Il Governo impugna davanti alla Corte costituzionale le nuove norme del Veneto che consentono di andare a caccia dove pare e piace.

Passera d’Italia (Passer italiae, foto S.Bottazzo)
Il Governo nazionale, nella seduta del 22 febbraio 2018, ha deciso di impugnare davanti alla Corte costituzionale (art. 127 cost.) le norme che consentono di andare a caccia al di fuori dell’A.T.C. di destinazione contenute nella legge regionale Veneto n. 45 del 29 dicembre 2017 “Collegato alla legge di stabilità regionale 2018” per violazione delle competenze statali esclusive in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, comma 2°, lettera s, cost.).
Così il relativo comunicato stampa: “ … Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Paolo Gentiloni, ha esaminato sessantuno leggi regionali e ha quindi deliberato di impugnare … la legge della Regione Veneto n. 45 del 29/12/2017, recante “Collegato alla legge di stabilità regionale 2018”, in quanto una norma consente modalità di caccia non previste dalla legislazione statale, violando in tal modo l’art. 117, secondo comma, lett. s), Costituzione, nelle materie della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”.

Allodola (Alauda arvensis)
Non è ancora disponibile il testo della relativa delibera del Consiglio dei Ministri.
E’ stata, quindi, accolta l’istanza presentata (24 gennaio 2018) dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
Infatti, il contestato art. 67 della legge regionale Veneto n. 45/2017 prevede che “i cacciatori residenti in Veneto possono esercitare la caccia in mobilità alla selvaggina migratoria fino ad un massimo di trenta giornate nel corso della stagione venatoria anche in Ambiti territoriali di caccia del Veneto diversi da quelli a cui risultano iscritti”, perché in palese contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legge n. 157/1992 e s.m.i. sulla gestione programmata della caccia (art. 14). Il c.d. nomadismo venatorio è vietato perché contrario al legame cacciatore-territorio previsto dalla legge.
Sul punto esiste giurisprudenza costituzionale costante, recentemente consolidata proprio in riferimento a giudizio relativo a una norma regionale veneta. Infatti, la Corte costituzionale, con sentenza n. 174 del 13 luglio 2017, ha cassato le disposizioni della legge regionale Veneto 27 giugno 2016, n. 18 per violazione delle competenze statali esclusive in materia di tutela dell’ambiente (art. 117, comma 2°, lettera s, cost.).
La Corte si era espressa sul ricorso governativo sollecitato da varie istanze ecologiste, fra cui quella effettuata (11 luglio 2016) dal Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto.
Il Gruppo d’Intervento Giuridico onlus esprime forte soddisfazione per la decisione del Governo nazionale di voler difendere le ragioni della difesa della fauna selvatica poste in pericolo, ancora una volta da una norma regionale tesa a favorire gli aspetti più retrivi del mondo venatorio.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Pettirosso (Erithacus rubecula)
(foto Stefano Bottazzo, S.D., archivio GrIG)
da Vicenza Più, 23 febbraio 2018
Nomadismo venatorio, Andrea Zanoni (PD): “Il Governo Gentiloni impugna la legge veneta”: http://www.vicenzapiu.com/leggi/nomadismo-venatorio-andrea-zanoni-pd-il-governo-gentiloni-impugna-la-legge-veneta
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dal sito web del consigliere regionale veneto Andrea zanoni, 23 febbraio 2018
Il Governo Gentiloni impugna la legge veneta sul nomadismo venatorio. Centrodestra in regione incapace di tutelare ambiente e natura, salvi gli uccelli migratori: http://www.andreazanoni.it/it/news/post/il-governo-gentiloni-impugna-la-legge-veneta-sul-nomadismo-venatorio-centrodestra-in-regione-incapace-di-tutelare-ambiente-e-natura-salvi-gli-uccelli-migratori.html
Dal veneto devono smettere di mandare i loro rifiuti industriali in altre parti d’italia.
Vedesi inchiesta Fanpage.
e che c’entra?
Molto bene…. ma in Sardegna gli ATC non ci sono perchè i cacciatori si oppongono. Non sono un esperto in materia, ma mi domando se non è possibile intraprendere una qualche azione giuridica per obbligare la Regione Sardegna al rispetto della legge nazionale che impone l’istituzione degli ATC.
Sig. Agostino, da cacciatore le dico che se in Sardegna faranno gli ATC, per come li hanno disegnati nel DDL del Piano Regionale Faunistico, le cose rispetto ad oggi peggioreranno. Ne sono certo!
Saluti
Ma si, continuiamo a pensare che qui in Sardegna le leggi dello stato italiano sono solo un suggerimento e che possiamo farci gli affari nostri.
Ecco cosa dice l’art.14 della Legge 157/92 (cioè ben 26 anni fa!):
Art. 14.
(Gestione programmata della caccia)
Comma 1. Le regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai sensi dell’articolo 10, comma 6, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali.
Comma 15. In caso di inerzia delle regioni negli adempimenti di cui al presente articolo, il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministro dell’ambiente, assegna ad esse il termine di novanta giorni per provvedere, decorso inutilmente il quale il Presidente del Consiglio dei ministri provvede in via sostitutiva, previa deliberazione del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro dell’agricoltura e delle foreste, di concerto con il Ministro dell’ambiente.
Signor Agostino, la legge 157/92 si è rivelato OGGI una legge fallimentare per quanto riguarda la gestione venatoria e il patrimonio faunistico. Gli ambiti territoriali di caccia altro non sono che aziende pubbliche con tanto di bilancio atte a garantirsi un bacino di clientela venatoria con l’immissione tramite documenti quali piani faunistici venatori provinciali e regionali, di selvaggina pronta caccia. E’ un tentativo da parte le istituzioni, approvato sotto mentite spoglie anche da illustri zoologi e ass. ecologiste, di creare un velo di biodiversità artificiale (polli e conigli colorati) in ecosistemi fortemente compromessi da scelte politiche ambientali scellerate che diversamente sarebbero deserti faunistici. Un tentativo sciocco d una vecchia politica degli anni 90 nel tentativo non di porre rimedi ma di alleggerirsi la coscienza e restituire ad ambienti fortemente antropizzati e devastati dall’agricoltura intensiva con campi sommersi di agro farmaci, i cui habitat sono stati stravolti in nome del progresso, fagiani e lepri che ancora puzzano di mangime, e di cui si sa per certo che tra volpi, corvidi, randagi vari difficilmente la loro sopravvivenza ha una “data di scadenza” per evidenti carenze etolgiche e con lo scopo di essere selvaggina da cannone per i cacciatori (clienti che non pagherebbero diversamente l’ATC) e nel con tempo colorare periodicamente la biodiversità. Il tutto con soldi pubblici largamente versati dalle tasse dei cacciatori, benestanti, che ingrassano e lubrificano questo sistema malato. Una ca…ta all’italiana. La gestione faunistica naturale con selvaggina autoctona, per molti è un’utopia, appartenente ad un passato che non può tornare più, per noi sardi invece no. Anche le varie leggi pro parchi e aree protette, si sono dimostrate fallimentari in temi di gestione faunistica, tant’è che come dimostrato anche dagli articoli del GRIG, molte di queste aree, finito il sogno disneyano della natura capace di trovare misteriosi equilibri naturali allontanando quella categoria di barbari assassini legalizzati chiamati cacciatori, si sono dovuti armare divenendo macellerie eco-sostenibili di personale per la gestione di specie in esubero come gli ungulati, che vengono chiamati coadiutori. La cosa mi fa sorridere, perchè è un gioco di parole che serve a distogliere l’opinione pubblica dalla figura del cacciatore (stile cartone di Bambi) in maniera tale da non creare scalpore, poiché questa figura è stata bombardata mediaticamente dalle ass. ecologiste negli ultimi 20 anni e malvista da una nutrita maggioranza della società. Ma in fin dei conti un coadiutore è un cacciatore che caccia sotto specifico controllo e piani di abbattimento la selvaggina nelle aree protette a cui per comodità mediatiche e scelte politiche è stato cambiato nome. Questo dimostra che non esisterebbe gestione faunistica senza prelievo venatorio, sia nelle aree protette sia nel restante territorio agro silvo pastorale.
ecco il testo della delibera del Consiglio dei Ministri. (http://www.affariregionali.it/banche-dati/dettaglioleggeregionale/?id=12123)
Collegato alla legge di stabilità regionale 2018. (29-12-2017)
Regione: Veneto
Estremi: Legge n.45 del 29-12-2017
Bur: n.128 del 29-12-2017
Settore: Politiche economiche e finanziarie
Delibera C.d.M. del: 22-2-2018 / Impugnata
Legge Regione Veneto n.45 pubblicata sul B.U.R n. 128 del 29/12/2017 recante: “Collegato alla legge di stabilità regionale 2018” presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale.
L’articolo 67, comma 1, introduce l’articolo 19 bis alla legge regionale 50/93. L’articolo inserisce e regola la «mobilità venatoria», prevedendo la possibilità, per i cacciatori della Regione, di «esercitare la caccia in mobilità alla selvaggina migratoria fino ad un massimo di trenta giornate nel corso della stagione venatoria anche in Ambiti territoriali di caccia del Veneto diversi da quelli a cui risultano iscritti, con esclusione della Zona Lagunare e Valliva, previa autorizzazione rilasciata dal sistema informativo» disciplinato al precedente comma 1». Tale sistema informativo «autorizza l’accesso giornaliero ad un numero di cacciatori comunque non superiore alla differenza tra i cacciatori iscritti all’Ambito territoriale di caccia ed i cacciatori ammissibili sulla base dell’indice di densità venatoria massima stabilito annualmente dalla Giunta regionale» (comma 3). Queste previsioni – e più in generale il nuovo art. 19-bis che introduce la “Mobilità venatoria”, deve ritenersi costituzionalmente illegittima per violazione dell’art. 117, secondo comma, lett. s) Cost., in riferimento agli articoli 12, comma 5, e 14, comma 5, della Legge 157/92.
La prima di tali disposizioni statali, infatti, prevede che, «fatto salvo l’esercizio venatorio con l’arco o con il falco, l’esercizio venatorio (…) può essere praticato in via esclusiva in una delle seguenti forme: a) vagante in zona Alpi; b) da appostamento fisso; c) nell’insieme delle altre forme di attività venatoria consentite dalla presente legge e praticate nel rimanente territorio destinato all’attività venatoria programmata». In base alla seconda, invece, «ogni cacciatore, previa domanda all’amministrazione competente, ha diritto all’accesso in un ambito territoriale di caccia o in un comprensorio alpino compreso nella regione in cui risiede e può avere accesso ad altri ambiti o ad altri comprensori anche compresi in una diversa regione, previo consenso dei relativi organi di gestione». La norma regionale, dunque, in primo luogo consente l’attività venatoria in forme e con modalità ulteriori rispetto a quelle individuate, dall’art. 12, comma 5, della legge n. 157 del 1992, ponendosi quindi in contrasto con tale disposizione.
In secondo luogo, se è vero che l’art. 14, comma 5, della legge n. 157 del 1992, consente una deroga al sistema degli ATC, è pur vero che il singolo cacciatore può essere autorizzato all’esercizio venatorio in un ATC diverso da quello al quale è iscritto solo in presenza: a) di un provvedimento dell’amministrazione competente, e b) previo consenso degli organi di gestione.
La norma regionale che qui si contesta, invece, costruisce un sistema “automatizzato” che certamente non contempla il requisito sub b). Anche il requisito sub a), peraltro, non risulta soddisfatto, poiché l’autorizzazione è rilasciata “in automatico”, con il solo limite numerico desumibile dal comma 3 della disposizione de qua, mentre invece la “riserva di amministrazione” prevista dalla norma statale richiede che l’amministrazione competente valuti caso per caso, in relazione alle circostanze del momento, ciascuna richiesta autorizzatoria.
Dal momento che le norme statali sopra citate sono poste a tutela della fauna selvatica, e dunque a tutela dell’ambiente, il contrasto con le medesime si traduce senz’altro in una violazione dell’art. 117, comma secondo, lett. s), Cost. nelle materie di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
Per i motivi esposti, si propone l’impugnativa dinanzi alla Corte costituzionale della legge della Regione Veneto n. 45 del 2017.
da La Nuova di Venezia e Mestre, 24 febbraio 2018
VITTORIA ECOLOGISTA. Alt del Governo al nomadismo venatorio.
Impugnata in Corte Costituzionale la legge veneta che abbatte i confini degli ambiti territoriali: http://nuovavenezia.gelocal.it/regione/2018/02/24/news/alt-del-governo-al-nomadismo-venatorio-1.16519464
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da Il Mattino di Padova, 24 febbraio 2018
VITTORIA ECOLOGISTA. Alt del Governo al nomadismo venatorio.
Impugnata in Corte Costituzionale la legge veneta che abbatte i confini degli ambiti territoriali: http://mattinopadova.gelocal.it/regione/2018/02/24/news/alt-del-governo-al-nomadismo-venatorio-1.16519464
Signor M.A., a parte gli sproloqui su quanto sono bravi i cacciatori sardi, che non val la pena di commentare, il problema è molto più semplice. Ha senso che in tutta Italia i cacciatori abbiano l’obbligo di esercitare la loro dannosa e pericolosa attività solamente in un’area circoscritta – cioè l’ATC di appartenenza – mentre in Sardegna possono scorrazzare da un capo all’altro dell’isola?
La Legge 157/92 potrà avere dei limiti e non piacere, non solo ai cacciatori ma anche a chi pensa che la caccia sia da abolire, ma è UNA LEGGE DELLO STATO.
E quindi dovrebbe essere osservata in tutto lo stato italiano.
E per rispondere alla sua domanda, per come la vedo io, ha senso. A differenza delle altre regioni Italiane, il cui superamento dei confini è alla porta di tutti, in Sardegna non basta prendere la macchina, abbiamo il mare. Gli ATC nascono proprio in virtù del nomadismo venatorio. Prima del ’92 i cacciatori del Nord Italia, il cui territorio era fiorente di industrie (anche delle armi) e un alto benessere economico ma povero di ambiente (anni di grande devastazione ambientale), si organizzavano nella stagione venatoria il fine settimana veri e propri tour con pullman carichi di cacciatori verso la Puglia, la Basilicata, la Calabria e la Campania causando fortissime pressioni venatorie in aggiunta ai cacciatori locali. La 157/92, in seguito agli anni del referendum, nasce in questo contesto storico politico. Ma la politica ambientale e la gestione venatoria previsti con gli ATC per garantire il legame cacciatore-territorio e un velo di biodiversità in un Italia cementificata per poter cacciare e per riempire le poche campagne che pian piano si desertificavano, ha funzionato solo nei primi anni, paradossalmente quando il numero dei cacciatori era più alto, e quindi vi erano anche maggiori entrate. Con il calo dei clienti e quindi con il calo delle entrate si è dovuto optare per l’immissione di selvaggina a basso costo proveniente dall’ est Europa, causando la scomparsa, a causa di patologie o inquinamenti genetici dei ceppi autoctoni della selvaggina locale. Per rispondere alla sua domanda, in Sardegna non abbiamo mai avuto bisogno degli ATC per la gestione della fauna poiché il mare ha giocato a nostro favore, e perché con l’applicazione della 157/92 nelle altre regioni italiane sono terminate le invasioni continentali anche in Sardegna. È rimasto un vastissimo territorio per 40000 cacciatori sardi. 4 gatti per tanti territorio, con una pressione venatoria irrisoria limitata a due giorni fissi. Abbiamo un coefficiente dettato dal rapporto cacciatore territorio ben al di sotto rispetto a quello imposto dalla legge, perché siamo troppo pochi, e meno male. Gli ATC in Sardegna non servono, si fidi, serve tanta buona volontà politica per far funzionare al meglio le cose. Quello si. Buona serata.
Va beh, chiudiamola qua.. A me basta la sua affermazione che condivido al 100 per 100: “Gli ATC nascono proprio in virtù del nomadismo venatorio”.
Quindi bisogna combattere il nomadismo venatorio, che si esprime anche, ad esempio, con l’abitudine dei cacciatori cagliaritani di organizzare spedizioni verso nord.
Qualche settimana fa è apparsa la notizia di cacciatori cagliaritani “rapinati” dei loro fucili in una località barbaricina.
Certamente non erano animalisti, bensì molto più probabilmente cacciatori locali che difendevano il “loro” territorio di caccia.
Poi la questione di come si gestisce la caccia è tutto un altro paio di maniche………….
Agostino mi sembra che ti sfugge un po’ la cosa, l’ATC non è un recinto invalicabile che ti circoscrive in un determinato territorio, basta pagare! In Sardegna questo concetto vale ancora di più perché come ti ho detto siamo troppo pochi per il territorio che abbiamo e per legge,se istituiti dobbiamo ospitarne altri. Il numero di doppiette con gli ATC non cala, ma aumenta così come aumenteranno le giornate di caccia. Nell’ottica delle rapine, sicuramente per qualche delinquente gli ATC possono rappresentare un ottimo business 😀
Ma le leggi dello Stato quando sono anacronistiche e dannose per l’ambiente vanno rifatte. Nel frattempo andrebbero bypassate, a norma di legge, da politici competenti così com’è accaduto da 26 anni a questa parte. Se la 157/92 fosse stata applicata da subito anche in Sardegna, a quest’ora sicuramente esisterebbe il legame cacciatore-territorio nell’ATC, ma i cacciatori in Sardegna non sarebbero 38000, almeno il doppio grazie al turismo venatorio, e all’arrivo dei continentali che chiederebbero e otterrebbero l’ accesso, la caccia sarebbe praticata 3 giorni a scelta per 5 giorni alla settimana, ma a quest’ora staremo tutti piangendo la scomparsa della lepre e della pernice sarda così com’è accaduto nel continente per la lepre italica e per la starna a causa delle immissioni degli ATC di selvaggina “pronta caccia”, (se non immettessero non avrebbero clienti e quindi sparirebbe il senso della 157 stessa) ma sicuramente per Lei, e chi come Lei, in Primavera sarebbe felice di ammirare “selvaggina artificiale” in ambienti stravolti dai fattori già elencati, come le pianure del Campidano e tutte le zone industriali dismesse e abbandonate dove non cresce più nemmeno l’erba.
ecco qui, oltre la caccia non vanno.
da Il Corriere della Sera, 27 febbraio 2018
ELEZIONI 2018. Quei cacciatori al seggio: la destra che cerca i voti in Veneto e il duo bizzarro.
Gli alfieri dei ficili arruolati da FdI nel collegio di Schio. «Noi cacciatori siamo 700 mila, facciamo girare con l’indotto 8 miliardi di euro, diamo lavoro a centomila persone e qui in Veneto siamo 45.000». (Gian Antonio Stella) (http://www.corriere.it/elezioni-2018/notizie/elezioni-2018-quei-cacciatori-seggio-327a3db4-1b43-11e8-b6d4-cfc0a9fb6da8.shtml)
La sua passione, dice, è «la caccia al beccaccino». E quella «in valle» tanto amata da Ernst Hemingway: «I rumori son quelli di un cefalo che qua e là guizza a mezz’aria e ricade nell’acqua, del fruscio delle foglie appena mosse dal vento, del richiamo degli uccelli migratori…». Se potesse, però, Maria Cristina Caretta impallinerebbe (politicamente, ovvio) anche tutti i «provocatori» (così li chiama) colpevoli di battersi per abolire la caccia. Dovesse vincere la destra, lunedì prossimo ne troverebbe diversi, nella scia di Dudù e della ondata d’affetto per cani, gatti e criceti, anche sulla sponda dell’ex Cavaliere. Distanti sul tema quanto Mercurio e Nettuno. Lei considera la caccia come la nobil arte cantata dal Boccaccio: «Avea Diana nella man sinestra / Un arco forte, noderoso e grosso / Tal che daria fatica ad ogni destra…». Loro vorrebbero che ogni cacciatore provasse i panni di Atteone che nelle Metamorfosi di Ovidio, ricorda Paolo Isotta nel suo ultimo libro, «si ritrova mutato in cervo da Diana e sbranato dai suoi stessi cani».
Isolatissima in famiglia
Bionda platinata, occhi azzurri, vicentina di Thiene, operatrice di sistemi informatici, presidente nazionale della Confavi, la Confederazione associazioni venatorie italiane, la Caretta (che porta curiosamente il nome di una specie in via di estinzione nelle acque italiane, la tartaruga «caretta caretta») racconta di aver preso una cotta per la caccia durante una gita con amici in un capanno in laguna: «Pioveva, faceva freddo, era una giornataccia. Fu bellissimo. Tornata a casa, feci subito la licenza». Papà e mamma? «Mai cacciato». Fratelli e cugini? «Mai cacciato». Marito? «Mai cacciato». Isolatissima in famiglia, giura di non esserlo in Italia, a dispetto del calo inesorabile annotato dall’Istat (un milione di doppiette in meno dal 1980), e soprattutto in terra veneta: «Noi cacciatori siamo 700 mila, facciamo girare con l’indotto 8 miliardi di euro, diamo lavoro a centomila persone e qui in Veneto siamo 45.000». Un esercito elettorale. Tanto che, dopo anni di bisticci, si è via via affermata una sorta di «pax venatoria» coi leghisti. La quale ha portato Sergio Berlato, il «capo-caccia» di FdI che ce l’ha a morte coi «nazi-animalisti», a conquistare prima un seggio in Regione e poi a Strasburgo. Per tre legislature. Battendo sempre sullo stesso tasto: caccia, caccia, caccia.
Tessere taroccate
Un’ossessione. Redditizia. Al punto che alle elezioni di domenica prossima raddoppia. E oltre ad aver ottenuto dai vertici destrorsi il posto di capolista al plurinominale alla Camera a Vicenza ha strappato la candidatura anche della Caretta nel collegio di Schio-Recoaro-Valdagno. Due postazioni, dicono, blindate o quasi. Nonostante un processo in corso in comune: un caso di tessere taroccate del Pdl vicentino di sette anni fa. Innocenti, ovvio, fino alla Cassazione. Sono passati cinquant’anni esatti, dall’aprile del 1968 in cui a Valdagno una rivolta degli operai buttò giù la statua di Gaetano Marzotto, protagonista «del passaggio del paese da una condizione di arretratezza, analfabetismo e precarietà alla cosiddetta “città sociale” o “città dell’armonia”». Un episodio a suo modo epocale non solo per il Vicentino ma per l’Italia intera. Mezzo secolo. Il Veneto non è più quello narrato sul Corriere da Alberto Cavallari («la sola Regione che perde popolazione» e la sola «col 17% dei ragazzi che non finiscono elementari») e quella «rivoluzione rossa» tanto rossa poi non fu, ricorda oggi Pietro Marzotto: «C’era un sindacalismo forte e battagliero ma cattolico e il nostro Comune per tanto tempo è stato in mano ai liberali». Per poi aprirsi a sinistra, ma non troppo.
«Prima viene la caccia, poi il resto»
Certo, la Schio della Lanerossi, che un secolo fa era la principale industria laniera italiana e costituiva con la vicina ma lontana Valdagno (non c’era ancora il tunnel) uno dei poli industriali più importanti del Paese, era più «rossa». Lì era nato e cresciuto quel Pietro Tresso che sarebbe stato tra i fondatori del Pci. E lì, per decenni, la città è stata in mano ai cattolici di sinistra e all’Ulivo. Ma anche la roccaforte, l’ultima volta, è caduta. Maria Cristina Caretta, ovvio, sulla vittoria frena: «Ho imparato dalla caccia che certi colpi, quando sembrano facili facili, li puoi sbagliare». Ma è sicura che voteranno lei anche tanti cacciatori di sinistra: «Prima viene la caccia, poi il resto». In Parlamento, spiega, vuol portare «l’interesse dei cacciatori contro il vento animalista». Punta in particolare, ha detto a una tivù locale durante l’«Hit Show», la fiera delle armi di Vicenza (contro la quale minacciò il boicottaggio perché era inizialmente vietato l’ingresso ai minori di 14 anni) a far sì che «ogni regione possa muoversi in regime di deroga». Secondo lei infatti la legge nostra «è la più restrittiva d’Europa».
«Qualche maleducato c’è sempre»
Obiettivo che non mancherà di sollevare un putiferio con gli ambientalisti secondo i quali «siamo sommersi di procedure di infrazione da parte della Ue proprio perché le Regioni, nonostante la nostra legge non sia restrittiva, la violano continuamente con mille deroghe». Ma lei, in tanti anni di caccia, ha mai provato pena per qualche povera bestia uccisa? «Mai. Anche gli alberi, per crescere bene, devono essere potati. La caccia fa parte da millenni della nostra storia. I parchi altoatesini sono i migliori perché l’equilibrio è garantito proprio da noi, i cacciatori». Sicura che non buttino mai giù anche specie protette? «Qualche maleducato c’è sempre». Ma quanto rischia, ad esempio, chi uccide un’aquila reale? «Mi faccia vedere: arresto da due a otto mesi o un’ammenda fino a 2.065 euro». Cioè meno dei 3.600 euro previsti dalla legge del Veneto per chi disturba i cacciatori con i fischietti? «Quella è una legge giusta. Gli animalisti hanno esagerato. Arrivano squadracce di incappucciati che circondano i cacciatori, li minacciano, li intimoriscono…». Squadracce… A proposito di armi: vorrebbe che ce ne fossero di più? «Credo che sarebbe giusto darla, la pistola, a chi la vuole e ne ha diritto». Anche se in America, con tutte quelle armi, si uccide nove volte più che in Italia? «Lì hanno altre regole». Ma lei darebbe pistole e fucili ai professori in classe? Sospira. «Posso avere un’altra domanda?».
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17 gennaio 2018
Quanto ama la caccia il consigliere Berlato.
Una nuova legge regionale consente di dare multe salatissime, fino al 3600 euro, a «chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività venatoria». (Gian Antonio Stella) (http://www.corriere.it/opinioni/17_gennaio_18/quanto-ama-caccia-consigliere-berlato-a923de32-dcdf-11e6-8f57-4c08b8d088ab.shtml)
Caccia, caccia, caccia, caccia, caccia, caccia… Il deputato regionale veneto Sergio Berlato non è un uomo dai molteplici interessi. Se il mitico Oliver Skardy dei Pitura Freska dichiara in una canzone la sua ossessione per il sesso («So’ mato par la mona / più mato dei cavai!») lui pure ha un chiodo fisso: la caccia. Chiodo fisso esistenziale ma anche elettorale. Non solo perché la sua prima lista alle elezioni era «Caccia-pesca-ambiente» ma perché quello è, da sempre, il suo bacino di voti. Che si è tirato dietro, come la lumaca il guscio, via via che passava da An al Pdl a Fratelli d’Italia. Fino al forzare la propria candidatura con Luca Zaia garantendo un pacchetto di preferenze che ruota intorno a due perni: la doppietta e il mulinello. Alla caccia dedicò la prima proposta di legge nel 1990, al primo mandato in consiglio regionale, e alla caccia ha dedicato praticamente tutta la sua attività in questa e nelle altre legislature. Basti dire che incrociando il suo nome con la parola caccia, cacciatori, cacciagione e così via, l’archivio Ansa dà 484 (quattrocentottantaquattro!) pezzi.
Praticamente è uno stalker. Dalla parte di Artemide. Pronto scagliare mille dardi contro chi non condivide la sua passione per gli animali. Abbattuti. Per carità, chi abbia avuto la fortuna di essere amico di Mario Rigoni Stern e abbia letto il suo «Racconti di caccia» sa che questa non può esser liquidata come un vizio di assassini: «Seduto su un sasso fumi una sigaretta e accarezzi il cane; con le dita frughi nella cartuccera: levi e riponi le cartucce; le soppesi. Non viene mai il giorno! Ecco: vedi già il mirino in cima alle canne; vedi le piante, il sottobosco. Sì, eccolo il codirosso e ora anche il merlo. Ti alzi, sciogli il cane e vai». Piaccia o no agli animalisti (che Berlato chiama con non minore fanatismo «nazi-animalisti») le cose sono un po’ più complicate.
Detto questo, la nuova legge regionale che consente di dare multe salatissime, fino al 3600 euro, a «chiunque, con lo scopo di impedire intenzionalmente l’esercizio dell’attività venatoria ponga in essere atti di ostruzionismo o di disturbo dai quali possa essere turbata o interrotta la regolare attività di caccia o rechi molestie ai cacciatori» è un fulgido esempio di clientelismo elettorale. Roba da «Totò Cuffaro poenta e tocio». Prevedere per chi usa fischietti per far fuggire gli uccelli una multa tripla rispetto a chi atterra con un elicottero in spiaggia fa ridere. Se non facesse piangere.