Una proposta di legge farneticante contro il paesaggio e il territorio.
Il Governo Monti, nel corso del tentativo di semplificare amministrazioni pubbliche e procedimenti, ha compiuto una scelta semplicemente schizofrenica rispetto alla recente presentazione del virtuoso disegno di legge sulla salvaguardia del suolo e del paesaggio agricolo.
Ha, infatti, approvato nell’ambito della seduta del Consiglio dei Ministri del 16 ottobre 2012 una proposta di legge sulla semplificazione di una serie di procedimenti in tema di sicurezza sul lavoro, di edilizia, privacy, beni ambientali, previdenza, ambiente.
Fra le varie proposte opinabili, c’è un palese evidente pericolo nelle intenzioni governative: “un importante intervento riguarda la tutela del paesaggio e l’edilizia. In particolare sul permesso di costruire si prevede la certezza dei tempi di conclusione del procedimento. La norma elimina il silenzio rifiuto previsto per il rilascio del permesso di costruire nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali: il provvedimento dovrà essere sempre espresso in base ai principi stabiliti dalla legge n. 241 del 1990. Inoltre per quanto riguarda l’autorizzazione paesaggistica, al fine di assicurare la certezza dei tempi di conclusione del procedimento, si prevede l’obbligo dell’amministrazione competente, una volta decorso il termine, ridotto a 45 giorni per l’espressione del parere da parte del soprintendente, di provvedere sulla domanda di autorizzazione. In materia di tutela ambientale si prevede un complesso di norme predisposte dal Ministero dell’Ambiente per semplificare una serie di procedimenti nel pieno rispetto degli standard comunitari al fine di assicurarne l’accelerazione, fermi restando i livelli di tutela”.
Ecco gli articoli della proposta di legge relativi all’eliminazione del silenzio-rifiuto in tema di permesso di costruire e al termine di rilascio del parere vincolante del Soprintendente in sede di procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica:
Art. 12
(Eliminazione del silenzio rifiuto sul permesso di costruire in caso di vincoli)
1. All’articolo 20 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, recante testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 8, le parole: “di cui ai commi 9 e 10” sono sostituite dalle seguenti: “ di cui al comma 9.”;
b) il comma 9 è sostituito dal seguente: “9. Qualora l’immobile oggetto dell’intervento sia sottoposto a vincoli ambientali, paesaggistici o culturali, il termine di cui al comma 6 decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Ove tale atto non sia favorevole, decorso il termine per l’adozione del provvedimento finale, il procedimento è comunque concluso con l’adozione di un provvedimento espresso e si applica quanto previsto dall’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241.”;
c) il comma 10 è soppresso.
Art. 13
(Modifiche all’articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42)
1. All’articolo 146 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, recante il codice dei beni culturali e del paesaggio, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 5, secondo periodo, sono soppresse le parole : “e, ove non sia reso entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti, si considera favorevole”. Al medesimo periodo, dopo le parole “non vincolante”, sono aggiunte le seguenti: “ed è reso nel rispetto delle previsioni e prescrizioni del piano paesaggistico, entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti, decorsi i quali l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione.”;
b) al comma 9 i primi tre periodi sono sostituiti dal seguente: “9. Decorso inutilmente il termine di cui al primo periodo del comma 8 senza che il soprintendente abbia reso il prescritto parere, l’amministrazione competente provvede sulla domanda di autorizzazione.”.
Non c’è male.
In estrema sintesi, il decorso del termine per provvedere al rilascio del permesso di costruire in presenza di vincoli ambientali non sarebbe più considerato “silenzio-rifiuto”, ma sarebbe considerato quale termine meramente ordinatorio e il procedimento dovrebbe in ogni caso concludersi con un provvedimento espresso. Il ritardo potrebbe inoltre essere fonte di responsabilità civile.
Inoltre, l’ennesima modifica dell’art. 146 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. (codice dei beni culturali e del paesaggio) comporterebbe la riduzione da 45 a 60 giorni del periodo per l’espressione del parere da parte del competente Soprintendente per i beni ambientali nel corso del procedimento per l’eventuale emanazione dell’autorizzazione paesaggistica. Trascorso il termine (perentorio), l’amministrazione competente per il procedimento (Regione delegata o Comune sub-delegato) procede in ogni caso.
Una vera follìa, visto l’enorme carico di lavoro delle Soprintendenze. Un modo per rendere quasi impossibile il fondamentale controllo a fini di salvaguardia dell’ambiente della Soprintendenza.
Ma non basta.
Nella proposta di legge c’è un palese attacco al principio europeo “chi inquina paga” per quanto riguarda la messa in sicurezza e la bonifica delle aree inquinate. La disposizione proposta in sostituzione dell’art. 243 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. (codice dell’ambiente) sulla “gestione delle acque emunte” sostanzialmente demolisce il principio “chi inquina paga” e fa un enorme favore a chi inquina.
Ecco il testo: “Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre alla eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile e economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla Parte III del presente decreto”. L’eliminazione della fonte di contaminazione diventa “ove possibile e economicamente sostenibile” per chi ha inquinato. Una vera e propria sciagurata vergogna che stravolge i principi europei in tema di tutela ambientale e bonifica. Inoltre vengono messe sullo stesso piano le operazioni di messa in sicurezza con le bonifiche mischiando gli interventi cautelari e di urgenza con quelli strutturali.
E per finire: i decreti conclusivi dei procedimenti di valutazione di impatto ambientali (V.I.A.) non dovrebbero esser più pubblicati (per estratto) sulla Gazzetta ufficiale, ma solo sul sito web istituzionale dell’amministrazione competente (Ministero dell’ambiente, Regione, Provincia), con ovvia lesione del diritto all’informazione ambientale e della possibilità di impugnarli.
Una proposta di legge da rivedere assolutamente e da emendare radicalmente.
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus
qui il disegno di legge “Nuove disposizioni di semplificazione amministrativa a favore dei cittadini e delle imprese” (16 ottobre 2012)
da Il Corriere della Sera, 18 ottobre 2012
IL RISCHIO DEL BOOM DI RICORSI PER CHIEDERE I DANNI ALLO STATO IN CASO DI RITARDO. Le zone vincolate e il sì in 45 giorni. Il pasticcio del limite impossibile. Cancellato il silenzio-rifiuto. Ma come faranno le sovrintendenze sotto organico? Gian Antonio Stella
Se gli efficientissimi uffici tedeschi impiegano 97 giorni a dare l’okay per costruire un capannone, può bastare una legge a miracolare le nostre soprintendenze spingendole a dire sì o no a un eventuale abuso entro 45? E questo nonostante gli uffici di tutela abbiano qua e là paurose carenze d’organico? Eppure è questo l’intento della nuova legge sulla semplificazione. Che rischia di essere un pasticcio dalle conseguenze da brividi. In linea di principio, ovvio, è impossibile non essere d’accordo. Anzi, il sogno di tutti i cittadini sarebbe quello di ottenere una risposta alla domanda di una licenza edilizia entro una settimana. O magari il giorno dopo. Ma un conto sono le dichiarazioni di principio, un altro il buon senso.
Immaginate una legge che dica: le ambulanze devono arrivare in ogni luogo d’Italia entro 5 minuti dalla richiesta di soccorso. Evviva. Ma le strade dovrebbero essere in ordine, le piazzole attrezzate, i centralini sempre all’erta, le autolettighe nuove e non vetuste con 22 anni di anzianità media, i volontari e i medici abbondanti, i serbatoi della benzina sempre pieni… Insomma: calare dall’alto un bellissimo principio su una realtà sgangherata non solo non risolve i problemi ma rischia di aggravarli creando aspettative impossibili da accontentare. Certo, la storia dei permessi edilizi nei luoghi soggetti a qualche forma di tutela paesaggistica, monumentale o archeologica era regolata fino a ieri da due leggi che finivano per andare in conflitto. Una diceva che il silenzio delle sovrintendenze equivaleva al rifiuto, un’altra che equivaleva al consenso. E sul tema da anni si erano aperte infinite baruffe politiche e giudiziarie. È lì che interviene il disegno di legge: «La nuova disciplina del permesso di costruire, oltre a garantire tempi certi per la conclusione dei procedimenti, elimina il silenzio rifiuto previsto per il rilascio del permesso medesimo nei casi in cui sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali». D’ora in avanti le novità «consentono una maggiore certezza del rispetto dei termini e una riduzione dei tempi di conclusione del procedimento, in virtù dell’obbligo dell’amministrazione competente, di emanare il provvedimento, una volta decorso il termine per l’espressione del parere da parte del soprintendente, che viene ridotto a 45 giorni».
Sulla carta, benissimo. Ma si può chiedere a una tartaruga di farsi di colpo lepre? Dice Confindustria che per tirar su uno stabilimento in una zona industriale una media azienda deve aspettare 97 giorni in Germania, 184 in Francia e 258 giorni da noi. E parliamo di aree industriali, pezzi di territorio già compromessi. Non delle colline terrazzate del Chianti, dei dintorni di un sito archeologico o di una costa ancora incontaminata. Non bastasse, quella tartaruga è azzoppata da un’antica e progressiva carenza di organici. Solo tra i dirigenti, ne mancano uno su sei. E tra quelli che dovrebbero compiere i sopralluoghi i vuoti in certe aree sono drammatici. «In Molise abbiamo quattro persone che possono andare a fare le verifiche, coi mezzi pubblici o con l’auto propria ricevendo rimborsi bassissimi e pagati a volte molti mesi dopo», spiega il direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici Gino Famiglietti. «Quattro persone per 4.400 chilometri quadrati: ammesso che passino la vita in giro, e ancora non basterebbero, poi i controlli sulle carte in ufficio chi li fa?».
Tanto per dare un’idea: come ricorda il deputato Roberto Morassut il carico di lavoro a Roma è tale che le 600 mila pratiche dei condoni edilizi craxiani e berlusconiani (l’ultimo 9 anni fa) sono state sbrigate solo per la metà. C’è anzi chi sta perfino peggio: a Messina i fascicoli ancora da smaltire sono circa 11 mila su 16 mila. E il giorno in cui tentarono di chiudere il contenzioso con la «sanatoria delle sanatorie» gli abusivi che scelsero di aderire con un’autodichiarazione furono lo 0,37%. Perfino nelle realtà mediamente più virtuose come Torino la soprintendenza ammette: «Data l’impossibilità di verificare tutto, la maggior parte delle pratiche vengono sbrigate col silenzio-assenso». Figuratevi nel resto del Paese e soprattutto nelle quattro Regioni meridionali (Sicilia, Calabria, Puglia, Campania) in cui si concentra secondo il Cresme il 59,6% delle abitazioni abusive. Immaginatevi quei 45 giorni di tempo dati ad esempio nello sgangherato hinterland napoletano o a Ischia, dove su 62 mila abitanti sono stati denunciati 28 mila abusi. Sinceramente: davvero c’è chi pensa di potere arginare la devastazione del territorio, continuare a tagliare gli organici e allo stesso tempo raggiungere una produttività e una rapidità dimezzata rispetto agli uffici tedeschi? Ma dai… Dice una nota di Lorenzo Ornaghi che no, «non c’è nessuna diminuzione del livello di tutela del paesaggio e dei beni culturali poiché la nuova norma, obbedendo a un principio generale di trasparenza della funzione pubblica, ha solo ribadito il diritto del cittadino ad avere in ogni caso una risposta espressa e motivata (negativa o positiva) sulla propria domanda di permesso di costruire o sulle altre istanze che presenti all’amministrazione». Può essere.
Eduardo Zanchini di Legambiente spiega però di essere preoccupatissimo: «Oggi le competenze sulla tutela sono in qualche modo contese, di fatto, tra le sovrintendenze e le Regioni. Non vorremmo che, nell’attesa di una risposta fuori tempo massimo dei soprintendenti asfissiati dal lavoro le Regioni e i Comuni consentissero di costruire anche nelle aree più delicate». Conosciamo già la risposta di rito: se succederà si tratterà di case illegali. Bella consolazione: in Italia, stando agli studi di Paolo Berdini, sono già quattro milioni e mezzo. E perfino quelle con decreto di abbattimento vengono poi abbattute nello 0,97% dei casi.
Per non dire, se non arriverà qualche ritocco salvifico, di un rischio ulteriore: ogni cittadino che non riceverà la risposta delle sovrintendenze entro 45 giorni sarà autorizzato a fare causa per danni allo Stato. Accettiamo scommesse: rischia di scatenarsi una baraonda avvocatesca mai vista.
(foto E.R., S.D., archivio GrIG)






prima di tutto non si tratta di una proposta di legge ma di un disegno di legge così come qualsiasi provvedimento proposto dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Non è cosa da poco perchè un disegno di legge del Governo rispetto alle proposte di legge dei senatori o deputati, ha una corsia preferenziale.Con tutti i problemi che abbiamo come si può dichiarare urgente questa modifica della legislazione vigente ? Circa il fatto che si esclude il silenzio-rifiuto dell’Amministrazione che deve rilasciare l’eventuale nulla osta non può essere giustificato da carichi di lavoro che impediscono in tempi certi la definizione della pratica. Per questo e solo per una tutela del cittadino-richiedente è giusto che si abbiamo tempi certi e va bene la modifica di legge ovviamente contestualmente dando il personale adeguato a svolgere le pratiche. Io come ogni altro cittadino paga le tasse e una inadempienza dello Stato non può essere giustificata. Mi chiedo invece se non sia demenziale la delibera di Giunta regionale di questo mese che, in deroga alle vigenti leggi, permette di costruire a meno di 300 metri dalla battigia di laghi naturali o artificiali e stagni ! Un vero attacco all’ambiente ! e aproposito di paesaggio come è stato possibile autorizzare ed edificare quei quattro mostri a Santa Gilla ?
questo è un articolo di carattere divulgativo, non di carattere scientifico. Tecnicamente è vero che il termine “disegno di legge” si riferisce all’iniziativa legislativa del governo, ma nell’uso comune è ormai utilizzato correntemente il termine “proposta di legge” per qualsiasi iniziativa di produzione normativa, a prescindere dal soggetto proponente (governo, parlamentari, popolo, consigli regionali, ecc.).
L’art. 71 della Costituzione definisce tali atti progetto di legge, l’art. 87 disegno di legge, l’art. 121 proposta di legge, ma sostanzialmente sono sinonimi.
Qualunque sia il soggetto proponente hanno medesimo valore formale, ma – ovviamente – il peso politico dell’iniziativa governativa è maggiore.
Il 4 ottobre scorso non è stata approvata una deliberazione di Giunta regionale, ma la legge regionale che abbiamo definito “scempia-stagni” e di cui ci siamo occupati ampiamente: https://gruppodinterventogiuridicoweb.wordpress.com/2012/10/16/la-legge-regionale-sarda-scempia-stagni/ .
Reblogged this on i cittadini prima di tutto.
Ci si preoccupa di non avere il dolce quando manca il pane. E’ giusto legiferare sulle concessioni edilizie , sempre che non permettano la piu facile deturpazione del paesaggio e limitazione di liberta’ di movimento di tutti a vantaggio di pochi . Ma si dovrebbe guardare prioritariamente alla messa in sicurezza del territorio e liberarla dalla pattumiera che ormai sta invadendo tutto (andare per le coste sarde ad es. tra sporcizia, abbandono, roulotte dismesse. )
sulla pagina facebook di Sardinia.post, Gian Antonio Stella magnifica la nostra associazione per l’impegno quasi unico contro l’abusivismo edilizio….ricordare di mandare un vassoietto di dolcetti sardi per ringraziare…..
..e magari pure una buona Vernaccia!
da La Repubblica, 21 ottobre 2012
I falsi difensori del paesaggio che violano la Costituzione.
Il paesaggio e la sua tutela:«Quale è, su questo punto, la favoleggiata “agenda Monti”?». La risposta sembra chiare. (Salvatore Settis)
Il disegno di legge sulle semplificazioni appena approvato dal Consiglio dei ministri si scontra con un piccolo intoppo: la Costituzione. Il ddl modifica la normativa sui permessi di costruire nelle zone con vincolo paesaggistico. Ma insiste nella “dottrina Confindustria” secondo cui la tutela del paesaggio è un inutile freno all’edilizia, considerata contro ogni evidenza come il principale motore dell’economia del Paese.
Tre sono gli strumenti escogitati negli ultimi anni per vanificare la tutela del paesaggio in barba alla Costituzione: la devoluzione di fatto ai Comuni delle procedure autorizzative, la diluizione dei pareri tecnici dei Soprintendenti in “conferenze dei servizi” dominate dalle istanze della politica localistica, e infine varie forme di silenzio-assenso (“chi tace acconsente”). È su quest’ultimo punto che interviene il ddl in discussione. Il silenzio-assenso, nato per tutelare il cittadino dall’inerzia della pubblica amministrazione, non può applicarsi in qualsiasi ambito, e infatti la legge 537/1993 ne escludeva beni culturali e paesaggio. Tuttavia si tentò con ripetuti colpi di mano di rovesciare le carte, in un idillio bipartisan in cui il ddl Baccini del 2005 (governo Berlusconi) e il ddl Nicolais del 2006 (governo Prodi) si somigliano come due gocce d’acqua. In ambo i casi, lo scempio fu denunciato da questo giornale e da altri, bloccando l’iter dei provvedimenti. Ma il governo Berlusconi, già in avanzato stato di decomposizione, portò a segno nel maggio 2011 un colpo di coda, il D. L. 70 (poi L. 106): il silenzio-assenso veniva introdotto modificando il testo unico sull’edilizia e il Codice dei beni culturali.
Ora, che cosa fa il ddl Monti? In apparenza migliora la situazione, togliendo dal Codice lo smaccato invito alle procedure di silenzio-assenso. Ma gli apparenti miglioramenti, su cui l’ignaro Ornaghi si auto-elogia a vuoto, non cambiano in nulla la sostanza anzi la confermano fingendo di volerla sanare. Il dispositivo che risulta dal nuovo ddl, in un labirinto di commi e codicilli, è confuso e farraginoso, ma qualche punto è chiaro. I permessi di costruire nelle aree vincolate vanno richiesti a uno “sportello unico” presso ciascun Comune. Le Soprintendenze, organo a cui la legge affida la tutela del paesaggio, vengono interpellate insieme con le altre ammini-strazioni, e possono essere convocate in conferenze di servizi dove sono ovviamente in posizione minoritaria. Per giunta, il parere dev’essere reso “in conformità al piano paesaggistico” locale, cioè può non tener conto dei vincoli ministeriali, a volte non inclusi nel piano paesaggistico, a volte successivi ad esso. In ogni caso, il parere delle Soprintendenze dev’essere espresso entro 45 giorni; se no, il Comune può decidere quel che gli pare. Con la pistola alla tempia, i Soprintendenti o decidono o perdono ogni potere: di fronte a questo dato di fatto, la dichiarazione del Ministero secondo cui «la nuova norma rafforza la tutela» è irresponsabile. Perché la tutela si rafforzi è indispensabile che vi sia chi la fa: ma le Soprintendenze sono delegittimate dall’incompetenza e dall’inerzia degli ultimi tre ministri, e al 40% coperte per reggenza; i loro funzionari sono in costante calo numerico per carenza diturn-over, hanno un’età media di 55 anni, e sono stati borseggiati da cinici tagli di bilancio, tanto che mancano i soldi per pagare il telefono e per ispezionare il territorio. In queste condizioni, ridurre da 90 a 45 giorni i tempi di risposta è uno sberleffo ai funzionari che provano eroicamente a fare il proprio lavoro.
Fingendo di dar risalto al parere delle Soprintendenze, il ddl Monti le mette in condizioni di minorità, introducendo una nuova versione del famigerato silenzio-assenso: il silenzio-abdicazione. Si demanda di fatto ogni decisione ai Comuni che dappertutto, con un sottobosco di deleghe e subdeleghe, gestiscono il territorio in funzione di manovre elettorali e degli interessi dei costruttori. Ma il silenzio-assenso in tema di paesaggio è contrario all’art. 9 della Costituzione, come ha dichiarato la Corte Costituzionale in almeno cinque sentenze: in questa materia «il silenzio dell’Amministrazione preposta non può avere valore di assenso» (sentenza 404/1997). Il silenzio non ha di per sé alcun significato giuridico: è il legislatore che sceglie se attribuirgli un significato, e quale. Se il legislatore privilegia l’interesse pubblico a tutelare il paesaggio, attribuirà al silenzio dell’amministrazione il valore di un diniego; se (come nel ddl Monti) gli dà invece valore di assenso o, che è lo stesso, di abdicazione in favore dei Comuni, privilegia l’interesse privato di chi intende devastare boschi, coste, zone archeologiche. Questo disegno di legge impegna la credibilità del governo e il rispetto della Carta fondamentale dello Stato. Ma l’assalto al paesaggio italiano è, a quel che pare, irrinunciabile: basti pensare alle dichiarazioni (Passera, Ciaccia) sulla cementificazione del territorio con grandi opere da finanziarsi con denaro pubblico, cioè accentuando i tagli alla spesa sociale.
Anche il ddl Catania sui suoli agricoli, partito bene, sta intanto cambiando pelle, tanto che secondo l’assessore all’urbanistica della Toscana, Anna Marson, «il testo dichiara di voler tutelare i suoli agricoli e limitarne il consumo, ma nei suoi dispositivi concreti rischia di produrre nuovo consumo di suolo, anziché ridurlo». La debole risposta del ministro dei Beni culturali non fa notizia: Ornaghi, si sa, ha la genuflessione facile. Con accanimento suicida, si invocano le ragioni dell’economia, le stesse che da trent’anni a questa parte legittimano condoni, sanatorie e piani casa in nome di uno sviluppo che non c’è stato. Come ha scritto l’antichista David Sedley, la passività dei governi rispetto alle pretese leggi dei mercati, sempre più simile a una superstizione, ha la funzione che nell’impero romano ebbe l’astrologia (anche imperatori assai pragmatici non muovevano un dito senza consultare gli astrologi di corte). Ma la tutela del paesaggio è vitale nel sistema di diritti della Costituzione: è espressione dei «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» (art.2), indirizzata al «pieno sviluppo della personalità umana» (art.3), collegata alla libertà di pensiero e di parola (art.21), alla libertà dell’arte, della scienza e del loro insegnamento (art.33), al diritto allo studio (art.34), alla tutela della salute «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività» (art.32).
Secondo la Costituzione il bene comune non comprime, ma limita i diritti di privati e imprese: alla proprietà privata deve essere «assicurata la funzione sociale» (art.42), la libertà d’impresa «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale» (art.41). Mettiamo dunque sul tappeto questa domanda: l’alto orizzonte di diritti che la nostra Costituzione consegna ai cittadini è compatibile con le (vere o false) costrizioni dell’economia? E se non lo è, come si risolve il contrasto, archiviando la Costituzione o agendo sull’economia e sulla politica? Quale è, su questo punto, la favoleggiata “agenda Monti?
anche il mio intervento non era di carattere tecnico (non scientifico) ma divulgativo, che non solo condivideva ma rimarcava le critiche dell’associazione e la preoccupazione che si deve generare per una iniziativa che lascia quantomeno… perplessi. Per questo la precisazione “disegno di legge” è relativa non tanto al termine usato corretto (ben vengano le precisazioni che confermano la corettezza del termine), ma all’obiettivo che in questo caso si vuole raggiungere: cioè velocizzare un iter di approvazione. Questo serve a far capire che questo governo, che scadrà nei primi mesi del prox anno, intende prioritara questa iniziativa rispetto ad altre e questo deve mobilitare tutti come fatto dalla vs. associazione. Io non credo, con i problemi che abbiamo, sia prioritaria questa iniziativa di governo. Condivido che comunque la P.A. deve essere riformata e deve essere aperta e trasparente alle istanze dei cittadini. E’ chiaro che si tratta di un refuso: legge regionale e non delibera.