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Non è un pianeta per scimmie, forse nemmeno per uomini…


Topolini di laboratorio

Riceviamo da Annamaria Manzoni, psicologa e psicoterapeuta, e pubblichiamo volentieri.

Le frontiere della sperimentazione non sempre raggiungono risultati positivi e condivisibili…

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Iris planifolia

Non è un pianeta per scimmie: sperimentazione unlimited.


Tutte le torture, i patimenti, i terrori inflitti agli animali appartengono legittimamente  al dolore infinito della storia e ne modificano il senso, se ne abbia uno” (Guido Ceronetti)

La storia continua: giusto un anno fa, il 24 gennaio 2018, l’Istituto di Neuroscienze dell’Accademia Cinese delle Scienze di Shanghai, aveva comunicato la nascita  di Zhong Zhong e Hua Hua, due cucciole di macaco, frutto di clonazione. Termine, quello di clonazione, familiare già dal  1996 quando aveva “prodotto” la pecora Dolly  ( “abbattuta”, nonostante la sua fama,  a circa 7 anni di età a causa delle complicazioni di un’infezione e finita imbalsamata al National Museum of Scotland), e poi, a seguire, mammiferi di  altre 23 specie: maiali, gatti, cani, ratti….; con l’Italia all’avanguardia  con il toro Galileo, la cavalla Prometea e  un rinoceronte bianco. Ma la “tecnica” cinesa era stata la prima ad avere successo con i primati, entusiasti della possibilità di creare un “esercito di scimmie”, secondo la loro espressione, su cui fare tutto ciò che avessero ritenuto opportuno su un Animale “così vicino all’uomo”. Gioia  e delizia per gli scienziati, ma viva preoccupazione per i cattolici, che paventavano il possibile, diciamo pure probabile, passaggio alla clonazione umana, in una sorta di  “delirio di onnipotenza” , diceva il cardinale, Angelo Bagnasco,  mentre  altri, quali il ricercatore Cesare Galli, lamentavano astiosamente  le restrizioni (sic!) vigenti in Italia. 
Come previsto, la ricerca è proseguita a spron battuto e  il 23 gennaio di quest’anno dallo stesso Istituto cinese arriva la festosa notizia: nuova clonazione e questa volta le scimmie sono cinque e, udite udite,  tutte malate di insonnia.In breve: degli Animali sono stati modificati geneticamente in modo da silenziare un fattore che regola il ritmo biologico e quindi l’alternarsi del sonno e della veglia; da loro sono state  prelevate delle cellule, a partire dalle quali i ricercatori hanno completato la clonazione: il risultato sono le cinque nuove scimmiette con lo stesso difetto genetico, destinate a  non dormire mai, fino alla fine della loro miserabile vita.  Davvero un successone, spiegano, visto che mai prima si era riusciti  a clonare Animali affetti da insonnia,  disturbo capace di generare a propria volta squilibri ormonali, ansia, depressione,  schizofrenia: di tutto questo soffriranno i cinque piccoli primati nati in laboratorio, ma non poniamo limiti, perché, secondo il parere di Hung-Chun Chang,  coordinatore dello studio pubblicato su National Science Review, potrebbero insorgere anche altre patologie neurodegenerative, riprodotte in laboratorio. Apprezzamento anche dagli scienziati di casa nostra, tra cui  Carlo Alberto Redi (accademico dei Lincei e direttore del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell’Università di Pavia), che, sottolineando la “serietà” dell’esperimento, afferma che in questo modo “si sono ottenuti ‘avatar’ suscettibili di malattia nelle scimmie, gli animali più vicini all’uomo”; e di Giuseppe Novelli (rettore dell’Università di Roma Tor Vergata), che pregusta possibili progressi nella cura del diabete nonché dell’invecchiamento precoce, “perché finalmente abbiamo ciò che mancava, vale a dire un animale modello di malattia così vicino a noi.” Senza doverci più accontentare, quindi, dei topi, da sempre martoriati in numero oceanico, ma ahimè più lontani da noi quali “modelli”, quindi poco utili, come si deduce dalle parole degli stessi ricercatori, che pure con accanimento si sono prodigati ad usarli e abusarli, in spregio dell’opposizione di parte del mondo scientifico che da tempo ne sostiene la non validità. Ma tant’è: con tutti i topi che ci sono, ed esseri spregevoli quali noi li consideriamo, non è il caso di porsi tanti problemi al loro impiego, pur se inutile. Mentre il dibattito continua a snodarsi tra timori etici totalmente antropocentrati ed  entusiasmi scientifici, restano escluse dal perimetro dell’interesse le piccole scimmiette, protagoniste perplesse e inconsapevoli, nonostante sia su di loro che si gioca tutta la partita, partita tragica, di perenne sofferenza: le prime destinate allo studio di malattie ( Parkinson, Alzheimer, tumori…), da fare insorgere sui loro corpicini; le altre già malate ancora prima di aprire gli occhi su un mondo il cui orizzonte sarà per sempre delimitato dalle pareti asettiche di un laboratorio e su cui neppure per un attimo potranno chiudere gli occhi per un po’ di riposo vista la loro condanna senza appello ad una veglia perenne.  Esserini da far crescere per un po’ in ambienti protetti e sterilizzati affinchè, non sia mai, non si ammalino di alcuna malattia imprevista, perché malate devono essere e tanto, ma solo di quei morbi che animano l’interesse dei  loro studiosi, e che presumibilmente in natura non potrebbero mai sviluppare. In ogni caso se qualche imprevisto dovesse malauguratamente rovinare il “modello” da loro rappresentato, non ci sarà da preoccuparsi oltre misura, dal momento che l’auspicato “esercito” di loro omologhe giustificherà un uso rilassato, qualche spreco, qualche generosità nell’impiego del “materiale” abbondante.Il richiamo allo psicologo statunitense  Harry Harlow (1905-1981) e ai suoi macabri esperimenti è potente: intorno agli anni ’60 del secolo scorso, intenzionato  a studiare le conseguenze della deprivazione materna, cominciò ad utilizzare piccoli macachi, che staccava dalle madri a solo poche ore di vita, e poi chiudeva in gabbie, in cui inseriva “madri finte”, di stoffa e di metallo. I piccoli cercavano  un disperato contatto con la “mamma morbida”, preferendola a quella di metallo pur se era quest’ultima a fornire il latte. Il bisogno di contatto era talmente forte che i piccoli si avvicinavano a queste madri surrogate anche quando queste erano dolorosamente respingenti, come dimostrò il dr. Harlow, che usò “madri” progressivamente sempre più minacciose:  capaci di emettere aria compressa ad alta pressione, poi in grado di oscillare violentemente al punto di far tremare i denti e il capo del cucciolo, di buttare fuori una struttura metallica, che lo allontanava violentemente, fino ad arrivare alla “madre porcospino” emetteva aculei metallici. Niente da fare: i cuccioli, benchè angosciati,  non smettevano di aggrapparsi alla “madre”  “perchè un bambino spaventato  si attacca a tutti i costi alla madre. Non ottenemmo come risultato alcuna psicopatia, ma non desistemmo.”   La successione orrenda delle fasi dell’esperimento risulta struggente persino da descrivere; ma  non per il dr. Harlow da ideare , dal momento che proseguì facendo costruire un suo personale  “pozzo della disperazione”, in cui teneva in totale isolamento dalla nascita e per molti mesi dei piccoli di macaco, per studiare le loro reazioni: per la cronaca non sorprenderà sapere che erano di paura. Lecito qualche interrogativo sulla personalità del dr. Harlow, su cui risulta illuminante una sua dichiarazione (1974): “L’unica cosa che mi interessa è se una scimmia rivelerà qualcosa che posso pubblicare. Non ho alcun amore per loro. Mai averne. Non mi piacciono gli animali. Disprezzo i gatti. Odio i cani. Come potrebbero piacermi le scimmie?”

Coniglio mannaro (da minasran.blogspot.com)

Appiattimento emotivo, sentimenti negativi, utilitarismo come unica bussola del comportamento. Non stupisce che i suoi esperimenti siano ricordati tra quelli più sadici e crudeli, tali, si ritiene, da avere alimentato per reazione la crescita della sensibilità animalista, insieme alla convinzione autoconsolatoria che siano stati  possibili  solo in un’epoca in cui, liberi da vincoli etici, gli scienziati potevano permettersi di tutto. Ma davvero gli esperimenti a cui sono oggi sottoposte le scimmiette cinesi risultano meno spietati?Sarebbe rassicurante poterlo credere, non sembra proprio. Anche loro  sono immediatamente separate dalle madri (per inciso: surrogate) e questa separazione forzata è fonte di quell’angoscia, di cui già Harlow prendeva atto affermando di non stupirsi della drammatica ricerca di contatto, anche pagato al prezzo di  respingimenti dolorosi,  perché ”l’unica risorsa di un piccolo colpito o respinto – sia esso umano o rhesus – consiste nel creare a tutti i costi uno stretto contatto con la madre”. Ma, mentre Harlow divulgava queste osservazioni, che erano l’oggetto dei suoi esperimenti, delle reazioni, che possiamo immaginare ugualmente sconvolte, inconsolabili, terrorizzate, delle scimmiette cinesi non troviamo menzione, non interessano, non sono oggetto di studio.  E che dire della depressione? Harlow  la innescava mettendo gli Animali nel pozzo della disperazione, oggi gli scienziati la provocano come effetto della privazione del sonno: difficile pensare che per le scimmiette faccia differenza l’origine della loro sofferenza, dei dolori fisici e psichici a cui solo la morte darà sollievo.  Quanto agli autori degli esperimenti, il dr. Harlow rivendicava orgogliosamente indifferenza, insensibilità,  odio nei confronti degli Animali che torturava:  altri tempi. Oggi i suoi epigoni se ne guarderebbero bene: si sono evoluti psicologicamente e sono ben consapevoli di dover  neutralizzare le proteste di una parte dell’opinione pubblica con metodi ben più efficaci di un provocatorio ed ostentato menefreghismo: molto più efficace ricorrere ad un meccanismo ben collaudato quale quello della giustificazione morale: se il male inflitto è funzionale ad avere la meglio sulla sofferenza umana, a lenire il dolore nostro e delle persone care, dei nostri figli (!!!), allora è giustificato, anzi lecito: di più: doveroso. Non occorre neppure argomentare tanto:  basta distogliere l’attenzione dalle vittime e concentrarla sull’obiettivo, sulle ricadute preziose sul benessere umano. Insomma, l’ assioma per cui il fine giustifica i mezzi è di incredibile presa e, come sempre nella storia dell’umanità, giustifica qualsiasi oscenità.Un’attenzione particolare in tutta la vicenda merita l’informazione mediatica, in grandissima parte ancella fedele della sperimentazione animale come di ogni pratica funzionale a sostenere il sistema di valori dominante: negli articoli, a fare inizio dai titoli ad effetto,  si sottolineano gli orizzonti ottimistici che vedrebbero la sconfitta di malattie, che invadono con il loro carico ansiogeno l’universo delle nostre paure; si parla di nuove frontiere della scienza; si lodano i successi della ricerca.   Ogni pensiero rivolto a Zhong Zhong, Hua Hua e alle loro sorelle minori viene  sterilizzato: loro semplicemente scompaiono, non ci sono più: non ci si occupa della loro orribile sofferenza, derubricata a puro accidente, ininfluente in tutta la vicenda. Il linguaggio è al servizio della comunicazione: non si parla di Animali, ma di   “campioni” o di “modelli”, entità incapaci di  suscitare emozioni. Ciliegina sulla torta, non manca il trito riferimento al “sacrificio” animale, termine che rimanda ad    una sorta di libera scelta all’autoimmolazione da parte delle vittime, a cui vengono improvvisamente attribuite capacità di valutazione e di scelta, sulla scorta di spinte altruistiche. Ma come? Non sono erano solo “modelli animali”?!? Tornano subito ad esserlo con  il riferimento a quell’”esercito” messo a disposizione della ricerca, orrido preludio a quello che avverrà nel chiuso dei laboratori, rimarcato per salutare una  scienza “finalmente” dotata di tutto il “materiale” che serve:  e se saranno un esercito le scimmie “usate” vorrà dire che  sarà stato necessario….Siamo di fronte ad una vera e propria mistificazione dei fatti: mentre l’esistenza delle piccole  e terrorizzate  Zhong Zhong e Hua Hua va sfumando, con le loro sorelle minori, gli scienziati e i giornalisti all’unisono pare abbiano rimediato ad un errore comunicativo del passato, evitando di riferirsi a loro con un nome proprio: dare un nome equivale a riconoscere un’identità all’individuo, renderlo riconoscibile e collegarlo ad un’intera vicenda di vita (e di morte), come fu per esempio con la pecora Dolly, che rivive ancora nel nostro immaginario quando il suo nome ne rievoca le vicende.   Prudentemente i nuovi piccoli primati sono soltanto le “scimmie clonate”, sorta di marziani irraggiungibili dalla nostra empatia, destinate a confondersi nella nostra mente con tutte le altre loro conspecifiche senza identità.  L’oblio è già in corso: se di Zhong Zhong e Hua Hua si era parlato per qualche giorno, l’interesse sulle nuove “scimmie clonate” è stato immediatamente racchiuso nel perimetro del mondo scientifico, non accessibile al vasto  pubblico, all’interno del quale è sempre possibile trovare fastidiosi contestatori. La vita continua e tutto si dimentica, soprattutto se non se ne parla.Per il momento davanti agli occhi ci sono le immagine di scimmiette abbracciate, vicine, a cercare rassicurazione in altre uguali a sè, ugualmente fragili, pollice in bocca e sguardo mobile su  una realtà ancora sconosciuta. Intorno tutta una miriade di peluches colorati, risarcimento a prezzi di realizzo delle loro vite scippate. La più vecchia delle due immagini è già icona del passato perché Zhong Zhong e Hua Hua, un anno dopo, sono forse solo corpi deturpati, torturati e malati: se ancora sono vive.

Coniglio mannaro (da minasran.blogspot.com)

Nel mare di indifferenza e nell’asservimento al pensiero dominante, che sono la cifra della grandissima parte dei mezzi di comunicazione, muti davanti alla sofferenza di esseri indifesi e senza colpa, ancora risuonano dall’Huffington Post, perché mai smentite, le parole  dell’allora senatore Marco Perduca che si augurava che le scimmiette clonate  prendessero il posto dei tanti gattini che infestano i social “perché sono i veri migliori amici dell’uomo: detto da chi vanta nel proprio curriculum la partecipazione non a gruppi di facinorosi violenti, amanti di spedizioni punitive contro clochard indifesi, ma  ad associazioni quali Nessuno tocchi Caino, Certi diritti, Non c’è pace senza giustizia, lascia disperati perchè interroga ferocemente sul concetto di amicizia: se è l’universo di dolore che stiamo approntando per le scimmiette ciò che riserviamo ai nostri migliori amici, bisognerà convincersi che davvero non ci sono più speranze per l‘umanità.

Annamaria Manzoni

Gatto (Felis catus)

(immagine da
minasran.blogspot.com, foto da mailing list animalista, S.D., archivio GrIG)

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  1. marzo 19, 2019 alle 8:13 am

    La vivisezione è un orrore incomprensibile a chiunque abbia un minimo di sensibilità. Spero tanto che gli aguzzini rinascano CAVIE, nella prossima vita. Sarebbe vera giustizia.

  2. G.Maiuscolo
    marzo 19, 2019 alle 8:38 am

    Mara…ahahaha… tosta eh..?

    Condivido, praticamente tutto…

  3. M.A.
    marzo 19, 2019 alle 11:43 am

    E’ un tema etico complicato. Ma se dovessi pensare alla mia salute, a quella dei miei cari, alle cure, al progresso farmacologico, il benessere, la longevità guadagnata in mezzo secolo, non posso non essere favorevole. Se mai nella vita dovessi avere bisogno di cure ricavate dalla sperimentazione animale sicuramente le accetterei senza nessun rimorso. Penso che egoisticamente tutti ci tengano alla propria pelle o alla salute dei propri cari. Sappiamo bene che tutto ciò ha avuto un prezzo e a pagarlo sono state loro, le cavie. La clonazione serve proprio per creare degli esseri dal nulla, lontani dal contesto naturale, proprio per giustificare il fine e privare l’essere di qualsiasi diritto naturale. Della serie: “Ti ho creato io, in laboratorio per fare questo”. Una sorta di robot in pelle e ossa. Era forse meglio quando la sperimentazione era umana verso la metà del 1900? Non credo proprio. Ricordo un mio professore che difendeva la sperimentazione animale dicendo: ” D’altronde si uccidono per mangiarli, e non si possono uccidere per fare ricerca? In un caso o nell’altro, la morte è sempre morte, e lo scopo è sempre nobile”.

  4. Mauro
    marzo 19, 2019 alle 12:13 PM

    “Nessuno scopo e’ cosi’ alto da giustificare metodi cosi’ indegni” – Einstein

  5. marzo 19, 2019 alle 5:34 PM

    GRANDE Mauro!

  6. G.maiuscolo
    marzo 20, 2019 alle 10:23 am

    M.A…come sta? ( fare pure rima…). Bentornato!
    Chissà perché mi aspettavo un suo commento: esattamente così com’è…

    Saluti.
    PS. Anche per me Mauro…è un grande ( Mara, scusami se ho preso in prestito il tuo commento… grande suggeritrice)

    Oggi sono generosa: sorrisi per tutti: è primavera…
    🙂

    • M.A.
      marzo 21, 2019 alle 2:12 PM

      Salve G, maiuscolo. Tutto bene. E’ un argomento difficile anche per me. Per chi è antispecista specialmente. Ma non riesco a fare il “buonista” con la pelle degli altri. Allo stesso modo per il quale non concepisco tutti gli altri controsensi etici: dai vegani che indossano giubotti in pelle, ai vegetariani che non mangiano la carne, ma mangiano pesce, uova e prodotti lattiero caseari; dagli onnivori anticaccia, agli animalisti che lottano contro i maltrattamenti ma sterilizzano a cuor leggero i propri animali domestici, come se nulla fosse come se una mutilazione non fosse una violenza così come l’umanizzare “a mo’ di bambocci” il proprio animale per colmare dei vuoti personali, privando l’animale stesso della sua natura e della sua dignità di animale. Come detto prima, se mi dovesse toccare in prima persona, non esiterei ad utilizzare i benefici derivanti dalla sperimentazione animale. In oltre mezzo secolo credo che ne abbiano usufruito amici, parenti vicini o lontani di tutti noi. Quindi come potrei dire di no?? Sarei un ipocrita. il mio unico auspicio è che in futuro le bioteconologie mediche possano sostituire la sofferenza delle cavie.
      Tutto qua.
      Buona serata

  7. G.maiuscolo
    marzo 22, 2019 alle 6:57 am

    Lieta di sentirla, caro M.A. Mi aspettavo il suo discorso! Sa che cosa mi colpisce di lei? La sua coerenza. Lei non si è spostato …un solo cm dalle sue ben note posizioni.

    Ah…chi si dimentica, caro M.A la sua battuta sul pennuto finito in padella…ahahahah
    Gentile M.A la salva, comunque, il suo auspicio….

    No, no, non ci pensiamo nemmeno di cambiarla M.A. Noi, come saggiamente diceva Mara ( ciao Mara…) questo simpatico M.A vogliamo tenercelo, così com’è…

    Cordiali saluti M.A

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