La terra sarda, buona per i liquami bovini.
anche su Il Manifesto Sardo, n. 137 (“La terra sarda, buona per i liquami bovini”), 2 gennaio 2012
Qualche anno fa c’era la moda dei “ventoloni” eolici. Centinaia e centinaia di pale eoliche o aerogeneratori che dir si voglia che imprenditori d’ogni risma volevano disseminare per ogni dove in Sardegna, così come gran parte del Mezzogiorno d’Italia.
La finalità era ed è quella sì di produrre energia elettrica, ma soprattutto quella di lucrare i certificati verdi, la chiave d’accesso al mercato dell’energia liberalizzato in Italia dal 1999.
Ogni produttore di energia deve dimostrare di produrne almeno una percentuale (il 2%, incrementato dello 0,35% annuo) da fonti rinnovabili, testimoniata da certificati verdi. In sostanza, sono una forma di incentivazione della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. Sono titoli negoziabili, il cui utilizzo è diffuso in molti stati come ad esempio nei Paesi Bassi, Svezia, U.K. e alcuni stati U.S.A.
Si tratta di certificati che corrispondono a una certa quantità di emissioni di CO2: se un impianto produce energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato con fonti fossili (petrolio, gas naturale, carbone ecc.) perché “da fonti rinnovabili”, il gestore ottiene dei certificati verdi che può rivendere (a prezzi di mercato) a industrie o attività che sono obbligate a produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno autonomamente.
In Italia i certificati verdi sono emessi dal gestore della rete elettrica nazionale GSE (Gestore Servizi Energetici) su richiesta dei produttori di energia da fonti rinnovabili.
Al dunque, però, rischiano di avere ben poco di “eco-sostenibile”, soprattutto quando il territorio anche di valore ambientale o agricolo viene “massacrato” da migliaia di “ventoloni”.
Basti pensare a qualche “numero”: attualmente in Sardegna vi sono 27 centrali eoliche (453 MW di potenza), se fossero realizzate le altre 34 in attesa di autorizzazione, si giungerebbe a 61 parchi eolici con ben 1.265 MW di potenza.
Basti pensare che oggi l’Isola è del tutto autonoma rispetto alla rete nazionale. Può contare sulla potenza installata di circa 2.200 MW, pur impiegandone ogni giorno di solito 1.730 (e la notte solo 1.300). Con il potenziamento dei trasporti via cavo (SAPEI e SACOI) fra Sardegna e la Penisola, non ne potranno esser esportati più di 1.000 MW.
Chi ci guadagna, quindi, nel tenere immagazzinati altri 800 MW originati dall’eolico? Certo non la Collettività.
Ma questi ultimi sono però i mesi durante i quali piovono nelle campagne sarde decine e decine di nuove “benedizioni eco-sostenibili”, le serre fotovoltaiche (non molte, visti gli investimenti necessari) e, soprattutto, le centrali a biomassa da 999 kWe, 1 in meno della soglia oltre la quale devono esser preliminarmente svolti i procedimenti di valutazione d’impatto sull’ambiente.
Sono queste ultime i nuovi “elementi” del paesaggio agricolo sardo.
Ogni impianto prevede l’utilizzo in media di 20.200 tonnellate annue di biomassa (insilato di mais, triticale, sorgo) e soprattutto liquame bovino, per circa 60 tonnellate giornaliere, con una produzione di biogas di 3,6 milioni di metri cubi annui e energia elettrica prodotta pari a 7 milioni di kWn annui. Quantomeno un sensibile traffico di camion e una notevole puzza, non poco per la zona vicina.
Vengono autorizzate – se non vi sono particolari altri vincoli ambientali – con una “banale” autorizzazione unica (art. 12 del decreto legislativo n. 387/2003 e s.m.i., leggi regionali n. 3/2009, n. 5/2009) per la costruzione e l’esercizio dell’impianto per la produzione di energia da fonti rinnovabili.
E sono gli stessi Servizi della Regione autonoma della Sardegna a infischiarsene della normativa regionale sulla tutela del paesaggio agricolo: infatti, è pur vero che tali impianti di produzione di energia elettrica “possono essere ubicati anche in zone classificate agricole dai vigenti piani urbanistici” (art. 12, comma 7°, del decreto legislativo n. 387/2003 e s.m.i.), tuttavia, secondo l’art. 13 bis della legge regionale n. 4/2009 e s.m.i., l’art. 3 del D.P.G.R. 3 agosto 1994 , n. 228 (direttive per le zone agricole, criteri per l’edificazione nelle zone agricole) e l’indirizzo giurisprudenziale costante, nelle zone agricole “E” degli strumenti urbanistici comunali, possono essere autorizzati soltanto interventi relativi ad attività agricole e/o strettamente connesse (vds. per tutti Cass. pen., sez. III, 9 marzo 2012, n. 9369), non attività di produzione energetica di tipo industriale – come queste – slegata da attività agricole in esercizio nel sito.
Sembrerebbe pertanto logica la sola presenza di impianti simili connessa ad aziende agricole presenti nell’area. Quasi mai è così, però. E’ pura speculazione.
E la classe politica sarda? A parte qualche rara eccezione, come l’indipendentista Claudia Zuncheddu, c’è poco o nulla di positivo, quando non si battono per le ragioni degli industriali, come Sergio Milia, U.d.C., assessore regionale della pubblica istruzione e, in particolare, avvocato difensore del titolare delle centrali a biomassa di Tottubella e Campanedda, nell’agro sassarese, recentemente sequestrate e dissequestrate dalla magistratura.
Buon anno nuovo.
Stefano Deliperi, Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
(foto da mailing list ambientalista, per conto GrIG, C.B., S.D., archivio GrIG)
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da La Nuova Sardegna, 7 gennaio 2013
Corsa al business delle biomasse. Tra speculazioni e rischi ambientali crescono su scala regionale scommesse azzardate in agricoltura. (Pier Giorgio Pinna)
SASSARI. Come nel Far West. O quasi. La caccia ai contributi per le fonti rinnovabili ha visto un rush finale con la conclusione dell’anno. Ma in Sardegna continuerà. Almeno nei prossimi mesi. E per una semplice ragione: l’investimento nelle biomasse in agricoltura presenta benefici certi per chi utilizza i finanziamenti statali, che alla fine di tutto coprono una consistente parte dei progetti. La vendita dell’energia è garantita a prezzi di particolare favore. Molto meno sicura è invece la ricaduta positiva per l’ambiente e per le realtà circostanti. Nella corsa per costruire gli impianti o per accaparrarsi gli stabilimenti già realizzati restano infatti parecchi interrogativi. Legati soprattutto al fatto che gli specialisti considerano le risorse da impiegare come materia prima del tutto insufficienti a coprire le necessità di un sistema che a regime dovrebbe sviluppare 444 megawatt, pari a oltre un terzo degli attuali consumi medi di energia nell’isola. L’ex ministro. Non è dunque un caso che stiano sorgendo come funghi stabilimenti per le biomasse. Come non lo è che in più di una circostanza il ventilato mancato rispetto di norme a tutela del territorio e dei suoi beni abbia attirato l’attenzione della magistratura. Con sequestri di strutture, successivi dissequestri, indagini, verifiche, ispezioni. Del resto questi controlli sono il minimo da garantire in un quadro che si muove a velocità vertiginosa, spesso senza che tutte le assicurazioni generali siano osservate. Un discorso che, unito a considerazioni più complessive, alimenta il dibattito attorno a queste particolari fonti rinnovabili. Dice l’ex ministro per le Politiche agricole Paolo De Castro, che conosce bene l’isola anche per aver insegnato all’università di Sassari: «L’eccesso d’impianti a biomasse è negativo. Genera un preoccupante spiazzamento del settore alimentare rispetto alla produzione di energia. Per capirlo basta pensare a come l’aumento della coltivazione di vegetali riservati a questo solo scopo privi il territorio di produzioni zootecniche destinate all’uomo». Il docente introduce comunque una distinzione. «Esiste un problema di dimensioni, da valutare progetto per progetto – rileva – Ma se si deve produrre esclusivamente per una centrale a biomasse, la questione non può che essere vista in maniera negativa. È proprio l’uso dei residui industriali di sanse, potature, barbabietole, pomodori a generare quell’effetto di spiazzamento rispetto al food». Diverso invece il discorso sulle biomasse vegetali: «Perché in questo caso – afferma De Castro – si possono raggiungere corrette integrazioni del reddito agricolo, autoalimentate dal punto di vista energetico». Chance. Non cessa comunque la gara per fare incetta di tutte le opportunità. Si parla perlopiù di vantaggi statali: a livello regionale si prevedono stanziamenti a fondo perduto solo in una cornice più ampia. Tecnici ed esperti valutano diversamente le megacentrali come quella che dovrebbe sorgere a supporto della chimica verde a Porto Torres, l’altra mai decollata a Buddusò per l’opposizione popolare, e i tantissimi impianti sotto 1 megawatt, di piccole o medie dimensioni, strettamente connessi al lavoro nelle campagne. In tutti i casi gli ambientalisti, gli indipendentisti, molti esponenti del centrosinistra continuano a lanciare Sos per l’ambiente. Insieme con allarmi per la non sostenibilità ecologica di parecchi progetti e la scarsa produttività di sistemi che a lungo andare vengono giudicati incapaci di funzionare con materie prime dirette. Oltre a speculazioni da parte di chi non è inserito nell’agro-zootecnia e usa i fondi pubblici per ricavarne altri da un surplus energetico del quale non si sa quanto l’isola abbia davvero bisogno. Le attese. «Ho seguito le discussioni sull’argomento e sono abbastanza scettico – sostiene il consigliere regionale del Pd Luigi Lotto – Se guardo in modo positivo alla chimica verde, per esempio, non sono altrettanto sicuro dell’utilità di una centrale a biomasse come quella ipotizzata a Porto Torres». «E per quel che poi concerne l’agricoltura ho parecchi dubbi sul fatto che per alimentare gli impianti si ricorrerà alle sole terre marginali e non si invaderanno invece superfici fertili – rimarca Lotto – La mia pregiudiziale è che nell’agrozootecnia chi produce deve avere un reddito di per sé dignitoso, un’attività che remunera da sola. In questo caso si rischia invece di non avere materie prime a costi decenti per alimentare gli impianti».
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«Ma noi creiamo cicli virtuosi». Diversi imprenditori hanno avviato attività con riscontri positivi nella Nurra.
SASSARI. Chi non ha dubbi sull’investimento è il gruppo d’imprenditori agricoli che nell’isola ha scelto di puntare sulle biomasse per rilanciare le proprie aziende. Impianti piccoli, sotto il megawatt. È il caso, nel nordovest sardo, di Angelino Olmeo. «Ho avviato le pratiche nel 2009 e per 2 anni abbiamo navigato nel buio della burocrazia – spiega – Poi, nello scorso luglio, siamo partiti col biodigeritore: non brucia ma usa la fermentazione aerobica, senza creare né odori né inquinamento». «Noi utilizziamo sottoprodotti di scarto del granturco e di altro, quindi vendiamo all’Enel – prosegue Olmeo – Non abbiamo avuto incentivi sulla costruzione, adesso li avremo sulla cessione energetica. È stato un intervento di svariati milioni in un terreno di 130 ettari che credo si possano recuperare in 5-7 anni, forse anche meno». Analogamente convinto dell’opzione biomasse il vicesindaco di Sassari, Gavino Zirattu, proprietario con la famiglia e un amico di un’azienda nella Nurra. «Ci siamo associati a un gruppo padovano che ha messo a disposizione risorse e sistemi di conoscenza – chiarisce – I vantaggi mi sembrano indubbi. È un’esperienza nuovissima, moderna. Salvaguarda l’ambiente puntando sulle rinnovabili. E consente allo stesso tempo di usare le deiezioni delle pecore e il trinciato di mais come materia prima, in pratica senza fine». «A concludere il ciclo in maniera virtuosa c’è poi il fatto che una parte delle sostanze trattate nell’impianto produce concime da rimpiegare in azienda con abbattimento del ricorso a prodotti chimici», afferma infine Zirattu.
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L’ESPERTO. «Progetti insostenibili: materie prime insufficienti».
SASSARI «Pochi anni fa avevo fatto uno studio sulla sostenibilità degli impianti a biomasse per la Sardegna: ero arrivato a calcolare un massimo di 30 megawatt possibili, ora vedo che se ne ipotizzano 15 volte tanti: mi sembra davvero un’enormità, una situazione che l’isola non può permettersi di tollerare». Nell’affrontare la questione l’ingegner Fernando Codonesu non ricorre a giri di parole. È uno dei maggiori esperti di rinnovabili su scala regionale. E se adesso da nuovo sindaco di Villaputzu osserva le cose anche nell’ottica dell’amministratore, di sicuro non ha perso l’abitudine di esaminare ogni questione sul piano della fattibilità tecnica e dei risvolti connessi alla tutela dell’ambiente. «Il principio da salvaguardare infatti è uno solo: vento, sole e derivati come le biomasse devono produrre energia destinata a restare nella nostra terra – dice – Oggi invece siamo di fronte a una giungla, a un grande pasticcio. Dove, come nell’eolico, speculatori e accaparratori mirano soprattutto agli incentivi pubblici. E dove non si parla di sostituire parte dell’energia tradizionale con le fonti alternative ma di aggiungere alle une le altre». «Ma a che serve? Noi siamo già autonomi sul piano energetico – incalza lo specialista – Eppure, anziché farci pagare le mancate emissione di anidride carbonica in atmosfera, rischiamo di trovarci in una spirale perversa, doppiamente truffaldina». «Il perché è presto detto: la Sardegna non ha sufficienti materie prime per alimentare tante centrali a biomasse così potenti come quelle ipotizzate – sostiene l’ingegnere – Il pericolo è allora che un domani qualcuno pensi di realizzare in partenza stabilimenti ibridi per smaltire di tutto: dalle scorie vegetali all’immondizia. In questo quadro si aprirebbe la strada a una moltitudine di termovalorizzatori o inceneritori diffusi sul territorio». «Sì, perché in assenza di materie prime naturali si passerebbe molto rapidamente a impiegare nel ciclo i rifiuti, con conseguenze disastrose sul versante ambientale per la diossina e le altre sostanze nocive che si libererebbero nell’aria», afferma Fernando Codonesu.
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Il sistema. Processi naturali con luci e ombre.
Se è vero che ci sono biomasse e biomasse, in effetti si considerano sempre tali le sostanze di matrice organica – vegetale o animale – destinate alla produzione di energia. E tutte rientrano perciò a pieno titolo tra le fonti rinnovabili, che si contrappongono alle tradizionali, come il carbone . Tra luci e ombre circa i processi avviati per arrivare al risultato finale di generare energia,le biomasse possono tuttavia distinguersi in biocombustibili, frazioni biogeniche, bioliquidi e solide (come i residui delle lavorazioni agricole e tutti i prodotti organici derivati dall’attività biologica degli animali).
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Conto termico. Nell’ultimo decreto altre agevolazioni.
Nel decreto interministeriale di pochi giorni fa sulle energie alternative, circa il comparto agricolo si prevede il finanziamento d’interventi per aumentare l’efficienza termica attraverso fonti rinnovabili da biomasse. Si fissano così incentivi per la sostituzione di vecchi impianti di riscaldamento di potenza fino a 500 kw, alimentati in prevalenza a carbone o gasolio, con stufe, termo-camini o caldaie a biomasse. Introdotte poi opzioni come l’ innalzamento del limite da 500 a 1.000 kw , l’installazione d’impianti nuovi in fabbricati rurali, la sostituzione del Gpl, a patto che le biomasse abbiano emissioni ridotte rispetto ai massimi previsti.
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LE CIFRE.
10 I GRANDI IMPIANTI A BIOMASSE ATTIVI NELL’ISOLA, PER 80 MEGAWATT. 12 QUELLI IN ISTRUTTORIA, PER 250 MW. 22 I MEGA-IMPIANTI FINALI. COI PICCOLI PRODURRANNO UN TOTALE DI 444 MW.
da La Nuova Sardegna, 8 gennaio 2013
Il Basso Sulcis punta su tre centrali a biomasse. Nove comuni condividono il progetto certi che saranno utilizzate solo risorse rinnovabili. (Enrico Cambedda): http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_231_20130108083229.pdf
e crolla il consumo di energia elettrica.
da La Nuova Sardegna, 10 gennaio 2013
CRISI. Nell’isola crolla il consumo di energia elettrica.
CAGLIARI. Il consumo di elettricità è considerato uno degli indicatori principali per misurare l’andamento dell’economia. Purtroppo dopo due anni di crescita, nel 2012 i consumi di elettricità in Italia tornano a scendere. A livello territoriale la flessione più consistente si registra in Sardegna (-10,3%), che si conferma come la regione maggiormente in difficoltà per l’andamento del proprio sistema economico. Inutile dire che il crollo dei consumi è dovuto principalmente alla scomparsa della grande industria e alla gravissima crisi di tutte le imprese manifatturiere. Dopo la Sardegna l’altra grande flessione dei consumi riguarda la macroarea del Nord-Ovest, (Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta (-7,7%). I dati sono ufficiali e sono stati diffusi ieri da Terna.
da L’Unione Sarda, 27 marzo 2013
Biomasse, intesa a due. (http://www.regione.sardegna.it/rassegnastampa/1_146_20130327084335.pdf)
Enel Green Power e Seci Energia hanno firmato l’accordo definitivo per l’acquisizione del 50% di Powercrop, società del gruppo Maccaferri dedicata alla riconversione energetica a biomasse degli ex zuccherifici Eridania. Con questa operazione, Enel Green Power attiva una collaborazione ad ampio spettro con Seci Energia per lo sviluppo delle energie da biomasse a filiera corta, attraverso la realizzazione di cinque nuovi impianti ad alta efficienza con una capacità installata complessiva di 150 megawatt (Mw) che, una volta realizzati, potrebbero arrivare a generare fino a un miliardo di chilowattora.
MACCHIAREDDU. Anche la Sardegna sarà coinvolta. L’impianto più grosso (50 Mw) sarà realizzato a Macchiareddu. Gli altri quattro saranno invece costruiti a Russi (31 Mw), a Castiglion Fiorentino (19 Mw), a Fermo (19 Mw) e ad Avezzano (30 Mw). Queste strutture garantiranno il ricollocamento dei lavoratori degli ex zuccherifici, consentendo il completamento del percorso di recupero iniziato a valle della riforma del settore saccarifero. «L’investimento sulle biomasse locali consente la piena valorizzazione delle risorse presenti sul territorio e l’incremento dell’indotto», ha detto Francesco Starace, amministratore delegato di Enel Green Power.
da La Nuova Sardegna, 19 aprile 2013
Centrale a biomasse, è mobilitazione nell’area industriale. Lula, preoccupa il progetto di una ditta milanese Il sindaco ha convocato per domani un’assemblea pubblica.
Il fronte del no. Già costituito un comitato di protesta. (Angelo Fontanesi)
Una delle maggiori preoccupazioni che agitano il fronte del no riguarda il combustibile che verrà bruciato al suo interno. Nel progetto presentato al Suap si parla di circa 44 tonnellate di combustibile da bruciare ogni giorno. Da dove arriverà? E cosa verrà incenerito? Le biomasse solide utilizzabili per la produzione di energia elettrica sono costituite, essenzialmente, da legna da ardere, colture specifiche dedicate alla produzione di biomasse legnose.
LULA. Da alcune settimane il progetto per la realizzazione di una mini centrale elettrica alimentata da bio masse in un terreno privato adiacente all’aera industriale del Sologo sta mobilitando decine di operatori del sito industriale e gli amministratori dei diversi comuni confinanti. Il progetto in questione è stato presentato al Suap del comune di Lula da una ditta milanese che vorrebbe realizzare una mini centrale a bio masse capace di produrre 999 KW di energia elettrica in un terreno di proprietà di alcuni possidenti lulesi da anni impegnati in diversi progetti di forestazione produttiva. E proprio da queste produzioni (pinete per lo più) che, secondo il business plan allegato al progetto, dovrebbe pervenire la maggior parte del combustibile solido utilizzato nell’impianto che, per le sue limitate dimensioni (meno di un mw di potenza), non necessita delle valutazione di impatto ambientale e strategica alle quali sono invece vincolati le grosse centrali a bio massa. Tutto insomma si sarebbe dovuto risolvere negli uffici del Suap, ma così non è stato. Numerosi operatori della zona paventano infatti possibili rischi di inquinamento e nutrono il sospetto che l’escamotage delle mini centrali a bio massa possa dare il via ad una sorta di mega centrale spalmata in ordine sparso in diversi mini impianti. Dubbi e timori che hanno dato vita ad un comitato spontaneo al quale hanno sinora aderito oltre un centinaio di persone e soggetti imprenditoriali che nei giorni scorsi hanno rappresentato le loro perplessità al sindaco di Lula Mario Calia. «Si tratta di una iniziativa privata che esulerebbe dalle competenze politiche di una amministrazione – premette il primo cittadino di Lula – ma per una questione di trasparenza e per informare e formare tutti i soggetti coinvolti ho deciso di convocare un’assemblea pubblica per mettere in chiaro ogni aspetto della vicenda». All’incontro, fissato per domani alle 18 al salone Giovanni Paolo II, sono stati invitati i promotori dell’iniziativa, i componenti del comitato contro l’inceneritore e i sindaci dei paesi coinvolti nella zona industriale del Sologo (Irgoli, Galtellì, Loculi, Orune e Dorgali). «In questa occasione – spiega Calia – i tecnici progettisti dell’impianto potranno spiegare nel dettaglio tutte le implicazioni tecniche e le potenzialità della centrale e rispondere alla domande di chi invece vuole sapere e capire se questo tipo di impianto possa nel caso apportare danni all’ambiente in un territorio a spiccata vocazione agroindustriale». Si prevede insomma un’ assemblea partecipata e dibattuta su un tema, quello delle energie rinnovabili, che continua a suscitare grandi interessi ma anche perplessità e timori.
da La Nuova Sardegna, 23 aprile 2013
LULA. Impianto a biomasse nell’area del Sologo, i sindaci scettici. (Bernardo Asproni)
LULA. Il progetto per la realizzazione, da parte di una società privata, nella piana del Sologo, di un mini-impianto di produzione di energia con biomasse capace di produrre 999 kw di energia con l’utilizzo di prodotti legnosi, fa discutere e vengono avanzate proposte per contrastare l’iniziativa, se è necessario, anche attraverso il Tar. Si è detto, nell’assemblea tenuta a Lula, che il progetto ha superato tutti gli esami dell’iter burocratico ma non sono state chiarite molte cose. «Stiamo seguendo un percorso di informazione-formazione corretto, per una politica seria di programmazione in sintonia con l’intera area» ha sostenuto il sindaco Mario Calia. Per capire l’opportunità delle biomasse, per l’uso corretto del territorio, ha acceso la miccia il rappresentante del comitato spontaneo “Pro difesa Sologo” Teo Corrias, citando pareri di esperti ed esperienze e leggendo la lettera inviata al Comune di Lula, agli assessori regionale e provinciale competenti, ai Consorzi di bonifica e industriale della Sardegna centrale per adottare provvedimenti. «La zona industriale Sologo è poca cosa rispetto agli insediamenti agricoli sparsi in migliaia di ettari irrigati, case coloniche, sale mungitura, vigneti e oliveti con centinaia di addetti – ha detto – Prodotti di eccellenza da tutelare, privilegiando la tecnologia eolica e fotovoltaica per salvaguardare l’immagine di qualità dei prodotti della piana di Marreri-Isalle e della vicina Baronia. Il comitato lascia impregiudicato il ricorso a eventuali azioni legali di risarcimento danni – aggiunge – e chiede siano resi accessibili tutti gli atti delle verifiche e controlli che saranno disposti e che si auspicano tempestivi e ricorrenti». Di acquisire certezze hanno parlato l’ex-sindaco di Lula Gavino Porcu, i sindaci di Dorgali Angelo Carta e Irgoli Giovanni Porcu. «Occorre la valutazione ambientale e legale – hanno detto – e questo punto verrà approfondito in un convegno» ha chiuso Calia. A breve si terrà un incontro tra i sindaci di Lula, Dorgali, Orune e della Valle del Cedrino e un’assemblea aperta a tutti.
da La Nuova Sardegna, 5 giugno 2013
Centrale a biomasse, il Sologo non ci sta. Lula, polemiche per il progetto della Barbagia Natura: è nato un comitato che riunisce i Comuni della piana. (Paolo Merlini)
LULA. Quarant’anni dopo le lotte contro l’industria petrolchimica, la gente di Lula è pronta a scendere di nuovo in piazza per difendere la piana del Sologo. Ieri era un pascolo sterminato in uso a un gruppo di pastori, e riuscì a salvarsi al destino che poi fu riservato a Porto Torres, con le conseguenze per l’ambiente che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi è un territorio che fa dell’agricoltura la propria ragione d’essere, con cooperative che spaziano dall’allevamento di bestiame selezionato alla produzione di latticini, e vigne che si estendono per decine di ettari. La polemica ora riguarda la costruzione di una minicentrale elettrica a biomasse, che dovrebbe bruciare legname per produrre energia. Sulla carta un progetto ecologico, in linea con la corsa sin troppo sfrenata alle energie rinnovabili. In realtà, secondo i cittadini che si sono riuniti nel comitato Pro difesa Sologo, un tentativo di riproporre nella piana, in forma diversa, un impianto industriale vero e proprio, magari un inceneritore, tentativo anche questo fallito negli anni ’90 sempre per la benedetta cocciutaggine dei cittadini di Lula. Cittadini che questa volta però non lottano da soli, ma potranno fare fronte unico con gli abitanti degli altri comuni i cui territori ricadono nella piana: Dorgali, Orune, Galtellì, Loculi e Irgoli. Il sindaco di Dorgali, Angelo Carta, ha già annunciato un ricorso al Tar. Del futuro impianto a biomasse si è cominciato a parlare negli ultimi mesi, quando si è scoperto che una società a responsabilità limitata, la Barbagia Natura Società Agricola srl, aveva ottenuto il nulla osta per realizzare in terreni privati la minicentrale, e tutto senza che di questa eventualità si fosse discusso in consiglio comunale solo una volta. Il progetto di Barbagia Natura, infatti, indica come produzione di energia 999 kilowatt, ossia poco meno di un megawatt (1000 kw): sino a tale potenza le norme stabiliscono una procedura semplificata. In pratica, il proponente può autocertificarsi presentando domanda al Suap (lo sportello unico attività produttive) del comune interessato e iniziare i lavori dopo aver ottenuto il nullaosta dagli enti preposti al controllo ambientale, a cominciare dall’Arpas. Autorizzazioni che evidentemente sono state ottenute visto che nelle scorse settimane il futuro impianto è comparso nella graduatoria nazionale dei progetti ammessi agli incentivi. Va detto che in tale graduatoria anche altre società indicano una potenza appena sotto il megawatt, ma al comitato Pro difesa Sologo questo numero singolare (999) è sembrato un espediente per poter realizzare in tempi rapidi l’impianto. E poi, un domani, chiedere un aumento di potenza. L’altro dubbio riguarda il legname che verrà bruciato. «Secondo i nostri calcoli serviranno 440 quintali al giorno – dice Teo Corrias, presidente del comitato – Dove li prenderanno? La nostra paura è che nell’impianto insieme a legname e residui vegetali possa finire di tutto, con conseguenze pericolose per la salute e l’ambiente». Il legname, stando alle carte, dovrebbe fornirlo la stessa Barbagia Natura, società che a dispetto del nome ha sede a Milano, anche se si occupa di forestazione del territorio di Bitti. I dubbi del comitato sono aumentati quando si è scoperto che la società a responsabilità limitata farebbe capo quasi interamente a un’altra società, sempre con sede a Milano, la Delmar Holding Spa, il cui amministratore unico è un giovane imprenditore sassarese, Vito Marrosu, appartenente a una famiglia di costruttori molto nota nel Nord Sardegna. La Delmar opera su vari fronti, dall’energia rinnovabile sino all’industria e al settore immobiliare. Perché il comitato si è insospettito quando ha scoperto che, con tutta probabilità, dietro il progetto della Barbagia Natura ci sarebbe in realtà la Delmar Holding? «Nel sito internet della Delmar– dice Corrias – alla voce fonti rinnovabili, biomasse, si legge che la società sta per realizzare in Sardegna un impianto da sei megawatt alimentato a cippa di legno. La località non è precisata, ma noi crediamo sia la piana del Sologo»
da La Nuova Sardegna, 7 giugno 2013
Centrale a biomasse nel Sologo, gli ideatori difendono il progetto. Ambrogio e Marcello Calia insieme a Michele Ena sostengono il piano: ha tutte le autorizzazioni «Il cippato non inquina, in Germania ci sono oltre 8mila impianti come questo per produrre energia». (Bernardo Asproni)
LULA. Il confronto dialettico sulla realizzazione nel Sologo, in agro di Lula, di un impianto di produzione di energia da fonte rinnovabile biomasse legnose è quanto mai vivo. Dopo gli amministratori dei paesi che ruotano attorno alla zona e il comitato “Pro Difesa Sologo” adesso, sull’altro fronte, sono i proprietari del terreno e conduttori dell’azienda, nonché ideatori dell’iniziativa, che vede come partner finanziario Sardegna Natura dell’amministratore delegato Vito Marrosu e l’ingegnere-progettista Antonio Fraghì, a ribadire a 360 gradi in difesa dell’intervento. Ambrogio e Marcello Calia e Michele Ena, con pacatezza e determinazione, sostengono la loro “creatura”, ribadendo quanto definito, dopo anni di studio con la Cefla e trovato un investitore. E sull’autorizzazione del Suap, è tutto in regola – dicono – sussistono i presupposti di fatto e di diritto per il decollo del mini impianto della potenzialità di 999 kw elettrici. Autorizzazione confortata dai pareri di circa 15 enti coinvolti nel procedimento, fra cui l’Arpas per inquinamento elettro-magnetico-servizi controlli attività di campo e valutazione ambientale. Potrà essere utilizzato solo materiale vegetale prodotto da coltivazioni dedicate; da trattamento esclusivamente meccanico di coltivazioni agricole non dedicate; da interventi silvicolturali, da manutenzione forestale, da potatura; dalla lavorazione esclusivamente meccanica e costituito da cartacee, segatura, truccioli, chips, refili e tondello di legno vergine, granulati e cascami di sughero vergine, tondelli non contaminati da inquinante; materiale vegetale prodotto dalla lavorazione esclusivamente meccanica di prodotti agricoli. «Nessun rischio di impatto ambientale – dichiarano – Il cippato non inquina. In Germania ci sono oltre 8000 impianti, nelle valli del Chianti in Toscana autorizzati 70 e utilizzano i residui di potatura. Producono energia e calore». Dal punto di vista tecnico la macchina, dai filtri incrociati che trattengono le cosiddette polveri sottili, è tarata su 3000 calorie, oltre le quali si blocca. Si è detto che, a parità di legname, l’emanazione di un caminetto è 10 volte quella di un impianto. «Quindi niente rifiuti di altro genere, come taluni paventano. Non è il caso di bruciare altri rifiuti, abbiamo 600 ettari, boschi e vigneti, produzione di pini e ripiantumazione. La macchina – aggiungono – brucia oltre 12mila tonnellate all’anno per 7500 ore, le ore rimanenti sono per la manutenzione. Ore che soddisfano circa 15 ettari all’anno. Già piantumati, nostri e di altri proprietari, circa 250 boschi, da tagliare. Si può andare avanti circa 20 anni, la vita dell’impianto. La nostra è anche una lotta agli incendi, miglioriamo la qualità dell’aria, creiamo lavoro per noi e gli altri e niente soldi pubblici».
da La Nuova Sardegna 29 giugno 2013
Minicentrale elettrica a biomasse i sindaci sono pronti alle vie legali.
Irgoli, al dibattito promosso dai primi cittadini ha partecipato anche l’esperto Fernando Codonesu. «Ben vengano le energie rinnovabili e pulite, ma non se celano speculazioni e danni al territorio». (Angelo Fontanesi)
IRGOLI. Il progetto per la realizzazione di una minicentrale elettrica a biomasse nella piana del Sologo in agro di Lula continua a far discutere tutte le amministrazioni del circondario e avantieri è stato argomento di dibattito durante un incontro promosso dai sindaci dall’Unione dei Comuni Valle del Cedrino e svoltosi nel Municipio di Irgoli. Incontro al quale hanno partecipato anche le rappresentanze amministrative di Dorgali, Orune e Lula e, in qualità di consulente tecnico, il sindaco di Villaputzu l’ingegner Fernando Codonesu. Chiara e univoca, sotto il profilo politico, la posizione finale espressa dai sindaci dell’Unione dei Comuni Valle del Cedrino (Orosei, Irgoli, Galtellì, Loculi e Onifai): «La piana del Sologo è un’area a spiccata e incontrovertibile vocazione agro alimentare e industriale – hanno detto – e qualsiasi intrapresa venga avviata non può compromettere questa destinazione d’uso. Per quanto riguarda gli impianti per la produzione di energie alternative questi non possono andare oltre l’autoconsumo». Sì alle energie pulite e rinnovabili, insomma, ma solo se queste servono per alimentare le stesse attività alle quali sono collegate e non quindi per produrre surplus energetici da immettere poi nel mercato. Se non è una bocciatura tout court al progetto presentato al Suap di Lula della Barbagia Natura Società Agricola srl per la realizzazione di una centrale a biomasse da 999 kilowatt, poco ci manca. Il business plan del progetto parla infatti esplicitamente di una attività finalizzata alla produzione e messa sul mercato di energia elettrica. «Prima di esprime un parere specifico e prendere le dovute contromisure legali e amministrative vogliamo avere un quadro completo ed esatto della situazione – ha spiegato il sindaco di Galtellì Giovanni Santo Porcu – per questo abbiamo chiesto al collega Fernando Codonesu, che è un esperto della materia, di studiare con attenzione il progetto della Barbagia Natura Società Agricola. Per noi comunque rimane salvo il principio secondo il quale non consentiremo che nei nostri territori vengano avviate attività che possano dimostrarsi controproducenti per le produzioni locali». Stesso tenore di commenti nelle parole del sindaco di Irgoli Giovanni Porcu: «Ben vengano le energie rinnovabile e pulite – dice – ma spesso sotto questa etichetta si celano intenti speculativi che niente lasciano al territorio se non danni e inquinamento. L’area del Sologo è e deve restare una zona di sviluppo agroindustriale». I sindaci dell’Unione dei Comuni Valle del Cedrino mettono insomma dei paletti fermi al progetto per la centrale a biomasse contro la quale altri paesi (vedi Dorgali) hanno già presentato ricorso al Tar.