Roghi di rifiuti, il reato.


Cagliari, incendio di rifiuti presso il campo nomadi (2011)

La Corte di cassazione si è recentemente occupata di uno dei potenzialmente più pericolosi reati in danno all’ambiente e alla salute pubblica, il rogo dei rifiuti.

La sentenza Corte cass., Sez. III, 12 giugno 2025, n. 22077 ha voluto ricordare che il reato di combustione illecita di rifiuti (art. 256  bis del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i.) riguarda l’incendio appiccato a rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato: per integrare il reato non è necessaria la dimostrazione della sussistenza di danno all’ambiente o il pericolo per la pubblica incolumità.

Differente è l’ipotesi penalmente rilevante di cui all’art. 423, comma 2°, cod. pen., che riguarda un incendio di ampie proporzioni “con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, sì da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone (Sez. 1, n. 4417 del 14/01/2009, Rossetti, Rv. 242794 – 01 Sez. 1, n. 14263 del 23/02/2017, Ajmi, Rv. 269842 – 01)”.

Cagliari, S. S. n. 554, campo nomadi abusivo, incendio di rifiuti (6 novembre 2016)

Il reato di combustione illecita di rifiuti è, quindi, norma speciale “incentrata sulla sola presa delle fiamme sui rifiuti indipendentemente dal quantitativo e dal rischio di propagazione anche solo potenziale del fenomeno. Tale risultato ermeneutico trova riscontro nella previsione dell’art. 424 cod. pen. che, a fronte della medesima locuzione adoperata per descrivere la condotta (‘appicca il fuoco’), a differenza dell’art. 256 bis d.lgs. citato, richiede per la punibilità un ulteriore elemento, ossia che dal fatto sorga il pericolo di un incendio, così rendendo palese che tale elemento non è richiesto per l’integrazione del reato di combustione illecita di rifiuti (Sez. 3, n. 17069 del 24/01/2019, Rv. 275905; Sez. 3, n. 52610 del 04/10/2017, Rv. 271359; Sez. 3, n. 16346 del 11/1/2021, Baldi)”.

Il fuoco appiccato ai rifiuti, per la natura e composizione indistinta degli stessi, potenzialmente costituisce elemento di grave rischio per l’ambiente e la salute pubblica.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Roma, Corte di cassazione

dalla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, 16 giugno 2025

Cass. Sez. III n. 22077 del 12 giugno 2025 (UP 14 mag 2025)
Pres. Ramacci Rel. Bucca Ric. Goddi
Rifiuti. Reato di illecita combustione.

Il reato di combustione illecita di rifiuti di cui all’art. 256-bis del d.lgs n. 152 del 2006 si configura con l’appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata, non essendo richiesto, per l’integrazione del reato, la dimostrazione del danno all’ambiente e il pericolo per la pubblica incolumità. Inconferente è poi il confronto con l’art. 423 comma 2 cod. pen., risultando non equiparabile il dato normativo. L’incendio, che connota la fattispecie incriminatrice richiamata, richiede un evento di vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, sì da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone. La norma speciale è, invece, incentrata sulla sola presa delle fiamme sui rifiuti indipendentemente dal quantitativo e dal rischio di propagazione anche solo potenziale del fenomeno.

RITENUTO IN FATTO

1.Con sentenza in data 19/9/2023 la Corte di appello di Firenze ha confermato la condanna alla pena di anni uno e mesi cinque di reclusione resa all’esito del primo grado di giudizio dal Tribunale di Grosseto nei confronti di Goddi Rita, ritenuta responsabile, in qualità di amministratrice dell’omonima azienda agricola, del reato di cui all’art. 256, comma 2 d. lgs. 152/2006 per abbandono incontrollato di rifiuti ferrosi in un’area di cui aveva la disponibilità e di quello di cui all’art. 256 bis d.lgs. 152/06 per aver, nella medesima area, appiccato il fuoco a rifiuti rappresentati da imballaggi di plastica, imballaggi di ferro e rifiuti prodotti dall’agricoltura.

2. Avverso la sentenza, l’imputata, per il tramite del proprio difensore, propone ricorso per cassazione articolando otto motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge e il difetto di motivazione con riferimento alla mancata dichiarazione di prescrizione, assumendo che il reato di cui all’art. 256 TUA si era prescritto il 10/4/2023.
2.2 Con il secondo motivo, si denuncia la violazione dell’art. 256 comma 2 lett. a) d.lgs. 152/06 e il vizio di motivazione. In particolare, si contestata che non fosse rimasto provato che ricorrevano gli estremi del deposito temporaneo di rifiuti. Si deduce, infatti, che le deposizioni rese dai testi Taggia, Goddi Paolo, Pala, Piras e Miralli, che si assume dalla Corte non adeguatamente valutate, avevano provato che l’azienda agricola conferiva i rifiuti metallici alla Mar SID di Treggia Silvio che provvedeva a recuperarli al raggiungimento del quantitativo minimo di cinque/sei tonnellate, quantitativo che, al momento dell’accertamento originante il procedimento, non poteva dirsi raggiunto. Si confuta, poi, il rilievo dato dalla Corte territoriale all’assenza del registro relativo ai rifiuti, assumendo che il dato poteva comportare al massimo l’irrogazione di una sanzione amministra, e si contesta la sussistenza della condizione di incertezza circa l’origine dei rifiuti metallici, individuata dalla Corte territoriale come ulteriore elemento che concorreva ad escludere che sussistessero i requisiti per la configurazione del deposito temporaneo, richiamando la deposizione di Metrano, che nel corso del sopralluogo aveva rilevato “la presenza a destra di un capannone di materiale ferroso”, per sostenere che era “emerso dalle risultanze istruttorie che le lamiere fossero lo scarto della vecchia copertura rimossa del capannone dell’azienda”
2.3 Con il terzo motivo, si denuncia il vizio di motivazione con riferimento “alla necessaria ricorrenza del pericolo concreto ai fini della sussistenza del reato di cui al secondo capo di imputazione”. Si sostiene che nel caso di abbruciamento di rifiuti non pericolosi il pericolo deve essere concreto, ossia “deve aver messo a repentaglio la zona circostante”, presupposto non verificato dai giudici di merito, e si richiamano, a sostegno del risultato ermeneutico enunciato, precedenti giurisprudenziali relativi all’incendio di cosa propria.
2.4 Con il quarto motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione all’”inesistenza dell’elemento soggettivo del reato e della colpevolezza dell’imputata”. Si sostiene che il passo della deposizione di Goddi Paolo, valorizzato dalla Corte territoriale ai fini della configurazione dell’elemento soggettivo, non permetteva di desumere un qualunque coinvolgimento dell’imputata nelle operazioni di smaltimento dei rifiuti.
2.5 Con il quinto motivo, si denuncia la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione all’omessa applicazione dell’art. 131 bis cod. pen. Si deduce che la Corte territoriale non aveva tenuto in considerazione che: la condotta aveva interessato un’area situata nelle vicinanze del capannone, per cui ingiustificato era il rilievo dato dalla Corte territoriale al fatto che la condotta fosse stata posta in essere in un’azienda agricola; la condotta incriminata aveva avuto a oggetto quantitativi ridotti di rifiuti non pericolosi; era stato eseguito il ripristino dello stato dei luoghi; il danno derivato era stato di modesta entità, essendo stati i rifiuti ferrosi smaltiti tramite la Mar. Sid. e avendo l’abbruciamento avuto a oggetto “prevalentemente materiale organico”; non vi erano prove della colpevolezza dell’imputata.
2.6 Con il sesto motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione all’omessa derubricazione del reato “contestato al capo b) nell’ipotesi di cui all’art. 256 comma 1 d.lgs. 152/2006”. Si deduce che la Corte territoriale non aveva risposto all’argomento difensivo secondo il quale le condotte di abbruciamento di rifiuti effettuate con le modalità e alle condizioni indicate dall’art. 182 comma 6-bis d.lgs citato non rientravano nelle operazioni di gestione dei rifiuti.
2.7 Con il settimo motivo, si lamenta che il vizio di motivazione in relazione ai “motivi di gravame relativamente ai diritto al silenzio”. Si deduce che il silenzio di Goddi era stata valutato come elemento a sfavore dell’imputata dal giudice di prime cure in palese violazione dei principi enunciati al riguardo “dai giudici di Strasburgo”.
2.8 Con ultimo motivo, si denuncia il vizio di motivazione in relazione al diniego di sostituzione della pena irrogata con i lavori di pubblica utilità. Si assume che l’omesso svolgimento del lavoro di pubblica utilità avrebbe avuto conseguenze pregiudizievoli per l’imputata per cui illogico risultava il ragionamento della Corte territoriale che aveva negato la sostituzione rilevando che l’imputata si era resa precedentemente “inadempiente al pagamento in via amministrativa cui era stata ammessa per l’estinzione del reato di cui al capo a)”.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato in relazione solo al motivo prospettante la prescrizione della contravvenzione ascritta al capo a) risultando gli ulteriori motivi manifestamente infondati o non consentiti il sede di legittimità.
La sentenza di primo grado risulta resa il 20/10/2022 e previde un termine per il deposito della motivazione di giorno 90. Dal 18/1/2023 al 19/9/2023, quindi, il decorso della prescrizione risulta sospeso, ai sensi del comma 2 dell’art. 159 cod. pen. nel testo inserito dalla l. 29/6/2017 n. 103, applicabile ratione temporis, essendo stati commessi i reati nel periodo di vigenza della norma, come chiarito dalla Sezioni unite all’udienza del 12/12/2024, decisione di cui si conosce solo l’informazione provvisoria. La sentenza di appello previde il termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. Dal 19/12/2023 al 13/5/2025, quindi il termine di prescrizione risulta sospeso. All’udienza del 29/9/2022, infine, il processo è stato rinviato al 20/10/2022 su richiesta della difesa, per cui complessivamente, il decorso del termine prescrizionale è rimasto sospeso per anni 2, mesi 1 e giorni 14.
Venendo, ancora, alla data di decorrenza del termine, il ricorso assume che per la contravvenzione contestata al capo a) il termine di prescrizione decorrerebbe dalla data di accertamento, ossia il 10/4/1018, avendo “la Corte di cassazione, con sentenza del 17/3/2016 n. 10960 stabilito che il reato di abbandono di rifiuti…ha natura istantanea se non è seguito da successive attività…”.
Sennonchè, l’ipotesi ricostruttiva contestata e ritenuta configura, in relazione alla condotta ascritta al capo a), è quella del deposito incontrollato che ha invece natura permanente (Sez. 3, n. 30910 del 10/06/2014, Ottonello, Rv. 260011 – 01), perché “la condotta riguarda un’ipotesi di deposito “controllabile” cui segue l’omessa rimozione nei tempi e nei modi previsti dalla norma citata, donde l’inosservanza di dette condizioni integra un’omissione a carattere permanente, la cui antigiuridicità cessa sino allo smaltimento o al recupero” ( Sez. 3, n. 6999 del 22/11/2017 (dep. 2018), Paglia). 
A rigore, pertanto, il dies ad quem dovrebbero coincidere con la data del sequestro, avvenuto il 18/4/2018.
In ogni caso, anche a far decorrere la prescrizione dal 10/4/2018, la contravvenzione non risulta prescritta, giungendo a compimento il termine il 24/6/2025.

2. Venendo agli altri motivi del ricorso, la sentenza impugnata, riprendendo gli argomenti del Tribunale, ha disatteso la tesi difensiva volta a configurare l’ammasso di rifiuti rinvenuti quale deposito temporaneo sottolineando: che i rifiuti erano accumulati alla rinfusa e non per categorie omogenee, come imposto dall’art. 183 comma 3 d.lgs. n. 152/2006, nel testo all’epoca dei fatti vigente; l’occasionalità  dei rapporti con la ditta Mar. Sid., desunta dal fatto che le operazioni di ritiro dei rifiuti effettuate da tale ditta presso l’azienda agricola dell’imputata erano tutte successive al sopralluogo originante il procedimento e dall’assenza di un registro di carico e scarico del materiale ferroso; che non era rimasto provato che i rifiuti fossero stati raggruppati in vista del futuro smaltimento nel rispetto delle cadenze temporali previste dal comma 1 lett. bb)) dell’art. 183, ora trasfuso nel comma 2 dell’art. 185 bis; l’incertezza in ordine alla provenienza dei rifiuti non essendo documentato il collegamento con l’attività agricola che aveva luogo nell’area e non risultando registrate le lastre di lamiera nel registro di carico e scarico dei rifiuti.
Si è, quindi, in presenza di un apparato motivazionale, risultante dalle sentenze di merito, che risulta aderente alle risultanze probatorie, non essendo stata denunciato il travisamento della prova, e che applica correttamente le previsioni normative richiamate.
Non ricorre, pertanto, la violazione di legge sostanziale denunciata.
Ai fini della corretta deduzione del vizio di cui all’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen., il motivo di ricorso, infatti, deve strutturarsi sulla contestazione della riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispecie astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, sostenere che le emergenze istruttorie acquisite siano idonee o meno a consentire la ricostruzione della condotta di cui si discute in termini tali da ricondurla al paradigma legale. Nel primo caso, infatti, viene effettivamente in rilievo un profilo di violazione di legge laddove si deduce l’erroneità dell’opera di “sussunzione” del fatto rispetto alla fattispecie astratta; nel secondo caso, invece, la censura si risolve nella contestazione della possibilità di enucleare, dalle prove acquisite, una condotta corrispondente alla fattispecie tipica che è, invece, operazione prettamente riservata al giudice di merito.
2.1 Venendo al deficit argomentativo denunciato con il secondo motivo, a fronte del decritto apparato giustificativo, destituite di ogni fondamento paiono a questo Collegio le censure mosse dalla ricorrente con il motivo di ricorso in valutazione, costituendo in realtà espressione del tentativo, non consentito, di imporre a questa Corte una rilettura dei fatti processuali risultati nel corso dei due gradi di giudizio, qualificando come vizi di legittimità doglianze che esplicano, in effetti, un dissenso sulla valutazione da parte dei giudici di merito delle risultanze probatorie. Il motivo, infatti, non individua alcun vizio motivazionale nel ragionamento probatorio che sorregge la decisione ma valorizza prove dichiarative, di cui riporta frasi o fornisce sintesi, senza però mettere a disposizione le relative trascrizioni, così non ottemperando al principio di autosufficienza del ricorso, per accreditare una versione alternativa che entrami i giudici di merito hanno, in maniera del tutto condivisibile, respinto.
Gli argomenti difensivi esprimono valutazioni in punto di fatto, che offrono una lettura alternativa, e, peraltro, assai discutibile, del compendio probatorio rispetto a quella dei giudici di merito, con le quali la ricorrente deduce che è ingiustificato il valore significativo dato a questa o quella prova mentre invece maggior peso avrebbe dovuto essere assegnato ad altre deposizioni, ritenute ingiustamente obliterate, così implicando un giudizio valutativo della prova e, dunque, una considerazione in fatto che è preclusa al giudice della legittimità, in assenza di rilievi circa la sussistenza di alcuno dei vizi sindacabili in Cassazione.
 E’ stato in maniera condivisibile osservato che “in tema di ricorso per cassazione, invero, non basta prospettare una valutazione della prova diversa rispetto a quella del giudice del merito ovvero asserire l’eventuale erronea lettura di un dato fattuale per denunciare il vizio di illogicità manifesta, essendo altresì necessario spiegare perché -nel caso concreto- venga a configurarsi una illogicità, ossia un vizio che consegue «alla violazione di principi della logica formale diversi dalla contraddittorietà o dei canoni normativi di valutazione della prova ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen. ovvero alla invalidità o alla scorrettezza dell’argomentazione per carenza di connessione tra le premesse della abduzione o di ogni plausibile nesso di inferenza tra le stesse e le conclusioni», (Sez. 1, Sentenza n. 53600 del 24/11/2016, Sanfilippo)” ( Sez. 2, n. 38818 del 7/6/2019, M.). 
 Vizio che, per di più, deve essere qualcosa che collide con il modo di ragionare comune, quasi sorprendendo (ictu oculi) il lettore per la sua insensatezza. Per tale ragione, minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, sono irrilevanti, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l’esame del complesso probatorio, entro il quale ogni elemento sia contestualizzato, che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (così, tra moltissime, Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227; Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013, Rv. 254988). 
2.2 Il motivo in valutazione lamenta la scarsa considerazione data alle deposizioni che provavano i rapporti fra l’azienda agricola e la Mar Sid di Treggia Silvio, ma non si confronta con la motivazione della Corte territoriale che proprio muovendo dalla deposizione di Treggia aveva rilevato come i rapporti fra le due aziende fossero tutti successivi al sopralluogo che aveva originato il procedimento, non essendovi traccia  di interventi precedenti, nonostante le operazioni eseguite dalla Mar Sid in favore dell’azienda agricola avrebbero imposto la predisposizione di documentazione relativa ai rifiuti movimentati. Va anche ricordato che il quantitativo di rifiuti non è l’unico parametro richiesto ai fini della configurabilità del deposito temporaneo, prevedendo la disciplina che il deposito non possa avere durata superiore a un anno. Ma anche sotto tale profilo nessun elemento di prova è stato indicato dalla difesa per confutare le conclusioni dei giudici di merito. I testi Pala, Miralli e Piras, ancora, non sono stati affatto ignorati dai giudici di merito i quali ne hanno segnalato l’inattendibilità non soltanto valorizzando i rapporti di amicizia con l’imputata ma anche la sporadicità della presenza in azienda e il contrasto con circostanze di fatto cadute sotto la diretta percezione degli operanti o rivelate dalla deposizione di Treggia. Si contesta, poi, il rilievo dato dalla Corte territoriale alla mancanza del registro di carico e scarico dei rifiuti e l’utilizzazione di tale mancanza al fine di ritenere non dimostrata la provenienza delle lastre di lamiera dall’attività agricola gestita da Goddi. Nel ricorso, però, l’assenza del registro di carico e scarico viene espunto dal ragionamento probatorio nel quale risulta inserito, per prospettarne, in una valutazione parcellizzata, l’assenza di rilievo penale mentre la prova della materiale produzione nell’area delle lastre è desunta dal fatto che erano collocate a poca distanza da un capannone, senza però precisare per quale legge di copertura tale vicinanza collegava le lastre al manufatto, così da integrare il requisito della produzione del rifiuto nel sito. Non è dato, ancora, comprendere, e il ricorso non spiega, come la deposizione di Goddi Paolo, che aveva sostento di aver “bruciato paglia e fieno” sia compatibile con i residui di rifiuti combusti di natura mista, occupante una superficie di 15 mq., rinvenuta dagli operanti nell’area.
2.3 Va a questo punto ricordato che ai fini della configurazione del deposito temporaneo di rifiuto devono sussistere gli specifici requisiti richiesti dall’art. 183 bb) d. lgs. 152/2006, così come sostituito dal d.lgs. n. 116 del 2020, che riprende, in sostanziale continuità, la definizione della normativa previgente, gravando sull’interessato, posto che il regime giuridico più favorevole invocato ha portata derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria, l’onere di fornirne la relativa dimostrazione (Sez. 3, n. 29084 del 14/05/2015, Favazzo e altro, Rv. 264121; Sez. 3, n. 35494 del 10/05/2016, Di Stefano, Rv. 267636 – 01; Sez. 3, n. 11167 del 14/12/2023 (dep. 2024 ), Parenti,  Rv. 286043 – 02).
Applicando tale principio al caso di specie, non possono che condividersi le conclusioni cui sono giunti i giudici di merito mancando, per la configurazione del deposito temporaneo, non soltanto la suddivisione per categorie omogenee dei rifiuti ma, ancor prima, la prova che il raggruppamento dei rifiuti fosse costituito da materiale prodotto nel sito e che la loro permanenza nell’area non si protraeva da più di un anno.

3. Non maggior fondamento ha il terzo motivo di impugnazione, avendo la Corte territoriale correttamente applicato il principio giurisprudenziale, espressione di un orientamento di legittimità consolidato cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, secondo cui il reato di combustione illecita di rifiuti di cui all’art. 256-bis del d.lgs n. 152 del 2006 si configura con l’appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata, non essendo richiesto, per l’integrazione del reato, la dimostrazione del danno all’ambiente e il pericolo per la pubblica incolumità. (Sez. 3, n. 52610 del 4/10/2017,  Sancilles,  Rv. 271359; Sez. 2, n. 24302 del 19/5/2022, Salkanovic).
Inconferente è poi il confronto con l’art. 423 comma 2 cod. pen., risultando non equiparabile il dato normativo. L’incendio, che connota la fattispecie incriminatrice richiamata, richiede un evento di vaste proporzioni, con fiamme divoratrici che si propaghino con potenza distruttrice, sì da porre in pericolo l’incolumità di un numero indeterminato di persone (Sez. 1, n. 4417 del 14/01/2009, Rossetti, Rv. 242794 – 01 Sez. 1, n. 14263 del 23/02/2017, Ajmi, Rv. 269842 – 01). La norma speciale è, invece, incentrata sulla sola presa delle fiamme sui rifiuti indipendentemente  dal quantitativo e dal rischio di propagazione anche solo potenziale del fenomeno. Tale risultato ermeneutico trova riscontro nella previsione dell’art. 424 cod. pen. che, a fronte della medesima locuzione adoperata per descrivere la condotta ( “appicca il fuoco”), a differenza dell’art. 256 bis d.lgs. citato, richiede per la punibilità un ulteriore elemento, ossia che dal fatto sorga il pericolo di un incendio, così rendendo palese che tale elemento non è richiesto  per l’integrazione del reato di combustione illecita di rifiuti (Sez. 3, n. 17069 del 24/01/2019, Rv. 275905; Sez. 3, n. 52610 del 04/10/2017, Rv. 271359; Sez. 3, n. 16346 del 11/1/2021, Baldi).

4. Il quarto motivo ripropone il corrispondente motivo di appello senza confrontarsi con la motivazione della Corte territoriale, che aveva sottolineato che l’accumulo del materiale ferroso nell’area e l’utilizzo di paglia e fieno per pulire il terreno costituiva una prassi abituale e non l’iniziativa di dipendenti indisciplinati così da permetterne la riconduzione dall’imputata che, per la posizione apicale occupata, doveva avere contezza delle procedure aziendali e, quindi, non poteva ignorare che, alla data del sopralluogo, l’azienda non disponeva di canali leciti di smaltimento dei rifiuti.
Il ricorso contesta il valore dimostrativo dato dalla Corte territoriale alla frase di Goddi Paolo che aveva sostenuto che era “loro abitudine accumulare il materiale ferroso e di bruciare paglia e fieno per pulire l’area”  senza però spiegare perché l’uso del plurale non debba ricomprendere, in primo luogo, l’imputata, che quell’attività imprenditoriale gestiva individuando le strategie per la risoluzione delle problematiche connesse, prima fra tutte lo smaltimento dei rifiuti. 
Tale conclusione consente di disattendere anche la tesi della responsabilità colposa che già la Corte territoriale aveva respinto precisando non era quello il criterio di imputazione a Goddi dei reati.

5. Del pari inammissibile deve ritenersi il motivo relativo al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto.
 Va, preliminarmente,  ricordato che “ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo” (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushiaj, Rv. 266590 – 01).
L’indice criterio della particolare tenuità dell’offesa deve poi coesistere, per l’applicazione della causa di non punibilità, con la non abitualità del comportamento.
Quanto al primo degli indici criteri, le Sezioni Unite “Tushaj” hanno chiarito che si richiede una “valutazione complessa” che tenga conto “di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto”, non interessandosi la normativa “della condotta tipica, bensì…alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena” assumendo rilievo, in tale ambito, anche “l’intensità del dolo e il grado della colpa”.
Va, infine, precisato che il giudizio di particolare tenuità dell’offesa richiede un esito positivo della valutazione di tutte le componenti richieste per l’integrazione della fattispecie, sicché i criteri indicati nel primo comma dell’articolo 131-bis cod. pen. sono in realtà cumulativi per pervenire ad un giudizio di particolare tenuità dell’offesa ai fini del riconoscimento della causa di non punibilità ed invece alternativi quanto al diniego, nel senso che l’applicazione della causa di non punibilità in questione è preclusa dalla valutazione negativa anche di uno solo di essi ( Sez. II, n. 8979 del 14/2/2024, Costanzo; Sez. V, n. 50171 del 30/9/ 2019, Sclip; C., Sez. II, n. 48555, del 10/9/2018,Bartoli).
L’esegesi della norma invocata rende evidente la manifesta infondatezza delle censure difensive.
  La sentenza impugnata ha escluso l’indice criterio della particolare tenuità dell’offesa valorizzando le modalità di deposito dei rifiuti, che avevano comportato il rischio di inquinamento del terreno, e l’abitualità delle condotte criminose. Tale argomento va a integrare quello del Tribunale che aveva anche valorizzato la quantità dei rifiuti che erano stati oggetto delle condotte illecite.
Si è in presenza di un’argomentazione stringente, priva di cedimenti logici o manifeste incongruenze che si sottrae alle censure difensive in quanto delinea una offesa non tenue che il successivo comportamento di Goddi, peraltro imposto dalla disciplina vigente, non è idoneo a ricondurre nell’ambito di applicazione della norma invocata (Sez. 3, n. 19637 del 1/2/2024, Aronne; Sez. 2, del 16/11/2023, n. 51264. Di Giovanni; Sez. 3, n. 18029 del 4/4/2023, Hu, Rv. 284497 – 01).

6. Manifestamente infondata risulta la doglianza che lamenta la mancata risposta della Corte territoriale al motivo che invocava la sussunzione della condotta contestata al capo b) nella previsione del comma 1 dell’art. 256 d.lgs. 152/06 d.lgs. 152/2006. 
La richiesta difensiva confligge con la ricostruzione cui sono pervenuti i giudici di merito che hanno ritenuto che il fuoco fosse stato appiccato a rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata. 
Va, quindi, ribadito che l’incenerimento a terra, costituendo una forma di gestione dei rifiuti, in caso di mancanza della necessaria autorizzazione, integra, fuori dalle deroghe previste in certi casi per il materiale vegetale, la contravvenzione di smaltimento non autorizzato ex art. 256 comma 1 d.lgs. citato se non commessa su rifiuti abbandonati o depositati in modo incontrollato ( Sez. 3, n. 38021 del 30/5/2019, Viasu; Sez. 3, n. 16346 del 11/1/2021, Baldi) 
Di nessuna censura è, pertanto, passibile la sentenza impugnata in relazione alla richiesta difensiva: la non configurabilità del deposito temporaneo dà implicitamente risposta all’argomento difensivo tenuto conto che la qualificazione invocata non è riferibile alla combustione di rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata.
Invero, come ripetutamente affermato da questa Corte, nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e delle risultanze istruttorie, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo, nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le allegazioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 4, n. 1149 del 24/10/2005 – dep. 13/01/2006, Mirabilia, Rv. 233187; Sez. 5, n. 6746 del 13/12/2018 – dep. 12/02/2019, Currò, Rv. 275500).

7. Le considerazioni appena svolte si attagliano anche agli ulteriori argomenti difensivi, proposti riproducendo nel ricorso una parte della motivazione della sentenza n. 38021/19, che denunciano l’inapplicabilità dell’art. 256 bis ai rifiuti di imballaggio o alle attività di raggruppamento e abbruciamento di cui all’art. 182 comma 6 bis relative ai piccoli cumuli di materiali vegetali di cui all’art. 185 comma 1 lett. f). Non è, infatti, dato comprendere come tali argomenti possano riferirsi al materiale eterogeno rinvenuti dagli agenti accertatori. 

8. Generico risulta il motivo che prospetta l’illegittima valorizzazione in chiave accusatoria del silenzio dell’imputata, non spiegando le doglianze difensive l’incidenza che l’elemento probatorio assume nella motivazione contestata.
Mutuando quanto da questa Corte sostenuto in ordine ai motivi prospettanti l’inutilizzabilità o la nullità dell’elemento probatorio (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011), va osservato che  era onere del ricorrente illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento; gli elementi di prova illegittimamente valorizzati diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare  l’identico convincimento. Onere che non risulta adempiuto. 

9. Manifestamente infondato, infine, risulta l’ultimo dei motivi di ricorso, avendo la Corte ritenuto che l’omesso pagamento della somma determinata a titolo di oblazione amministrativa impedisse la formulazione di una prognosi positiva in ordine al rispetto del programma relativo al lavoro di pubblica utilità. Il ricorso sostiene che tale argomento sarebbe manifestamente illogico in quanto “l’eventuale mancato espletamento del lavoro di pubblica utilità andrebbe a esclusivo svantaggio della odierna ricorrente”. Sennonché l’argomento si attaglia perfettamente anche al mancato versamento della sanzione amministrativa in quanto l’inadempimento ha determinato l’instaurazione per la contravvenzione del procedimento penale e la condanna penale. Il motivo, quindi, non intacca la logicità del ragionamento dalle Corte territoriale che dal mancato versamento della sanzione amministrativa ha tratto elementi per ritenere di non poter configurare il requisito di cui all’art. 58 comma 1 ultimo periodo l. 689/81.

10. Segue all’esito del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14/5/2025 

Selargius, loc. Sa Muxiurida, rogo notturno di rifiuti

(foto per conto GrIG, S.D., archivio GrIG)

  1. Avatar di capitonegatto
    capitonegatto
    giugno 19, 2025 alle 6:26 PM

    Se aumentiamo le pene , ma non un servizio di vigilanza e prevenzione sul territorio, allora e’ solo demagogia. Diamo i mezzi al sindaco, alla forestale , ma a qualcuno che deve fare e risponderne.

  2. dicembre 12, 2025 alle 10:04 PM

    da La Nuova Sardegna, 12 dicembre 2025

    Carabinieri. Incendio di materiali pericolosi: «Volevamo cacciare via i topi» – chi sono i tre arrestati.

    Il rogo nella zona industriale di Macomer, ai domiciliari due uomini e una donna.

    Macomer Ad attirare l’attenzione dei carabinieri della Compagnia di Macomer è stata una colonna di fumo ben visibile anche dalla città, proveniente dalla zona industriale di Tossilo. Quando i militari sono arrivati sul posto, hanno constatato l’origine del fumo: un vero e proprio immondezzaio con materiali di ogni tipo, anche pericolosi, dato alle fiamme. A fare la guardia, tre persone, due uomini e una donna, che i militari hanno arrestato perché  ritenuti gli autori del rogo. Questi gli arrestati:

     Antonio Falchi, 51 anni di Macomer, Agata Scarpulla, 46 anni di Bosa, e Pinuccio Sale, 54 anni, anche lui di Macomer. Alle domande dei carabinieri avrebbero prima tentato di minimizzare, poi accampato scuse fantasiose legata a una possibile necessità di “disinfestare” per la presenza di ratti. L’incendio è statao appiccato nei pressi di una costruzione alla quale i tre avevano accesso. Il punto è che i materiali dati alle fiamme si sono rivelati di natura estremamente pericolosa: tra questi, frigoriferi, cucine a gas, materiali in plastica, altri in legno, vetro, rifiuti ingombranti di ogni tipo, che tra l’altro producono gas ed esalazioni pericolose per la salute, ma anche per l’ambiente. L’immondezzaio, tra l’altro, si trova non lontano da un corso d’acqua. L’arresto dei tre è stato motivato dalla combustione illecita di rifiuti, reato aggravato dall’inasprimento delle pene previsto dal cosiddetto “decreto Terra dei Fuochi”. Ovviamente a Tossilo è stato necessario l’intervento dei Vigili del fuoco di Macomer, che hanno domato le fiamme e messo in sicurezza l’area, sulla quale a poca distanza insistono diverse attività produttive, ma anche proprietà, vigne e orti. Tutta la zona, che si trova proprio sotto Macomer, è stato poi posta sotto sequestro per ulteriori accertamenti e per capire se la combustione dei rifiuti possa aver provocato conseguenze al terreno. Saranno eseguiti anche controlli per verificare la salubrità dell’aria. I tre arrestati sono stati mandati ai domiciliari, e ieri si è svolta l’udienza di convalida. La misura è stata convalidata e per tutti e tre è stato disposto l’obbligo di firma nella caserma sede della Compagnia dei carabinieri di Macomer comandata dal capitano Giovanni Maria Seu.

  3. dicembre 16, 2025 alle 6:10 PM

    dal sito web istituzionale del Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale, 14 dicembre 2025

    Capoterra. Sorpreso a bruciare rifiuti speciali.

    La Stazione Forestale e di vigilanza ambientale di Uta ha denunciato il titolare di un’impresa edile sorpreso in flagranza mentre bruciava rifiuti speciali in un terreno agricolo, nelle campagne di Capoterra. L’uomo era già stato sanzionato e obbligato alla bonifica per precedenti analoghi.

    Le segnalazioni e l’interventoL’indagine è scattata dopo diverse segnalazioni di ricorrenti episodi di combustione di rifiuti nella zona con la presenza di fumi intensi, maleodoranti e avvertibili sia nelle prime ore del mattino sia in tarda serata.Durante il controllo, gli agenti hanno sorpreso l’indagato mentre alimentava un rogo, di circa cinque metri quadri, composto da legno verniciato, vetro, plastica e alluminio. L’abbondante presenza di ceneri testimoniava ulteriori combustioni pregresse.

    Il precedente del 2024 e l’omessa bonificaL’uomo era stato denunciato l’8 giugno 2024 per la stessa condotta nello stesso terreno.In quell’occasione, un’area agricola di circa 900 metri quadri (adibita a deposito abusivo di rifiuti, anche pericolosi come eternit e plastica, oltre a un natante e un autocarro in disuso) era stata sottoposta a sequestro, con contestuale prescrizione di bonifica ai sensi dell’art. 318 del D.Lgs. 152/2006.Le prescrizioni risultano tuttora inadempiute.

    I reati contestatiPer il nuovo episodio, l’indagato è stato segnalato all’Autorità Giudiziaria per diversi reati previsti dal D.Lgs. 152/2006 (artt. 256-bis, 255, 256, 259-bis, 260-bis), relativi alla gestione illecita di rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi, senza autorizzazioni e in assenza dei sistemi di tracciabilità obbligatori.La Procura della Repubblica di Cagliari ha convalidato l’operato degli inquirenti del Corpo Forestale.

    Il quadro sanzionatorioLa normativa vigente prevede un rilevante inasprimento delle sanzioni per la gestione illegale dei rifiuti, con ammende che possono raggiungere circa 4.500 euro, oltre alle responsabilità penali per le condotte più gravi.

    Pericoli per l’ambiente e la saluteIl Corpo Forestale ricorda che la combustione di rifiuti sprigiona sostanze altamente pericolose — tra cui diossine, furani e particolato fine — che possono contaminare aria, suolo e colture, con effetti dannosi per la salute umana e per l’ecosistema.

    Invito alla collaborazioneLa cittadinanza è invitata a segnalare tempestivamente episodi analoghi al numero di emergenza 1515, attivo 24 ore su 24.

  4. dicembre 18, 2025 alle 2:04 PM

    da L’Unione Sarda, 18 dicembre 2025

    Decimomannu, discarica abusiva di tre ettari e roghi di rifiuti: due arresti.

    Scoperte anche alcune baracche fatiscenti adibite a ricovero per animali, tenuti in condizioni igienico-sanitarie precarie.

    Un’area di circa tre ettari trasformata in una discarica abusiva, rifiuti di ogni tipo – anche pericolosi – e ripetuti episodi di combustione illecita. È quanto hanno scoperto i carabinieri nel corso di un’operazione straordinaria di controllo del territorio che si è conclusa con due arresti e due denunce.

    L’intervento è scattato nel pomeriggio di martedì a Decimomannu ed è stato condotto dai militari della stazione locale, con il supporto dell’Aliquota Radiomobile della compagnia di Iglesias, dei colleghi di San Sperate e Uta e del Nucleo Operativo Ecologico (NOE) di Cagliari. Decisivo anche il contributo dell’11° Nucleo Elicotteri dei carabinieri, che dall’alto ha permesso di individuare l’estensione dell’area utilizzata come discarica illegale.

    Al termine delle verifiche, due uomini di 46 e 20 anni, residenti nel comune e già noti alle forze dell’ordine, sono stati arrestati per combustione illecita di rifiuti e gestione non autorizzata di una discarica abusiva. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i due avrebbero avuto un ruolo diretto nello smaltimento illegale e nei roghi dei materiali accumulati.

    Denunciate a piede libero anche altre due persone: una donna di 47 anni, titolare di una ditta individuale e intestataria di un autocarro utilizzato per il trasporto dei rifiuti, e un giovane di 22 anni, ritenuto responsabile di alcuni incendi di rifiuti avvenuti tra il 14 e il 15 dicembre.

    Durante l’operazione, i carabinieri hanno inoltre scoperto alcune baracche fatiscenti adibite a ricovero per animali, tenuti in condizioni igienico-sanitarie precarie. Sul posto è intervenuto il personale della Asl di Cagliari per le verifiche del caso. Gli animali sono stati successivamente affidati a familiari degli indagati, con specifiche prescrizioni sanitarie.

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