Reportage Sulcis.


Portoscuso, zona industriale di Portovesme

Portoscuso, zona industriale di Portovesme

Marco Corrias, per le Inchieste di La Repubblica, ci presenta “Il paradiso inquinato”, un bel reportage sull’inquinamento nel Sulcis.

Da leggere e da vedere.  Poi un pizzico di riflessione è doveroso.  E, se qualcuno vuole rimboccarsi le maniche e fare qualcosa di concreto, noi siamo qui.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

da La Repubblica – inchieste, 3 giugno 2013

Viaggio nel Sulcis terra avvelenata. Chiudono le fabbriche, restano i rifiuti.  Marco Corrias

Questa zona della Sardegna è considerata tra quelle a più alto rischio in Italia. L’ultimo allarme è la scoperta di cloroformio, ma le contaminazioni sono infinite, arsenico incluso. I fanghi rossi e l’incubo della presenza di elementi radioattivi. Con la crisi delle aziende, Alcoa in testa, restano la centrale a carbone dell’Enel e la Portovesme Srl che tratta i fumi di acciaieria.

qui il video Portovesme: “Ho perso tutto e mi sono ammalato” . Quaranta chilometri di stradine costruite con rifiuti tossici. Il racconto di una vittima, colpita da un tumore. I cavalli stroncati da crisi epilettiche. Le accuse degli Amici della Terra, associazione ambientalista: “Non c’è controllo del territorio. Chi ha guadagnato inquinando guadagna due volte con il disinquinamento”.

Portoscuso, porto e zona industriale di Portovesme

Portoscuso, porto e zona industriale di Portovesme

PORTOSCUSO (Carbonia-Iglesias) – Il dottor Luigi Atzori, medico condotto di Portoscuso e vicesindaco, è uomo mite, prudente e informato. Dei suoi compaesani conosce la biografia sanitaria fin dalla nascita. Come tanti, da queste parti, ha creduto nell’industrializzazione, e ancora oggi non rinuncia a sperare che l’industria, magari in forme meno devastanti, possa ridestarsi e lenire la disperazione che ha invaso la sua gente con la chiusura delle industrie. Non ha bisogno di statistiche il dottor Atzori, per ricordare i troppi morti provocati dall’inquinamento. Ricorda uno per uno la decina di lavoratori che al porto industriale scaricavano a mani nude, senza alcuna protezione, la blenda, la galena e persino la pece, che dovevano servire per la lavorazione dello zinco. Polveri che li hanno avvolti per anni e hanno finito per ucciderli, uno dopo l’altro. Ricorda i muratori delle imprese esterne dell’Alcoa impiegati a distruggere e ricostruire i forni neri, morti per i veleni incontrati nel lavoro, ma mai riconosciuti come operai a rischio, proprio perché assunti da muratori, e quindi non degni neanche di un misero risarcimento alle famiglie. Conosce tutto questo, il dottor Atzori, anche se la sua natura prudente gli fa dire che “comunque una cosa sono le morti dei lavoratori, un’altra l’incidenza che l’inquinamento può aver avuto sulle morti per tumori della popolazione: “Questa non è dimostrata”.
Da qualche mese il dottor Atzori e con lui tutti coloro che di allarme ambientale si occupano a Portovesme e d’intorni sono impegnati su un nuovo fronte. Nel mefitico calderone dei veleni del Sulcis c’è una novità che ha allarmato non poco il Ministero dell’Ambiente. Nell’ultima conferenza dei servizi sulle bonifiche è stato rivelato che due chilometri a nord della zona industriale di Portovesme, in una falda vicino a Capo Altano, sono state rilevate tracce importanti di cloroformio. “Verificate immediatamente la provenienza e mettete in sicurezza”, ha ordinato il Ministero al Comune di Portoscuso e alla Portovesme srl, azienda proprietaria dell’area, “al fine ultimo di limitare, fino ad arrestare, la propagazione della contaminazione e proteggere il bersaglio sensibile costituito dal mare”.Portoscuso, Guroneddu-Capo Altano, corso d'acqua ancora alterato (28 giugno 2012)
Il cloroformio è sostanza molto cancerogena, che dovrebbe essere al bando ormai da anni nella produzione industriale. La Portovesme srl, della multinazionale Glencore, che produce zinco dai fumi di acciaieria, nella zona in cui è stato trovato il cloroformio non ha mai svolto attività industriale, e visto che la falda si trova a monte dello stabilimento i sospetti sono due: o quella falda proviene dalle vicine miniere di carbone di Seruci e Nuraxi Figus, oppure qualcuno ha fatto il furbo  e in quei terreni ha scaricato abusivamente residui di una qualche lavorazione industriale, naturalmente illegale.
Ci mancava solo il cloroformio in quest’area industriale considerata tra le più a rischio d’Italia. Questa era terra di vigneti, di pastori e di pescatori. E di minatori. Poi, mentre le miniere chiudevano una dopo l’altra, sono arrivate le ciminiere fumanti che fino a qualche anno fa sono state garanti di un patto scellerato tra la gente del posto e gli industriali: occupazione e benessere in cambio di mano libera nella devastazione ambientale. L’ultima indagine del ministero dell’Ambiente denuncia valori di veleno con picchi stratosferici rispetto ai limiti, che segnaliamo tra parentesi. Nelle falde superficiali il cadmio è 125.000 milligrammi per litro rispetto ai 5 previsti come limite massimo; il mercurio 550 (1); l’arsenico 609 (10); il tallio 341 (2); i fluoruri 34.359 (1500); il nichel  214 (20); il piombo 29.6 (10). Non meno grave la situazione nelle falde profonde. Zinco 3.134.000 (3.000); manganese 312.000 (50). E in superficie, dove tutti questi veleni, oltre a zinco, rame, policiclici aromatici e l’immancabile arsenico, sono distribuiti in quantità industriali oltre ogni limite consentito.
Gli effetti sulla salute della popolazione e dei lavoratori sono ben segnalati da un recente report della Regione Sardegna. Negli ultimi 20 anni i morti per malattie respiratorie nella zona sono stati 205 sui 125 previsti, e i tumori polmonari hanno avuto un incremento del 24 per cento. Senza contare gli screening sui bambini di Portoscuso che hanno sempre evidenziato tassi di piombo nel sangue molto superiori alla norma. Non c’è mamma a Portoscuso che dia ai propri figli frutta o verdura coltivata negli scarsi e stentati orti del paese.
I pochi che denunciavano lo scempio e i suoi effetti drammatici sulla salute delle persone, venivano liquidati come scocciatori: “Ambientalista” era diventato un insulto.  “Perché qui non si producono confetti”, dicevano i difensori a oltranza (primi tra tutti i sindacati) di questo polo del piombo e dello zinco, con le sue industrie della metallurgia pesante a più deflagrante impatto ambientale come Eurallumina, Alcoa, Portovesme Srl e la Centrale Enel a carbone. Asserzione realista, che però non ha impedito che questa valle, dove fino a pochi anni fa lavoravano fino a trentamila persone, si sia trasformata oggi in un deserto industriale in cui si aggirano, disperati, i disoccupati e i cassintegrati.
Eurallumina del gruppo russo Rusal ha chiuso i battenti, nonostante le promesse di Berlusconi, nell’ultima campagna elettorale per mettere a capo della regione il suo commercialista Cappellacci, di risolvere tutto con una telefonata all’amico Putin. Alcoa ha annunciato di voler riprendere la produzione di alluminio dopo una battaglia che ha visto i suoi operai protestare persino nelle strade di Roma, fino allo scontro fisico con la polizia. Per il momento però è chiusa e ha un contenzioso aperto con Regione, Provincia e Comune di Portoscuso su quanto dovrà sborsare per rimborsare il territorio del disastro ambientale. “Non siamo stati i soli a inquinare”, dicono ad Alcoa. E in parte hanno ragione. Basta vedere cosa è diventato il braccio di costa che guarda direttamente all’isola di San Pietro, paradiso naturale e uno dei punti di forza del turismo sardo. I fanghi rossi dell’Eurallumina, concentrati di soda derivanti dalla lavorazione della bauxite, depositati per anni nell’ignavia di chi avrebbe dovuto controllare, occupano una superficie di oltre 120 ettari e buona parte dei suoi 20 milioni di metri cubi sono ormai sprofondati in mare. Da qui, e da altre discariche della zona, nei giorni di levante si alzano nuvoloni gonfi di polvere che va a depositarsi ovunque, fin dentro le case di Portoscuso. L’intera discarica dal 2009 è stata posta sotto sequestro dalla magistratura, ma le indagini sulle responsabilità di questo scempio sono ancora nel vago.

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

“Una grande pattumiera di rifiuti spesso tossico-nocivi, ecco quel che rischia di diventare il Sulcis postindustriale”, dice Stefano Deliperi, del Gruppo d’Intervento Giuridico – Amici della Terra. E a supportare questa affermazione gli ambientalisti citano i sospetti che si addensano sull’unica struttura industriale ancora in piedi e vitale: la Portovesme Srl, con le due sedi di Portoscuso e San Gavino impiega millecinquecento operai, una ventina dei quali appena assunti e per questo protetta come una reliquia da sindacati e amministratori locali. L’azienda estrae zinco dai fumi di acciaieria, che sono poi polveri ottenute dall’abbattimento dei fumi dei forni ad arco elettrico, provenienti dall’Europa e anche da paesi come Israele, in cui si bruciano rottami ferrosi. Il problema è che spesso in quei forni, oltre ai materiali ferrosi, finisce di tutto, persino materiale radioattivo, come certificano alcune indagini che hanno seguito negli anni passati proprio il traffico di rifiuti industriali provenienti dai paesi dell’Est. Per cui il sospetto è che dietro il legale acquisto da parte della Portovesme dei fumi di acciaieria si nasconda in realtà una vera e propria attività di smaltimento di rifiuti industriali.
Due segnali che ci sia del marcio dietro alcuni traffici sono arrivati forti e chiari anche ai cancelli della Portovesme srl. Nel 2011 e nell’estate scorsa due carichi di polveri di acciaieria contaminate da elementi radioattivi superiori alla norma come il cesio 137sono stati scoperti grazie al portale radiometrico installato dalla società Glencore. Il primo carico arrivava dalla Alfa Acciai di Brescia, il secondo dalla Grecia. I carichi sono stati rispediti al mittente. Anche se l’amministratore delegato della Portovesme srl, Carlo Lolliri minimizza: “Erano meno nocivi di una lastra”. E assicura: “Noi prima di procedere all’acquisto dei fumi d’acciaieria, li analizziamo in tutte le sue componenti”.
“La scoperta di quei due carichi”, dice Angelo Cremone, storico ambientalista della zona “è stata fatta grazie al portale radiometrico, che comunque, non dimentichiamolo è di proprietà della Portovesme srl: come dire che il controllato è anche il controllore di sé stesso. Per cui noi ci battiamo perché sia istituita una analoga stazione radiometrica pubblica”. Ma quel che preoccupa gli ambientalisti è il passato, neanche tanto remoto. Cosa succedeva quando non c’era nessun controllo? Cosa scaricavano i camion nelle industrie della zona? “Noi abbiamo avuto segnalazioni anonime in passato che dalle acciaierie del nord arrivavano carichi radioattivi. Ecco perché da tempo chiediamo che nelle vecchie discariche come Sa Piramide, in questa collina che si trova proprio davanti alla Portovesme srl, siano fatti carotaggi e rilevamenti radiometrici, per scoprire cosa si nasconde sotto il verde dell’erba”.
I carotaggi e i rilevamenti nelle tre discariche del territorio, ha detto recentemente la Provincia di Carbonia-Iglesias, sono stati fatti e non è stata trovata traccia di inquinamento radioattivo. Gli ambientalisti, però, restano scettici e chiedono ulteriori e più approfondite analisi. E a supportare i loro sospetti c’è una lettera agli atti della Commissione bicamerale per il ciclo dei rifiuti del 2004. Inviata dalla Provincia di Rovigo, alla Procura della città veneta e alla Provincia di Cagliari, la lettera segnalava che “un carico di fanghi altamente tossici per l’abnorme presenza di cadmio, piombo e cromo totale”, e quindi assolutamente da smaltire in apposite discariche, arrivato alla Nuova Esa di Venezia, contestato e ormai chiuso deposito di rifiuti tossico-nocivi, misteriosamente aveva cambiato codice ed era ripartito per la Portovesme srl con la sigla R13: cioè autorizzato a essere usato per il recupero dello zinco.
I fumi d’acciaieria arrivano con i container o chiusi in grandi sacconi bianchi. Una volta in azienda una squadra di operai li solleva uno per volta con un muletto e con una sorta di falce li fa precipitare al suolo, da dove poi vengono raccolti e incanalati verso il forno Waelz per essere bruciati ed estrarne lo zinco. Tore Dessì è uno delle migliaia di disoccupati del Sulcis. ma non è un disoccupato qualsiasi. È stato uno dei pochi ad aver protestato contro la Portovesme srl perché preoccupato che le polveri di acciaieria, che lui e i suoi compagni di un’impresa d’appalto lavoravano a mani nude, con scarse e quasi inesistenti protezioni, potessero essere pericolosi. Aveva osato, dice, chiedere che cosa contenessero questi sacconi. Domanda fatale, sostiene da anni, che gli sarebbe valsa il licenziamento. Fallita la ditta per cui lavorava, i suoi compagni sono stati tutti riassunti in una nuova. Lui è stato l’unico a essere tagliato fuori. Da allora, nonostante una lunga protesta in totale solitudine, è rimasto a casa. “Stiamo cercando di trovare una soluzione tecnica a questo problema”, dice l’ad Lolliri, che non nega la pericolosa situazione dal punto di vista della sicurezza sul lavoro che finora riguarda quel reparto.

Portoscuso, zona industriale di Portovesme

Portoscuso, zona industriale di Portovesme

L’anno scorso la Portovesme srl ha trattato 215mila tonnellate di fumi di acciaieria, da cui ha estratto quasi tutto lo zinco presente, circa il 25 per cento. Alla fine del ciclo, dice l’azienda, sono avanzate 100 mila tonnellate di scorie, con basse percentuali di zinco. Materiale che è stato portato nella nuova discarica di Genna Luas, dove una vecchia miniera è stata riadattata per il nuovo uso, facendo anche in questo caso imbufalire chi invece vede nelle miniere dismesse e ristrutturate un’ottima occasione per il lancio di un nuovo turismo, sul modello della Ruhr tedesca. Recenti analisi nella discarica dicono che non ci sono elementi radioattivi da segnalare. La discarica di Genna Luas è solo la terza delle discariche utilizzate dalla società della Glencor in questi anni e sta per essere colmata. L’azienda ha avviato le pratiche per costruirne una nuova, sempre nella stessa zona.
“L’Italia produce acciaio”, dice l’amministratore delegato Lolliri, “e quindi fumi di acciaieria che altrimenti finiscono nelle discariche. Noi utilizziamo impianti tecnologici d’avanguardia e alla fine riduciamo l’impatto nelle discariche”. Se è vero questo discorso è vero anche che l’attività di questa industria, come si dice nel progetto di Genna Luas, è legato alla possibilità di avere sempre nuove discariche su cui convogliare le scorie. “Questo vuol dire”, chiosa Cremone, “che tutta questa zona, e non solo, è destinata a diventare un’unica grande discarica”. Un’affermazione che, pur involontariamente, è avvallata da un dirigente della Portovesme, il quale, rivendicando “l’eticità del riciclo dei rifiuti, anche industriali”, si spinge a dire: “Perché non vedere questa parte di territorio come un esempio di raccolta differenziata?”.
Più chiaro di così.

 

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

Portoscuso, polo industriale di Portovesme

qui il video Portovesme: “Se arrivava la Asl ci dicevano: nascondetevi” 

qui il video Cagliari, l’ospedale oncologico costruito sui rifiuti tossici

qui il video Portovesme, la paura dei rifiuti radioattivi

qui il video Portovesme, la maledizione dei fanghi rossi

qui il video Portovesme: “Così è morto mio marito”

Cagliari, Palazzo di Giustizia, sit in

Cagliari, Palazzo di Giustizia, sit in

(foto per conto GrIG, T.C., S.D., archivio GrIG)

  1. max
    giugno 4, 2013 alle 7:46 am

    fino a che diremo sempre si alle fabbriche fortemente inquinanti in cambio di un pezzo di pane, fabbriche che poi se ne vanno lasciando i lavoratori in braghe di tela e senza fare nessuna bonifica ci ritroveremo sempre in questa situazione.
    in sardegna e in altre regioni.
    occorre ripensare la politica industriale in termini di rispetto della salute e dell’ambiente.
    ma ripensarla o riesumarla perche’ da molto tempo l’italia NON ha una politica industriale.
    non so se riusciremo mai a sottrarci al cappio che i governanti del mondo ci hanno messo, ma se qualcuno che dice che i momenti di grave crisi sono un’occasione per ripensare e riconsiderare i modelli di sviluppo, ha ragione, questa situazione potrebbe costituirne un’opportunita’.
    voglio pensare positivo, ma occorre sempre la mobilitazione di tutti.

  2. Shardana
    giugno 4, 2013 alle 12:43 PM

    La cupola sulcis dirà sempre sì alle fabbriche inquinanti…..un pezzo di pane ai lavoratori,malattie alle popolazioni inermi e a loro i soldi e i terreni pubblici,gestiti in maniera ❎❎❎❎❎❎❎ e sotto la luce del sole nonostante le continue denunce di cittadini e gruppi chiamati in maniera riduttiva ambientalisti.Coinvolti sindaci,direttori di fabbrica e manager che per anni hanno attinto a piene mani dai soldi europei e quindi anche nostri,per arricchire loro le loro famiglie e comprare ii silenzi dei controllori ed intervenire a reati prescritti.Con quale coraggio parlate ancora di fabbriche…….

  3. maria carta
    giugno 6, 2013 alle 12:27 PM

    E pensare che esistono interi siti (vedi in facebook Portoscuso paese) che esaltano le bellezze del luogo, quando oramai il mondo intero sa che la zona è una grande discarica. Magari se, invece di continuare con questa ipocrisia, gli abitanti del luogo prendessero coscienza del problema e facessero qualcosa per migliorare la situazione, si potrebbe sperare nel futuro. Invece così sono proprio gli abitanti che, nel loro goffo tentativo di nascondere la verità, di fregare i turisti facendo loro credere meraviglie, sono i principali responsabili di questa situazione. Loro, che per il benessere hanno venduto la salute dei loro figli e distrutto l’ambiente.

  4. giugno 7, 2013 alle 8:18 PM

    riceviamo e pubblichiamo molto volentieri.

    Carlofortini Preoccupati – Sindaci del Sulcis e fumi d’acciaieria.

    E’ di nuovo allarma radioattività a Portovesme un carico di rifiuti radioattivi è stato intercettato dalla stessa azienda che dovrebbe poi smaltirli, così come per il portale radiometrico, in mano alla stessa azienda, il copione non cambia infatti anche i controlli sulla radioattività nella nave sono eseguiti dalla Portovesme Srl (Glencore) cioè sono in regime di autocontrollo, in pratica è il controllore di se stessa. Perciò invochiamo una presa di posizione immediata dei sindaci del Sulcis Iglesiente del Presidente della Provincia, altresì chiediamo una netta d presa di posizione del Vice Sindaco di Carloforte e dell’amministrazione tutta, anche perché i Fumi d’acciaieria in odore di radioattività, il carbone, le biomasse e tutti i materiali pericolosi vengono continuamente scaricati proprio nella banchina di fianco a dove partono i traghetti per Carloforte. I residenti e i turisti e i lavoratori dei traghetti nonché i portuali sono costretti a subire questa miscela di scorie velenose e cancerogene senza che ci sia alcun tipo di controllo, addirittura tutte le operazioni di carico e scarico dei materiali pericolosi avviene indisturbato mentre è in corso l’imbarco/sbarco dei traghetti per Carloforte. Elementi che oltre a danneggiare l’ambiente e le persone creano una pessima pubblicità turistica per l’isola. Tutte vicende note all’opinione pubblica perché ben documentate dall’Unione Sarda e pure dalle recenti inchieste de Il fatto Quotidiano e de La Repubblica.

    Carlofortini Preoccupati!

  5. giugno 10, 2013 alle 2:45 PM

    da La Nuova Sardegna, 10 giugno 2013
    Industrie e inquinamento, «Il controllo sia pubblico». Sul nuovo allarme a Portovesme, denuncia del consigliere provinciale Cremone: «Non spetta alle aziende fare le verifiche, in passato troppi errori ed omissioni». (Felice Testa)

    CAGLIARI. L’area industriale di Portovesme, è una ferita dolente nel rapporto, per troppo tempo trascurato, tra industria e tutela della salute. I fumi di acciaieria, materia prima utilizzata dalla Portovesme srl, ripropongono, nel tempo, nuovi motivi di preoccupazione. «Venerdì scorso, dal momento in cui, a bordo della nave Bergfjord, proveniente dalla Grecia, è scattato l’allarme radioattività sono passate cinque ore, prima che un rappresentante delle istituzioni locali, Comune e Provincia, venisse avvisato dell’emergenza ed è accaduto non per vie ufficiali ma casualmente con una “soffiata” di un amico che mi ha telefonato – denuncia il consigliere provinciale Angelo Cremone, da sempre protagonista delle battaglie ambientali nel Sulcis Iglesiente – i tecnici della Portovesme srl – prosegue Cremone – hanno rilevato alcune anomalie nei sacchi di fumi di acciaieria trasportati nelle stive della nave, intorno alle 7. È stata avvisata la Capitaneria di porto ma non il sindaco, al quale l’ho comunicato alle 12.30, dopo aver ricevuto la telefonata, né, tantomeno, il presidente della provincia Cherchi che, da me interpellato , insieme al responsabile dell’area ambientale della provincia, Fulvio Bordignon, ha detto di essere all’oscuro della vicenda e di non aver ricevuto alcuna comunicazione. Questo, nonostante sia stato firmato, lo scorso anno, un protocollo in prefettura che prevede vengano informati, immediatamente, sindaco e presidente della provincia». Sul controllo dei fumi di acciaieria, questa mattina, è prevista una conferenza di servizi in Provincia per dare il via libera all’installazione del nuovo portale radiometrico di controllo, gestito dall’ente. Verrà sistemato nell’area consortile adiacente alla Portovesme srl, all’ingresso del parco materie prime, «un passo importante – dice Angelo Cremone – ma non sufficiente». Una questione di certezza e trasparenza dei controlli, tanto urgente quanto delicata, che riguarda una delle poche fabbriche del polo industriale di Portovesme che produce e assume lavoratori. «Nessuno vuole mettere in difficoltà una fabbrica che dà tanti posti di lavoro, ma attenzione – ammonisce Cremone – chi non tutela la salute dei dei lavoratori e dell’ambiente, non tutela il lavoro. Non vogliamo che questa fabbrica venga messa in difficoltà da situazioni come questa. La politica e gli enti di controllo e di gestione, devono necessariamente arrivare prima che arrivi la magistratura: l’Ilva di Taranto è un esempio. Cosa è necessario fare? Obbligare la Portovesme srl al rispetto di prescrizioni certe, trasparenti e oneste. Oltre al cosidetto portale radiometrico, controllato non da chi potrebbe cadere in tentazione, da chi continua ad operare in veste di controllore e controllato, si installi urgentemente il portale da far gestire alla Provincia. I controlli preventivi a bordo delle navi che attraccano a Portovesme (i camion che arrivano dal porto di Cagliari o Portotorres, dovrebbero, subire un controllo anche lì, prima dello scarico) vengano eseguiti da personale non pagato dalla fabbrica ma da funzionari pubblici. Inoltre, a tutela dei lavoratori in fabbrica (nel caso in cui qualche dirigente infedele, per errorio omissioni, fatto già capitato e sancito da una condanna anche in appello per i rifiuti smaltiti nel piazzale dell’Oncologico a Cagliari) occorre installare dei rilevatori nei tratti del nastro che trasporta i fumi di acciaieria, una volta svuotati dai sacconi, facilmente schermabili. Così come, nonostante le mie innumerevoli richieste , manca un rilevatore delle eventuali particelle radioattive, direttamente sulla bocca del camino da dove escono gli scarichi finali del processo di combustione dei fumi di acciaieria, direttamente collegato alla rete pubblica, così come è installato nel camino Enel per altri agenti inquinanti. La presenza del Pubblico è condizione irrinunciabile – conclude Cremone – perché non si ingeneri il sospetto, come venerdì, che un comportamento poco trasparente, escluda per ore gli enti pubblici dai controlli e dalle verifiche. La polizia non può arrivare sul luogo del delitto quando il cadavere è già stato seppellito».

  6. Shardana
    giugno 11, 2013 alle 3:13 PM

    Si scopron le tombe si levano i morti e grazie alla finanza gli imbrogli della portovesme srl e della glencore sono risorti.Quanto costano le fabbriche della morte ai sardi che vivono del proprio lavoro e non di assistenzialismo ?Quando una attività commerciale chiude nessun politico nessun sindacalista a qualcosa da dire ,e,ne chiudono di attività in sardegna.Cosa ci dite cari signori dei 120.000.000 € centoventimilionidieuri che la portovesme a evaso? PITTICCA SA CRICCA,ma a quanto pare il cerchiosi stringe e un filo sembra collegare il malaffare con le fabbriche sulcitane e isilenzi delle istituzioni preposte ai controlli.Quanti soldi è costato ai contribuenti il pozzo senza fondo e senza vergogna sulcis?A quando le verità che ci state occultando da anni……….

  7. Shardana
    giugno 18, 2013 alle 12:16 PM

    Trecento persone a portovesme chiedono i danni per una pioggia che ha corroso la carrozzeria di auto ponti di imbarcazioni e così via.Nessuno si pone cosa è entrato nei nostri polmoni?Che cosa aspettano la nostra asl,arpas o chi per loro dovrebbe vigilare sulla nostra salute?Da mesi ci aspettiamo una risposta…capisci deliperi da dove nasce la diffidenza della gente?

  8. max
    giugno 18, 2013 alle 5:43 PM

    l’unico modo che ha il popolo per ribellarsi allo strapotere delle cupole, dopo il voto e’ la protesta per fare pressione sui maggiordomi ( capi di stato e primi ministri) affinche’ perorino la causa vs i veri padroni del mondo, stando attenti pero’ di non dare l’impressione che la situazione possa sfuggire loro di mano perche’ la strage di stato e’ sempre in agguato cosi’ che poi tutti si stringono attorno alla o alle vittime sacrificali all’insegna del “vvolemose bbene”.
    i diritti bisogna conquistarli; non te li regala nessuno.
    e giuro che non sono mai stato comunista ( razza peraltro estinta).

  9. gennaio 22, 2014 alle 2:53 PM

    da L’Unione Sarda, 22 gennaio 2014
    Gonnesa. Ceneri Enel nelle gallerie, ambientalisti in rivolta: http://www.regione.sardegna.it/rassegnastampa/1_231_20140122090906.pdf

  1. giugno 4, 2013 alle 7:16 am

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