Il deperimento dei boschi sardi, ipotesi e realtà.
Nel corso dell’estate 2024 è apparso evidente il deperimento di una buona parte dei boschi della Sardegna.
La causa, secondo le prime ricerche sul campo, sembrerebbe ricondursi fondamentalmente alla lunga siccità unita talvolta alla presenza di “eventuali fattori concomitanti, tra cui organismi nocivi e parassiti opportunisti”.
Infatti, l’Agenzia regionale Forestas ha affermato che “il fenomeno del disseccamento e dell’imbrunimento delle chiome, osservato nelle leccete e nelle formazioni a macchia mediterranea della Sardegna orientale, sembra essere strettamente legato al deficit idrico prolungato causato dalla diminuzione delle precipitazioni negli ultimi anni. In particolare, l’estate del 2024 ha segnato un punto critico con un bilancio idrico fortemente negativo”.
Su alcune specie del bosco/macchia mediterranea (Ginepro in primis) non s’è avvertito alcun fenomeno, quasi certamente grazie all’adattabilità plurimillenaria alle periodiche siccità..
L’attuale lento rinverdimento – dopo le piogge autunnali e invernali – sembrerebbe confermare le prime analisi.
Eppure alcuni esperti propendono per individuare le cause nei cambiamenti climatici e nell’abbandono delle campagne.
Sarà così?
Un commento in proposito da parte del dott. for. Michele Puxeddu, dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
Scrivo questo intervento a riguardo del recente servizio giornalistico pubblicato da L’Unione Sarda il 30 dicembre 2024 sul grave deperimento che sta colpendo su vasta scala i boschi della Sardegna.
Penso infatti che possa essere utile anche “sentire”, per così dire, l’opinione dei boschi ovvero cosa ne pensino realmente i diretti interessati sul male che li affligge.
Questa parafrasi allegorica pare opportuno esplicitarla per cercare di capire meglio quanto riportato tra le altre osservazioni accademiche dal maggiore quotidiano dell’Isola ovvero che “negli ultimi 20, 30 anni anni, la superficie forestale in Sardegna è aumentata a dismisura perchè abbiamo abbandonato i terreni prima coltivati o destinati a pascolo“.
Se non si prescinde dalla considerazione nota a tutti Sardi e non solo, anche non addetti ai lavori, dell’importanza storica della componente paesaggistica rappresentata dalle foreste, il dato dell’attuale effettiva estensione delle foreste sul territorio regionale diventa ancor più importante per traguardare in prospettiva quale sia l’estensione delle foreste più “giusta” per la nostra Isola. Forse sarebbe bene ricordare ancora una volta che la Sardegna, proprio negli ultimi due secoli, a causa del disboscamento, degli incendi forestali, dell’attività mineraria e della cementificazione selvaggia, ha dovuto pagare, e tuttora paga, gravissime conseguenze.
I dati degli “ultimi 20, 30 anni” devono essere davvero aggiornati e oggi quelli riepilogati dall’ultimo Inventario Forestale Nazionale (2022) riportano un’estensione forestale per la Sardegna di oltre 1.300.000 ettari ovvero pari a più del 50 % di tutto il territorio regionale che però per quasi la metà di tutto questo “verde” (oltre 600 mila ettari) sono rappresentati da macchia mediterranea originata purtroppo, nella maggior parte dei casi, da incendi, da interventi sconsiderati (per esempio tagli boschivi devastanti) e sovrapascolamento.
Proprio osservando con maggiore attenzione i dati statistici dal secondo dopoguerra a oggi emerge che da quegli anni in poi il dato relativo all’estensione della macchia coincide sostanzialmente con le superfici che a suo tempo, prima dei devastanti incendi e dei tagli boschivi operati nel 1800, e fino al primo dopoguerra del 1900, risultavano occupate dai “boschi alti”, in genere boschi plurisecolari che fino ad allora avevano convissuto sostanzialmente in pace con pascolo e con prelievi legnosi coerenti con i bisogni delle popolazioni.
E se anche non deve sfuggire in questo contesto che il territorio Sardo non può più essere “utilizzato” come negli ultimi secoli, per superare il grave “status quo” penso sia necessario innanzitutto guardare insieme sia le dinamiche evolutive (successioni) che attualmente caratterizzano la vegetazione forestale in Sardegna sia gli eventi storici che ne hanno fortemente modificato il paesaggio originario.
In atto, infatti, vi è la naturale riconquista del territorio da parte delle foreste soprattutto perchè innaturale e altamente impattante è stata la loro rapida (se consideriamo i tempi della natura) eliminazione.
Occorre prendere atto dell’urgenza di comprendere pienamente l’importanza dei “poteri” delle foreste, a tal proposito consiglio vivamente la lettura “Les pouvoirs de la forêt: De l’eau et des arbres“, recente fatica della fisica Katia Laval che “giusto” in tempi di cambiamento climatico, anche nella nostra Isola, peraltro già caratterizzata anche negli ultimi due secoli da periodi più o meno lunghi di siccità, ha chiaramente spiegato il ruolo essenziale delle foreste proprio nel contrasto al cambiamento climatico in primis con il “sequestro” del carbonio e quindi con l’azione virtuosa di limite ai principali gas climalteranti.
Voglio anche ricordare che nelle foreste non tutti gli alberi hanno apparati radicali con pari sviluppo in profondità tutti però immagazzinano la cosiddetta “acqua verde”, quella che scorre ed evapora attraverso gli stessi. In questo modo riducono e moderano le temperature eccessive funzionando in pratica da condizionatori naturali. Le masse di vapore acqueo evaporato migrano poi sotto forma di nuvole, contribuendo a riciclare la pioggia. La chioma della foresta funge da isolante, a beneficio del sottobosco e della biodiversità.
Non ho la pretesa di coniare nuovi paradigmi ma occorre pensarci bene prima di far scattare la molla per indicare prati e pascoli (d’estate più gialli dei boschi, quest’ultimi purtroppo spesso anche anneriti dagli incendi) tra i migliori strumenti di lotta al cambiamento climatico.
La reale importanza ecologica della foresta deve essere compresa appieno prima di indicare a scala operativa importanti e decisive scelte gestionali che non possono non tenere conto del suo fondamentale ruolo e della sua effettiva estensione.
Michele Puxeddu
Membro corrispondente dell’Accademia Italiana di Scienze Forestali
(foto per conto GrIG, J.I., S.D., archivio GrIG)







interessantissimo articolo, grazie
…Il ruolo essenziale delle foreste proprio nel contrasto al cambiamento climatico in primis con il “sequestro” del carbonio e quindi con l’azione virtuosa di limite ai principali gas climalteranti….
….occorre pensarci bene prima di far scattare la molla per indicare prati e pascoli (d’estate più gialli dei boschi, quest’ultimi purtroppo spesso anche anneriti dagli incendi) tra i migliori strumenti di lotta al cambiamento climatico…
Concetti chiari e precisi. Foreste imprescindibili al benessere naturale e umano.
Ma a rischio di passare per compulsivo ossessivo monotematico protoparanoico , bisognerebbe aggiungere una buona volta con voce forte e chiara che, malgrado la vulgata ormai lobotomizzante, TANTO MENO l’ abbandono dei campi (o addirittura la defirestazione), sostituiti tombati impermeabilizzati massacrati da un dilagante assalto di IMPIANTI INDUSTRIALI PER ENERGIA RINNOVABILE possano considerarsi la soluzione per contrastare i cambiamenti climatici, che e’ fenomeno GLOBALE e a cui noi contribuiamo per percentuali irrisorie.
E allora non si tocchi il patrimonio forestale per gigantesche piste da camion e grattacieli eolici con immense fondamenta con migliaia di tonnellate di cemento per decine di metri di profondita’ a intaccare irreversibilmente la falda.
Ma si smetta anche di sparlare iSULL’ AGRICOLTURA e i PRATI PASCOLI, custodi degli ecosistemi naturali, baluardo contro l’arrembante predazione della speculazione* *energetica e la finzione di un ennesimo esiziale alibi per consumare ulteriore suolo e trasformare l’Italia in* *un’immensa, indistinta e squallida periferia industriale a rischio e indifesa contro le catastrofi naturali.*
Nella nuova normativa europea sul ripristino della natura ( *Nature Restoration Law),* la difesa degli ecosistemi, della biodiversità e del suolo rappresenta una condizione imprescindibile per *contrastare il cambiamento climatico* .
Dopo *70 anni di selvaggia speculazione edilizia,* incontrollata urbanizzazione e crescente diminuzione della SAU, superficie agricola utilizzabile, con *perdita completa dell’autosufficienza* per quasi ogni materia prima alimentare ( meno del 64% per grano tenero per pane e pasticceria, -44% duro per la pasta,- 53% mais,-73% soia e poi legumi, olio, frutta secca, ecc.…fonte ISMEA e CREA), e’ semplicemente *irresponsabile consumare ulteriore suolo,* tombando migliaia di ettari, tra l’altro quelli migliori e carenti, i *più fertili, pianeggianti e ben esposti* , con un osceno tappeto per km di *lugubri paramenti funebri fotovoltaici a terra* (che tutti sanno potrebbero tranquillamente trovare posto su tetti o aree industriali già consumate ( _fonte ISPRA),_ seppur con minor lucro privato dell’arrembante speculazione energetica). Già migliaia di ettari agricoli, soprattutto a grano, pianeggianti del *Sud più bello (Sicilia, Puglia, Lucania, Molise)* sono stati impunemente massacrati, con “allegro” cambio di destinazione d’uso, e ora tocca alle località più iconiche del Centro, in particolare della Tuscia, “rea” di aver preservato vaste aree agronaturalisticamente integre e quindi particolarmente appetitose alla speculazione energetica: a Tuscania, Tarquinia e, soprattutto, Vulci-Montalto di Castro ormai si *coltiva quasi più silicio che grano* e centinaia di progetti predatori incombono su quelle *zone patrimonio dell’umanità.* L’indiscriminato assalto alla terra non ha trovato fino ad oggi un valido contrasto istituzionale visto anche il progressivo e doloso *annacquamento delle norme di tutela ambientale* degli ultimi anni e contemporaneamente per il crescere del fenomeno di ” *agri-bashing* “, ovvero la sistematica *denigrazione dell’agricoltura* accusata da una popolazione che ha ormai dimenticato il faticoso lavoro dei nonni, di avere effetti nocivi sulla salute, sull’ambiente e sul benessere degli animali. Tutti luoghi comuni ossessivamente ripetuti con slogan orecchiabili da pessimo marketing mediatico, seppur facilmente smontabili con fatti e dati scientifici che però nessuno ha voglia e capacità di studiare: basti pensare che l’agricoltura, unico settore di importanza socio-economica, in virtù della fotosintesi delle colture erbacee ed arboree, *assorbe enormi quantitativi di CO2 (ben 54 gigatonnellate l’anno)* e che da decenni è invece costantemente relegata al ruolo di grande inquinatore per le 10 gigatonnellate che annualmente emette, come ogni buon talchsciò si lustra di sentenziare. Invece l’attività agricola è la *prima custode dell’agro-ecosistema e produttore di beni e/o benefici diversi dal cibo* , se questo tante volte risultasse di scarsa importanza “culturale”, essendo di facile, banale reperibilità nel frigorifero o nello straboccante supermercato sotto casa.Oltre a un *immenso stoccaggio della CO2* con l’attività fotosintetica delle colture, e ovviamente, al cibo che fino a prova contraria tiene più in vita dell’energia, l’attività agricola fornisce *gratuitamente e silenziosamente preziosi, indispensabili e insostituibili servizi ecosistemici che* altrimenti sarebbero costosissimi alle comunita’, agli Stati.I servizi ecosistemici sono *funzioni o processi ecologici vitali,* come la produzione di ossigeno atmosferico, il ciclo o il filtraggio dell’acqua dolce, la sintesi di carboidrati da parte delle piante o il mantenimento di condizioni climatiche stabili, che costituiscono il *capitale naturale* . Lo stesso capitale naturale su cui si basa l’attività agricola e che essa stessa può aiutare a ripristinare ed aumentare. Il contributo dell’agricoltura nel garantire la fornitura di servizi ecosistemici da parte dell’agroecosistema è richiamato anche nell’ambito _dell’obiettivo 2.4 dei Sustainable Development Goals (SDG) (nota 9) delle Nazioni Unite._ I *servizi ecosistemici* non producono effetti immediati e di grande impatto, ma operano con i ritmi dei processi naturali e, per questo, risultano *spesso invisibil* i. Risulta molto più difficile formare una consapevolezza intorno all’invisibile o al difficilmente quantificabile, e si preferisce sorvolare nel consueto talchsciò marchettaro denigratorio.Il suolo NON CONSUMATO fornisce all’uomo i servizi ecosistemici necessari al proprio sostentamento ( _Kumar et al., 2012):_ – *sequestro di ingenti quantità di carbonio;* – riserva, filtraggio e trasformazione delle *sostanze nutritive e delle acque* meteoriche o irrigue;- ritenzione e rilascio di *nutrienti* nei terreni; – supporto alla vita, riserva di *biodiversità* , habitat delle specie vegetali e animali, tra cui l’uomo, partendo dalla valorizzazione degli elementi minerali, bio-chimici e fisici legati al *ciclo della fertilità;* – *produzione di biomassa, materie prime naturali* per le attività umane e, ovviamente, di cibo variato e vocato nei vari ambienti per il benessere e la longevità di miliardi di persone;- regolazione dei *cicli idrologico e bio-geochimico,* e con la relativa capacità *depurativa* ;- mantenimento *dell’equilibrio idrogeologico* .- *regimazione e controllo sistematico delle acque superficiali* , attraverso anche le ben studiate *sistemazioni idraulico-agrarie* dei pendii volte a ridurre le perdite di suolo causate *dall’erosione e attenuare la velocità cinetica dell’acqua nel ruscellamento* superficiale che può generare disastrose alluvioni nei centri abitati. Un terreno impermeabilizzato anche solo per il 50% ha un tasso di *deflusso cinque volte superiore* rispetto ad un terreno naturale ( _Zullo et al., 2022_ ). Un suolo agricolo perfettamente funzionante può immagazzinare fino a 3750 tonnellate di acqua per ettaro ( _Commissione europea 2012_ ). Le modifiche apportate al suolo naturale ( _con cemento, asfalto o silicio NdR)_ riducono notevolmente la *capacità di infiltrazione totale* della superficie di un bacino avendo inevitabili effetti negativi sulla ricarica degli acquiferi proporzionalmente al grado di impermeabilizzazione ( _Zullo et al., 2022)._ E solo dopo la saturazione comincia un iniziale lento deflusso che invece è *immediato e catastrofico sulle troppe e crescenti superfici artificiali impermeabilizzate.* – e _at last but not least_ *valori culturali* , in quanto archivio storico-archeologico, *patrimonio e quinta maestosa del paesaggio* naturale e dei beni artistici e architettonici che portiamo nel cuore della nostra identità. Un aspetto *profondamente etico* , non superficialmente estetico come minimizzano e sbertucciano _pro lucro suo_ i neo-predatori della speculazione energetica e i loro avventati garruli sostenitori che Negano l’Ambiente.
non capisco esattamente cosa intende con ” bisogna pensarci bene” forse intende che prati e pascoli non equivalgono a foreste che dunque andrebbero ampliate su ampia scala vista la loro utilità, anche riducendo prati e pascoli ma farlo è molto difficile e complesso credo, con grandi problemi tecnici e giuridici e politici.
I nemici dei boschi sono da sempre…i sardi.
Gli aspetti richiamati dal dr. Puxeddu sono assolutamente condivisibili! Tuttavia, riterrei indispensabile richiamare il ruolo di riserva idrica, svolto dal suolo. Riguardo a questo importante ecosistema, in conseguenza degli incendi, del sovrapascolamento, della riduzione – in altri termini – della copertura vegetale, stabile, il suolo subisce forme di degrado, in particolare l’erosione, che progressivamente – talvolta drasticamente – porta alla diminuzione del proprio volume. Ne consegue la riduzione di importanti funzioni, quali quelle di riserva idrica. Nel caso richiamato, l’erosione non è verosimilmente la causa ultima della sofferenza della foresta, in quanto l’erosione ha tempi per manifestarsi – in relazione alla tempistica del fenomeno – decisamente di più lunga durata. Riterrei che al clima – come autorevolmente affermato, particolarmente a quello dell’anno appena trascorso – vada attribuita la responsabilità dell’ingiallimento foliare; considerando anche la sua variabilità, che sembra avere un ruolo via via più significativo. Sergio Vacca, già Professore Associato di Pedologia, Università di Sassari