, rendendo i due spazi più porosi e permeabili, oltre che un modo per restituire qualcosa alla comunità che da tanti anni la ospita». E la risposta ufficiale del Comune rilancia: «Il giardino San Leonardo è e resterà pubblico. Esattamente come oggi». Il Comune smentisce categoricamente che sia in atto una privatizzazione: «L’apertura dell’affaccio del bar dell’Università Johns Hopkins, già attivo per gli studenti dell’Università, rappresenta un presidio in più per il giardino, ma non inibirà l’uso del giardino in alcun modo. Per essere chiari: non sarà obbligatorio consumare alcunché, ed ognuno potrà liberamente fruire del parco, esattamente come oggi». La tensione è esplosa mercoledì 16 luglio con il blocco del cantiere da parte degli attivisti, che denunciano come gli scavi nell’area privata della Johns Hopkins stiano già devastando le radici degli allori e non siano autorizzati. «Giú le mani dal san Leo, fermiamo questa privatizzazione strisciante», è l’appello lanciato con l’intenzione di continuare a bloccare i lavori anche nei prossimi giorni.

  2. agosto 2, 2025 alle 12:03 PM

    un po’ di sano buon senso, finalmente!

    da Bologna Today, 31 luglio 2025

    Svolta sul San Leonardo, il Comune cambia il progetto di riqualificazione: ecco come.

    Amministrazione e università Johns Hopkins cancellano una parte degli interventi. Dal bar con il dehor fino agli alberi: l’anticipazione esclusiva su cosa rimane e cosa no nel parco al centro delle polemiche. (Michele Maestroni)

    ———————

    1 agosto 2025

    San Leonardo, dopo il cambio di rotta le associazioni al Comune: “Avanti con la riqualificazione”.

    Pulizia, accessibilità e sicurezza rimangono le priorità dei volontari che gestiscono il parco: “Modifiche previste, non è una vittoria”.

  3. settembre 12, 2025 alle 2:54 PM

    non basta riempirsi la bocca di “verde” quando non si capisce nemmeno l’importanza degli alberi in città.

    da Italia Libera, 12 settembre 2025

    Tra bagolari e tram: «Difendere gli alberi o attaccare il governo? La falsa alternativa del segretario Pd di Bologna». (Paolo Galletti)

    Forse non tutti sanno che alle ultime comunali ha votato la metà degli aventi diritto. E se non si cambia musica anche il mitico bastione contro la destra vacillerà. Il neo segretario del Pd ha messo in contrapposizione la difesa degli alberi alla lotta contro i tagli del governo e contro il genocidio a Gaza; come dire: “ci sono cose gravi e drammatiche e invece stiamo qui a piangere per un bagolaro qualsiasi, sacrificato per far passare il tram”. Con 30 anni di ritardo e una migliore progettazione, sicuramente si sarebbe potuto ridurre il taglio di alberi. E il povero “albero dei rosari”, che può regalarci ossigeno fino a 500 anni, diventa un simbolo, la metafora di una rimozione. Secondo l’Abc dell’ecologia, e delle scienze in generale, senza le piante ed il loro ossigeno la nostra specie non potrebbe esistere. E l’Europa ci ricorda che Bologna è la dodicesima città più inquinata d’Europa. Invece di non dormirci la notte si progettano ampliamenti autostradali, colate di cemento per nuove urbanizzazioni, potenziamento dell’aeroporto. Di fronte a cui non basta una union sacrée dei progressisti con qualche verde modificato geneticamente.

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