Quanto sono ampi i domini collettivi in Italia?
qui puoi firmare la petizione popolare per la difesa delle terre collettive ” a rischio” in Sardegna.
Il GrIG ha avviato (4 novembre 2025) un’indagine conoscitiva presso tutte le Regioni e Province autonome per conoscere i rispettivi dati delle estensioni dei demani civici, dei provvedimenti di recupero ai demani civici dei terreni illegittimamente occupati e degli eventuali trasferimenti di diritti di uso civico effettuati.
I domini collettivi, i terreni a uso civico e i demani civici (legge n. 1766/1927 e s.m.i., legge n. 168/2017, regio decreto n. 332/1928 e s.m.i.) costituiscono un patrimonio di grandissimo rilievo per le Collettività locali, sia sotto il profilo economico-sociale che per gli aspetti di salvaguardia ambientale, valore riconosciuto sistematicamente in sede giurisprudenziale.
Ne parla – e bene – Maurizio Bongioanni per l’Huffington Post.
Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)
da Huffington Post, 15 novembre 2025
Uno dei migliori segreti d’Italia: le terre collettive, boschi, pascoli e terreni di “tutti”.
n Italia esiste una proprietà diversa da quella privata del singolo o da quella pubblica. È la proprietà collettiva, un modello in cui la titolarità dei diritti appartiene ai residenti di una comunità. Milioni di ettari di boschi, pascoli, terreni. E il GriG chiede un censimento. (Maurizio Bongioanni)
In Italia esiste una forma di proprietà che si tende spesso a dimenticare: la proprietà collettiva. Non è la proprietà privata del singolo, né quella pubblica dello Stato o degli enti locali, ma un modello in cui la titolarità dei diritti appartiene ai residenti di una determinata comunità — un comune o anche solo una frazione. Questa proprietà collettiva assume nomi diversi a seconda delle tradizioni locali: comunanze, università agrarie, demani civici, diritti di uso civico in senso lato o, con un termine oggi meno usato, domini collettivi. Si tratta di milioni di ettari di boschi, pascoli, terreni agricoli, zone umide e litorali, gestiti secondo regole tramandate nel tempo.
Le loro origini risalgono a tempi antichissimi: parte della dottrina le fa risalire addirittura ai latifondi dell’Impero romano o all’Alto Medioevo. Sono terre che esistono da tempo immemorabile e di cui, tuttavia, non è mai stato fatto un vero censimento complessivo. È quello che oggi si sta cercando di ricostruire.
Terre collettive: mancano i dati
I dati sull’estensione di questo patrimonio restano incerti. Si stima che le terre collettive costituiscano tra il 7 e il 10% del territorio nazionale, ma in alcune regioni la percentuale è molto più alta: addirittura fino al 30% in certe zone del Trentino e in Abruzzo, così come il 20% per cento del Piemonte e il 13% della Sardegna.
Si tratta per lo più di proprietà antiche, il cui accertamento è stato avviato a partire dalla legge del 1927 (n. 1766) ma non è mai stato completato. Gli ultimi numeri disponibili risalgono al 1947, quando l’Istituto Nazionale di Economia Agraria censì oltre 3 milioni di ettari di terreni gravati da usi civici, pari a circa il 10% del territorio italiano. Accertamenti successivi fanno però pensare che la superficie effettiva possa superare i 5 milioni di ettari.
I primi provvedimenti furono emanati dai commissari per gli usi civici, poi la competenza è passata alle Regioni. Ma ad oggi, manca un quadro unitario capace di restituire la reale estensione delle terre collettive nel Paese.
Proteggere i territori
Per colmare questo vuoto di conoscenze, il Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG), associazione ecologista italiana fondata nel 1992 in Sardegna, ha chiesto a tutte le Regioni e alle Province autonome di Trento e Bolzano di completare il censimento delle terre collettive, fornendo dati aggiornati sull’estensione dei demani civici, sui provvedimenti di recupero dei terreni occupati illegalmente e sugli eventuali trasferimenti dei diritti d’uso civico. L’associazione, impegnata da oltre trent’anni nella difesa dei beni collettivi, ricorda che questi territori hanno anche una valenza ambientale riconosciuta: con la legge Galasso del 1985, i demani civici sono stati sottoposti a tutela paesaggistica, diventando aree da proteggere e da restituire alla gestione delle comunità locali.
Dietro le cifre ci sono storie molto diverse. Un caso significativo è il Bosco della Partecipanza di Trino Vercellese, uno dei pochi boschi rimasti nella pianura padana. È gestito collettivamente da oltre mille anni e rappresenta un raro esempio di continuità nella gestione comunitaria delle risorse. In Veneto esiste il progetto conosciuto come le Regole Ampezzane. Dal punto di vista pratico, significa che solo i membri della collettività locale possono esercitare i diritti d’uso civico: raccogliere funghi o frutti di bosco, per esempio, far pascolare il bestiame o utilizzare le risorse naturali, sempre nel rispetto di regolamenti interni che definiscono modalità e limiti d’uso.
Poi ci sono altre esperienze che invece parlano di recuperi difficili e conflitti aperti, come nel caso del demanio civico di Troina in Sicilia — coinvolto negli anni nella cosiddetta “mafia dei pascoli” — o nelle dispute di Lula, in Sardegna, dove le terre comuni sono diventate terreno di scontro tra interessi privati e diritti collettivi: quando l’amministrazione locale tentò di riacquisire i terreni occupati abusivamente, iniziò una lunga stagione di intimidazioni e attentati. Per anni il Comune fu commissariato perché nessuno voleva assumersi la responsabilità di portare avanti il recupero.
Terre collettive al tempo della crisi ecologica
Le terre collettive non sono solo una curiosità giuridica, quindi, ma rappresentano una forma antica di sostenibilità, basata sulla gestione comunitaria delle risorse e su un equilibrio tra uso e conservazione. In un momento in cui si parla sempre più di beni comuni e di crisi ecologica, questo patrimonio potrebbe offrire un modello alternativo, radicato nella storia ma capace di parlare al presente.
«La legge italiana riconosce oggi ai domini collettivi una tutela giuridica e ambientale rafforzata»,spiega Stefano Deliperi di GriG. «I terreni a uso civico sono per legge inalienabili, indivisibili, inusucapibili e imprescrittibili. Sono inoltre sottoposti a vincolo paesaggistico e destinati in modo perpetuo ad attività agro-silvo-pastorali. La legge 168/2017 stabilisce chiaramente che tali terreni non possono essere venduti, trasformati o concessi a usi incompatibili con la loro natura collettiva, non possono cambiare destinazione d’uso perché rappresentano un patrimonio comune che appartiene a tutti i membri della comunità».
Eppure, proprio questa natura sfuggente — pubblica ma non statale, comunitaria ma non privata — ha reso i demani civici quasi invisibili nelle politiche territoriali. Molti Comuni non hanno ancora completato gli accertamenti previsti dalla legge e le mappe dei confini restano incerte, favorendo abusi, occupazioni e una generale mancanza di consapevolezza sul loro valore. Quanto alla raccolta dei dati, la competenza spetta alle Regioni e alle Province autonome: «Alcune hanno già realizzato inventari dei demani civici: il Veneto, per esempio, ha completato la mappatura; anche la Sardegna e il Piemonte lo hanno fatto, mentre la Sicilia no. La situazione è ancora a macchia di leopardo». Per questo il GrIG ha inviato una richiesta formale a tutte le Regioni, sollecitando una ricostruzione completa del quadro nazionale. È il primo passo necessario per tutelare davvero queste aree.
«È un grande patrimonio ambientale collettivo che dobbiamo conservare e custodire per le generazioni future», conclude il portavoce di GrIG. Resta da capire se l’Italia saprà finalmente riconoscere il valore di questi territori condivisi, sottraendoli all’abbandono o alla speculazione, e restituendoli alla funzione per cui esistono da secoli: essere terra di tutti.
(foto da mailing list ambientalista, M.D., J.I., S.D., archivio GrIG)







Grazie GrIG per questa nobilissima lotta quasi solitaria contro la strisciante occupazione, consumo e tombamento delle Terre migliori, estensive, identitarie, oggetto di metastatica predazione speculativa, un tempo edilizia, oggi soprattutto energetica in particolare nelle indifese e struggenti campagne sarde e appulolucane
L’importanza dei terreni soggetti ad uso civico non è sfuggita alle lobby e infatti lo scorso anno la legge 56/2024 ha stabilito che gli investimenti PNRR “si intendono di norma compatibili con l’esercizio dell’uso civico”