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Lungaggini giudiziarie, prescrizione e ingiustizia.


Roma, Corte di cassazione

Roma, Corte di cassazione

Dal dott. Antonio Settembre, consigliere presso la Sezione V della Corte di cassazione, riceviamo e pubblichiamo volentieri un’approfondita riflessione sulle reali motivazioni delle lungaggini giudiziarie che spesso e (mal)volentieri portano alla prescrizione dei reati e, in definitiva, alla negata giustizia.

Lo ringraziamo sentitamente e speriamo che la situazione possa migliorare, almeno un po’.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

 

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Egregio direttore,

Le scrivo perché si fa un gran parlare dei problemi della giustizia e, in particolare, delle sue lungaggini. Per questo mi è nata la speranza che, forse, a Lei e ai lettori del Suo sito web può interessare l’opinione di un magistrato della Corte di Cassazione, che opera dall’interno del processo e vive direttamente i problemi della giustizia. Mi riferisco specificamente ai problemi della giustizia penale e al particolare problema costituito dalla eccessiva durata dei processi, a cui conseguono, per un verso, il calvario dei processati (soprattutto quelli innocenti) e, per altro verso, l’incertezza nell’applicazione della sanzione (quando è meritata) e la sua pratica inefficacia.

Non intendo tediarla con discorsi di principio e con l’analisi delle complesse normative che disciplinano il processo penale. Per rendere noto cosa è, oggi, il processo penale, e dove esso porti, mi limiterò a illustrare un caso paradigmatico di “ordinaria giustizia”, simile a infiniti altri e tra i più semplici che la pratica giudiziaria si trova ad affrontare. Intendo dire che farò, con la massima sinteticità, la storia di un processo in cui si discute della rapina ad un distributore di benzina e dei passaggi necessari per giungere ad una qualche conclusione, perché ritengo sia questo il modo più semplice e diretto per illustrare, ai non addetti, il “problema”.

Il tutto ha inizio con indagini svolte dalla Polizia giudiziaria, sotto la direzione del Pubblico Ministero. Se costoro si convincono della colpevolezza di tre individui, chiedono ad un giudice (il Giudice per le indagini preliminari) l’applicazione di una misura cautelare (per esempio, gli arresti domiciliari), con l’illustrazione, dettagliata, delle prove che ritengono di esibire. Se il Giudice suddetto si convince della bontà dell’accusa, emette un provvedimento, motivato, di applicazione della misura cautelare, in cui illustra compiutamente le ragioni della decisione. Contro il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari è possibile ricorrere (il che avviene sempre) al Tribunale del Riesame (composto di tre giudici), da parte di ogni arrestato. Questo Tribunale emette, ancora una volta, una ordinanza motivata, con cui accoglie o rigetta l’impugnativa. Contro il provvedimento del Tribunale del Riesame è possibile ricorrere in Cassazione, dove la pratica viene trattata da cinque giudici, che diventano quindici se i ricorsi in Cassazione sono proposti singolarmente dai tre arrestati.

A questo punto si può pensare che il problema cautelare sia risolto. Invece non è così, perché ognuno degli arrestati può, dopo pochi giorni dalla decisione della Cassazione, sostenere che sono mutate le condizioni che dettero luogo all’applicazione degli arresti domiciliari (per esempio, perché un’indagine tecnica, commissionata dalla Difesa, ha dato risultati parzialmente difformi da quelli posti a base della decisione),  per cui si può ricominciare daccapo: istanza di scarcerazione al Giudice per le indagini preliminari; impugnazione al Tribunale del Riesame contro la decisione di quest’ultimo; ricorso in Cassazione da parte di ognuno degli arrestati. E così finché non scade il termine massimo di durata della custodia cautelare.

Bisogna considerare, però, che tutto ciò non ha nulla a che vedere col processo vero e proprio, finalizzato ad una decisione sulla colpevolezza dell’arrestato. Per fare il processo finalizzato ad accertare la colpevolezza o l’innocenza si comincia – come al solito – con una richiesta del Pubblico Ministero al Giudice per le indagini preliminari, il quale fissa un’apposita udienza (con avviso a tutte le parti interessate: imputati, difensori, persone offese, pubblico ministero). Se tutte le notifiche necessarie vanno a buon fine si svolge un processo dinanzi al Giudice per le indagini preliminari (con illustrazione dell’accusa, con arringhe dei difensori e, eventualmente, con l’assunzione di prove), che è finalizzato non a decidere sulla colpevolezza o l’innocenza, ma solo a stabilire se il “processo” va fatto oppure no. Infatti, al “processo” (come generalmente inteso) si arriva solo se il Giudice per le indagini preliminari ritiene che vi siano sufficienti elementi per sostenere l’accusa in giudizio (in tal caso, il Giudice per le indagini preliminari emette un apposito provvedimento, con cui rinvia gli imputati al giudizio del Tribunale).

Si arriva, così, al “processo”. Dinanzi a tre giudici (il “Tribunale”) vengono assunte le prove e, all’esito, viene emessa una decisione (da motivare con l’illustrazione delle prove e delle ragioni per cui viene operata una scelta anziché un’altra). Se questa decisione è sfavorevole agli imputati, ognuno di loro può ricorrere dinanzi alla Corte d’appello, che decide in composizione collegiale (tre giudici, che devono emettere, come al solito, una nuova decisione compiutamente motivata). Contro la decisione della Corte d’appello si può ricorrere (e si ricorre sempre) in Cassazione (altri cinque giudici e altra motivazione). Può anche darsi (e succede nel 10% dei casi, all’incirca) che la Corte di Cassazione ravvisi un vizio di nullità della sentenza d’appello: in tal caso, annulla la decisione impugnata e si torna indietro, dinanzi al Giudice d’appello, il quale procede a nuovo esame ed emette un’altra sentenza, debitamente motivata. E contro la decisione della Corte d’appello si può ricorrere nuovamente in Cassazione. Per la verità, in Cassazione si dovrebbe ricorrere solo per “violazione di legge” o per motivazione “manifestamente illogica o contraddittoria”, ma, siccome dinanzi ad una pronuncia sfavorevole si può sempre sostenere che la motivazione è illogica, allora, in Cassazione si ricorre praticamente sempre. Infatti, nel 2014 la Corte di cassazione italiana ha incamerato (e deciso) 53.000 processi penali, a fronte dei 3.500 della Francia e della Spagna (per limitarci a Paesi confrontabili con nostro. Non ne parliamo della Germania, dove i ricorsi in Cassazione si contano sulle dita di poche mani).

Si potrebbe pensare che, con la decisione della Corte Suprema di Cassazione, la trafila sia finita. Invece non è così. A partire dal mese di aprile del 2014 c’è la “rescissione del giudicato”. Il condannato, nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo (anche se è un suo diritto non presentarsi al processo), può chiedere alla Corte di Cassazione di riaprire la procedura provando che l’assenza e’  stata  dovuta  ad  una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo. E questo nonostante tutte le (complicatissime) notifiche disposte ed eseguite nel corso dell’intero processo siano state regolarmente effettuate. Se ritiene fondata la richiesta, la Corte di cassazione annulla tutto e si ricomincia dal primo grado.

Se il condannato non può invocare la mancata conoscenza del processo (per esempio, perché gli atti di citazione sono stati consegnati proprio nelle sue mani), allora può fare “ricorso straordinario” in Cassazione per errore materiale o di fatto. “L’errore di fatto” sarebbe solo quello “percettivo”, dovuto cioè a una svista o un marchiano errore della Corte di Cassazione, che ha comportato uno sviamento del giudizio, ma siccome le parole non hanno per tutti lo stesso significato, spesso (e sempre più frequentemente) accade che il ricorso straordinario venga proposto per rifare il processo: il condannato non ha nulla da perdere (e solo da guadagnare) se il ricorso dovesse essere dichiarato inammissibile (ma da altri cinque giudici, dopo apposita udienza e spiegando perché il ricorso è inammissibile).

Da sempre, poi, c’è la possibilità di richiedere la “revisione” del processo, se vengono addotti nuovi elementi di prova (anche se preesistenti al giudizio) che, da soli o insieme ai precedenti, siano tali da dimostrare, se accertati, che il condannato deve essere prosciolto. Previsione sacrosanta, se funzionale alla revisione di una ingiusta condanna. Senonché, negli ultimi anni, a seguito della attribuzione (nel dicembre del 2000) di un autonomo potere di indagine al difensore, è invalso l’uso di richiedere (spesso) la revisione del processo sulla base di prove raccolte dal difensore del condannato, dopo la condanna. Si ricomincia allora con una richiesta di riapertura del processo alla Corte d’appello e contro la decisione della Corte d’appello si può ricorrere in Cassazione. E tanto può avvenire più di una volta, a seconda delle “prove” che si “scoprono”.

A completamento di questo quadro va aggiunto che quello descritto è lo sviluppo più lineare della vicenda giudiziaria innestata dalla rapina al distributore, con cui abbiamo cominciato il discorso. Il quadro si complica un tantino se uno dei tre imputati dovesse optare per il giudizio “abbreviato” e un altro per il “patteggiamento”. Allora, in relazione all’unico episodio di vita (la rapina) i processi diventano tre, ognuno con la sua storia e il suo sviluppo, anche in termini di risorse giudiziarie impegnate. E si complica ancora se il Pubblico Ministero dovesse chiedere al Giudice per le indagini preliminari misure cautelari reali (sequestro probatorio, preventivo, conservativo) o l’autorizzazione ad atti di indagine (per es., intercettazioni): in tal caso, infatti, su ogni richiesta si innesta autonomo procedimento, che può portare (e porta quasi sempre) al Tribunale del Riesame (altri tre giudici) e, poi, spessissimo, in Cassazione.

Tutto qui, direbbe qualcuno! Ovviamente no. Quello che ho descritto è solo il processo di “cognizione”; quello, cioè, finalizzato ad accertare se un soggetto è colpevole o innocente. Dopo il processo di cognizione comincia il “processo di esecuzione”, che dura per tutta la durata della pena. Infatti, finché dura l’espiazione della pena (il che può avvenire anche per decenni), il condannato ha una serie di diritti (sacrosanti, non c’è dubbio, quali: corrispondenza con l’esterno, permessi premio, liberazione condizionale, liberazione anticipata, ammissione al lavoro esterno, ecc., ecc.), che può far valere, personalmente, in via giudiziaria dinanzi al Magistrato di Sorveglianza. Contro le decisioni di quest’ultimo può ricorrere al Tribunale di Sorveglianza (quattro giudici) e contro le decisioni del Tribunale di Sorveglianza si può ricorrere, come sempre, in Cassazione (altri cinque giudici). E questo per ogni decisione che lo riguardi (anche per centinaia di decisioni).

Il quadro va completato ricordando che, nella maggior parte dei casi, tutto ciò avviene a spese dei contribuenti italiani: non solo per i giudici, il personale amministrativo e quello di Polizia da ricompensare, ma anche per spese legali. Dal 2002, infatti, esiste il patrocinio a spese dello Stato, a cui hanno diritto tutti gli imputati che abbiano meno di 11.369 euro di reddito annuo. E siccome la maggior parte degli imputati figurano sotto la soglia di reddito sopra specificata, la maggior parte di loro beneficiano del legale gratuito, del consulente di parte gratuito e persino dell’investigatore privato gratuito. Ovviamente, nessuno ha interesse a contenere le spese del processo, perché paga lo Stato, sempre, cash e senza nessun controllo. Infatti, nessuno può sindacare la scelta dell’avvocato di nominarsi un consulente o ricorrere ad un investigatore privato, di impugnare qualsiasi provvedimento giudiziale, appellare, ricorrere contro qualsiasi decisione e persino contro il silenzio serbato su una sua istanza, ognuna delle quali innesta un autonomo procedimento, da ricompensare a parte.

Praticamente, le chiavi del capitolo 1360 del Bilancio dello Stato sono state consegnate agli avvocati.

Questo sistema giudiziario va confrontato con quello di altri Paesi, che si assumono più efficienti e più civili: laddove, come per esempio negli Stati Uniti, basta un solo processo, in un solo grado, per decidere della vita e della morte di un imputato. E senza le decine o centinaia o migliaia di pagine scritte, ogni volta, per motivare ogni provvedimento.

Non intendo trarre conclusioni, perché non mi spettano. Le domando, però, se può pensare, in Sua coscienza, che un sistema giudiziario siffatto può rendere giustizia al cittadino (quello innocente, magari non ammesso al patrocinio a spese dello Stato; o quello che è vittima di un reato e si rivolge allo Stato – attraverso un legale da pagare a proprie spese – per chiedere una pronuncia contro l’imputato) o può raggiungere livelli di efficienza minimamente decorosi. All’esito della corsa a ostacoli che ho descritto si scoprirà, infatti, che almeno sessanta-settanta giudici, duecento impiegati amministrativi e cento poliziotti si sono interessati – mentre erano pressati da altre migliaia di fascicoli che attendevano una definizione – della rapina al distributore, commessa da tre persone. Non ne parliamo, poi, di ciò che avviene quando si parla degli omicidi, delle bancarotte, delle associazioni a delinquere, delle mafie, che pure rimbalzano – com’è noto – sul sistema giudiziario.

Tanto Le volevo rappresentare nella convinzione che, forse, può servire a mettere il dibattito sui problemi della giustizia sul binario giusto.

cons. dott. Antonio Settembre

 

dune, ginepri, spiaggia, mare

dune, ginepri, spiaggia, mare

(foto S.D., archivio GrIG)

  1. Juri
    gennaio 6, 2016 alle 1:14 PM

    “All’esito della corsa a ostacoli che ho descritto si scoprirà, infatti, che almeno sessanta-settanta giudici, duecento impiegati amministrativi e cento poliziotti si sono interessati – mentre erano pressati da altre migliaia di fascicoli che attendevano una definizione – della rapina al distributore, commessa da tre persone. Non ne parliamo, poi, di ciò che avviene quando si parla degli omicidi, delle bancarotte, delle associazioni a delinquere, delle mafie, che pure rimbalzano – com’è noto – sul sistema giudiziario”.

    Senza dimenticare che poi una bella fetta dei procedimenti finisce nel nulla della prescrizione…

    Articolo molto interessante.

  2. Francesco Mura ,Teulada.
    gennaio 8, 2016 alle 1:52 PM

    Ho buoni motivi per ritenere che il Golpe bianco ordito ai danni dell’Italia e degli Italiani presupponesse l’asservimento e la paralisi dell’apparato giudiziario . In realtà noi abbiamo 5 polizie e un numero di magistrati pro capite superiore alle altre nazioni. Le leggi evase dal parlamento ,sopratutto nel periodo Berlusconiano, sono tutte a favore e a protezione del crimine. Oggi, se si hanno soldi a sufficienza ,si può essere certi che gli infiniti gradi di giudizio renderanno eventuali condanne del tutto virtuali. Questo fatto annulla il principio fondamentale della legalità : lo stesso trattamento dei cittadini nei confronti della legge. Per mia personale e ultra trentennale esperienza, posso affermare che i Palazzi di Giustizia sono posti pericolosi per gli ingenui -come il sottoscritto- che si sono rivolti al sistema giudiziario in cerca di giustizia.
    Mi viene in mente la massima di Sant’Agostino : Non vi peggior cosa di uno stato senza il diritto .

  3. Maggio 4, 2016 alle 4:54 PM

    un briciolo di concretezza, finalmente.

    A.N.S.A., 4 maggio 2016
    Prescrizione: sì al testo base, M5s si astiene.
    Commissione Giustizia ha adottato come testo base il testo unificato presentato dai relatori Casson e Cucca. ()

    La commissione Giustizia del Senato ha adottato come testo base il testo unificato presentato dai relatori Felice Casson e Giuseppe Cucca su riforma del processo penale e prescrizione. Hanno votato a favore Pd, Ap-Ncd, Psi. Si sono astenuti M5S e Gruppo misto. Fi, Lega, Cor e Idea erano usciti dalla Commissione per protesta. Il verdiniano Ciro Falanga, che aveva preso parte oggi alla riunione di maggioranza sulla prescrizione, non ha votato. Il termine per gli emendamenti è fissato al 25/5 ore 18.

    Falanga (Ala), testo non ci piace – “Questo testo non ci piace e lavoreremo per migliorarlo”. Così il senatore verdiniano di Ala Ciro Falanga spiega perché non ha votato in commissione Giustizia del Senato per adottare come testo base il provvedimento messo a punto dai relatori Felice Casson e Giuseppe Cucca su riforma del processo penale e prescrizione. Il parlamentare aveva preso parte stamattina alla riunione di maggioranza che si è tenuta al ministero della Giustizia dedicata al tema della prescrizione.

    ————

    Prescrizione: da due anni la discussione in Parlamento. Che fine ha fatto?
    Dopo ok Camera il 24 marzo 2015 è fermo in commissione a causa dello scontro in maggioranza tra Pd ed Ncd: http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2015/09/30/prescrizione-lunga-da-un-anno-e-mezzo-la-discussione-in-parlamento.-che-fine-ha-fatto_9f690f3b-5e25-495d-85af-9d6ce5298279.html

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    Da Eternit a Calciopoli a Stamina, i processi caduti sotto la scure della prescrizione.
    Colpo di spugna anche per Scajola e De Gennaro per la mancata scorta a Biagi e a Berlusconi per il caso Mills: http://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2016/05/04/da-eternit-a-calciopoli-a-stamina-i-processi-caduti-sotto-la-scure-della-prescrizione_063474f2-0af9-4b17-b4dd-f325c5146a1a.html

  4. giugno 15, 2016 alle 2:48 PM

    senza commenti.

    da La Stampa, 15 giugno 2016
    Il giudice in ritardo non scrive la sentenza. I mafiosi tornano liberi.
    La Calabria in un baratro giudiziario, ma la politica tace. (Giuseppe Salvaggiulo): http://www.lastampa.it/2016/06/15/italia/cronache/il-giudice-in-ritardo-non-scrive-la-sentenza-i-mafiosi-tornano-liberi-oxwpHhTl35uAwYimoZIk0H/pagina.html

  5. ottobre 4, 2016 alle 2:50 PM

    politica della giustizia.

    da Il Fatto Quotidiano, 3 ottobre 2016
    Consiglio di Stato, magistrati amministrativi contro Renzi: “Forzata la legge per nominare la Manzione”.
    L’Associazione nazionale magistrati amministrativi (Anma) pronta a dare battaglia. Annunciando ricorsi e minacciando dimissioni dal Consiglio di presidenza di Palazzo Spada. Per la designazione della pupilla del presidente del Consiglio, già a capo dei vigili urbani di Firenze e poi nominata ai vertici del dipartimento affari giuridici della presidenza del Consiglio. “E’ la prima volta che dal governo vengono indicati nominativi così poco qualificati”. Ma anche per l’emendamento varato in commissione Giustizia alla Camera. Che spalanca le porte dell’organo di autogoverno a due membri di diritto. Uno dei quali è l’ex ministro Patroni Griffi. (Ilaria Proietti): http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/10/03/consiglio-di-stato-magistrati-amministrativi-contro-renzi-forzata-la-legge-per-nominare-la-manzione/3071582/

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