Colli Berici: non abbassiamo la guardia!

S. Germano dei Berici, sentiero dei Curii e della Lupia, casa lasciata incompiuta affacciata alla valle
Il progetto LIFE + Colli Berici Natura 2000 è iniziato a gennaio 2010 ed è terminato il 30 giugno 2014. Ha contribuito al ripristino e alla conservazione degli habitat del SIC Colli Berici IT3220037.
Ora tocca a noi tutti continuare questo cammino e proteggere questi luoghi straordinari. Pertanto…
L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico onlus ha inoltrato (21 e 30 luglio 2015) quattro specifiche richieste di informazioni ambientali e adozione provvedimenti riguardo tre veicoli abbandonati, destinati al trasporto di persone e merci, in località Sentiero dei Curii e della Lupia nel Comune di S. Germano dei Berici (VI); due immobili abbandonati sprovvisti di infissi ed altri elementi essenziali in località Soghe di Arcugnano (VI) e in località sentiero dei Curii e della Lupia nel Comune di S. Germano dei Berici; due strutture permanenti ad uso venatorio in località via Bertoldi/ Strada del Rebene nel Comune di Zovencedo (VI).
Soffermandoci in particolare sugli edifici incompiuti, una vera e propria piaga veneta e italiana, si fa presente che:
- gli edifici abbandonati sono quasi sempre privi di “cartello-cantiere” obbligatorio indicante gli estremi della concessione edilizia nonché di altri elementi prescritti (Cass. pen. Sez.III 28-04-1994; Cass. pen. Sez.III 17-12-2002, n. 5149 (rv. 223376);
- con la Legge n. 10/1977 è stato introdotto, in via generale, l’obbligo di ultimare le opere entro tre anni dal rilascio della concessione edilizia (oggi entro tre anni dall’inizio dei lavori, che deve avvenire entro un anno dal rilascio del permesso di costruire – art. 15 del D.P.R. n. 380/2001).
- la Legge n. 10/1977 ha altresì introdotto una “norma penale in bianco”, applicabile alla fase esecutiva dell’opera, che sanziona l’inosservanza di leggi, regolamenti e prescrizioni contenute nella concessione edilizia (permesso di costruire); tale sanzione è oggi contenuta nell’art. 44, comma 1, lettera a) del D.P.R. n. 380/2001.
La legislazione italiana dell’urbanistica e quella dei beni culturali sono state elaborate per garantire un corretto assetto territoriale e per proteggere l’ambiente, il paesaggio e il patrimonio storico-culturale.
Perché gli agenti di Polizia Giudiziaria in collaborazione con i tecnici comunali non provvedano a trasmettere alla competente Autorità Giudiziaria la comunicazione della notizia di reato tutte le volte che i lavori di costruzione non vengano conclusi nel termine imposto?
Gruppo d’Intervento Giuridico onlus – Veneto
(foto M.F., archivio GrIG)
IL VINO DEI BERICI? SE LO CONOSCI LO EVITI
(Gianni Sartori)
Anche sui Colli Berici sta dilagando la “fabbrica diffusa” delle speculazioni vinicole: devastanti per il paesaggio e altamente inquinanti.
Colli Berici, a sud di Vicenza. E in particolare la fascia che sovrasta la Riviera Berica. Ne parlo in quanto cittadino, non certo esperto di chimica o agricoltura industriale (l’aggettivo è obbligatorio di questi tempi). Da persona che un giorno sì e un altro anche deve precipitarsi a chiudere finestre e balconi per arginare il pestilenziale aerosol che uomini in tuta bianca (e maschera antigas dal doppio filtro) spandono con gli atomizzatori spensieratamente lungo i filari a pochi metri dalle abitazioni. Irrorando anche gli ignari pedoni o ciclisti che transitano sulle “pedemontane” (pista ciclabile compresa). In teoria, ma solo in teoria, ci sarebbero delle distanze da rispettare: 30 metri in primavera e 20 in estate da strade e case. Ma siamo nel profondo Nordest…qua la gente lavora, cazzo!
Se la fauna indigena (uccelli, anfibi, farfalle…) langue, patisce e scarseggia, in compenso sui Berici si vanno diffondendo come la peste altre categorie che non mi sembra arbitrario definire “altamente nocive”. Parecchi i piccoli imprenditori riciclati provenienti dall’edilizia, ma non mancano professionisti (notai, dentisti, avvocati, giudici…) e pensionati di lusso. Tutti impegnati a speculare sulla monocultura della vite (letteralmente la “nuova industria del NordEst”, stessa scuola della palma da olio in Indonesia, immagino) avvelenando l’aria e i terreni con una mistura infernale di veleni, pesticidi tossici, sostanze cancerogene e interferenti endocrini vari.
Tra cui anche l’ormai tristemente noto glifosato, responsabile delle inquietanti strisce arancioni (“agent orange” vi ricorda qualcosa?) tra i filari. Il famigerato erbicida stava per essere bandito dall’Europa, ma da ‘ste parti invece si continua a usarlo (fino a “esaurimento scorte” forse?).
Succede in “campagna” (in Veneto si fa per dire: diciamo quanto ne rimane nel dilagare di aree cementificate industriali-artigianali) come in collina.
Da notare che sovente i responsabili sono gli stessi. Ossia chi ha già devastato la pianura costruendo capannoni poi magari si accaparra un buon ritiro dove giocare al contadino con modalità da piccola industria. Utilizzando per lo più forza lavoro costituita da immigrati (marocchini, sikh…), sottopagati e in nero.
Questo il paesaggio con rovine in cui sprofondano le mitiche ville palladiane.
Come nel trevigiano e nel veronese (oltre ovviamente al Friuli), la febbre del prosecco e affini ormai dilaga anche nel bellunese e nel vicentino.
Obiettivo quasi raggiunto per gli speculatori, la produzione di oltre mezzo miliardo di bottiglie (parlando solo di prosecco) entro il 2019. Da esportare, preferibilmente, in Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma anche Russia e Cina non scherzano, pare.
Prezzo da far pagare alla collettività: sbancamenti, distruzione del bosco, inquinamento diffuso. Ieri in Altamarca (beffardamente proposta come Patrimonio dell’Umanità all’Unesco), oggi sui Colli Berici.
Le colline intorno a Longare, Castegnero, Nanto, Mossano, Barbarano, Villaga, Sossano…vengono sottoposte a un trattamento già ben conosciuto da Maserada, Sernaglia, Valle del Soligo, Vittorio Veneto, Valdobbiadene, Conegliano…
Invano l’anno scorso era stato denunciato (da Legambiente) l’ulteriore ampliamento dell’area destinata alla coltivazione della vite (altri tremila ettari, da 20.250 a 23.250) per la produzione del prosecco doc (“controllata”? Ma dai…).
Lo scopo di questo ulteriore ampliamento (a spese – ricordo – del bosco e della biodiversità), responsabile di ulteriore sfruttamento e devastazione per il territorio, sarebbe “ garantire la stabilità e l’equilibrio del mercato” (neoliberismo, malattia cronica del capitalismo).
Per quanto riguarda il prosecco in particolare (ma il discorso vale in generale) in un editoriale della Nuova Ecologia si poteva leggere:
“I vigneti di glera, il vitigno da cui si ricava il prosecco, vengono piantati dove storicamente non ci sono mai stati, anche in aree paludose o esposte a nord, non vocate per clima e composizione del terreno: questo implica un utilizzo ancora maggiore di fitofarmaci. I trattamenti, poi, si fanno in momenti diversi, perché ciascun viticoltore decide in autonomia quando farli (“liberisticamente”, in totale deregulation nda), quindi ogni anno è un’irrorazione continua fra primavera ed estate”.
E continuava: “Il vero problema è la diffusione della monocoltura. Si pianta ovunque: in mezzo alle case, vicino ai corsi d’acqua”.
Quanto ai – presunti – regolamenti regionali introdotti per limitare l’uso di fitofarmaci nelle aree urbanizzate (come appunto i paesi, ampliatisi a macchia d’olio in anni recenti, del Basso Vicentino) e il divieto – sempre presunto – di utilizzare gli erbicidi, vengono ampiamente inficiati dalle numerose deroghe promosse dalle amministrazioni locali. Fatta la legge (a scopo propagandistico?) si scopre l’inganno. Ossia che si tratta solo di “suggerimenti” NON obbligatori.
Forse a scopo mimetico-propagandistico, nel 2011 il Consorzio del prosecco superiore Doc aveva adottato un protocollo viticolo che prevedeva “una riduzione dei prodotti chimici da utilizzare nei vigneti, escludendo del tutto i più pericolosi per la salute umana e l’ambiente”.
Ma anche qui l’adesione era “su base volontaria”.
Ribadisco. Sui Colli Berici i vigneti si vanno sostituendo a quanto rimaneva dei boschi . Un vero e proprio stravolgimento del paesaggio ottenuto con brutali sbancamenti e livellamenti, interrando doline e demolendo affioramenti rocciosi. In genere con le ruspe, talvolta (vedi anni fa sopra Castegnero) utilizzando l’esplosivo. Oppure (era accaduto a San Gottardo) è l’intera sommità di una collina a essere spianata.
Come si era detto ormai la produzione di vino (e di prosecco in particolare) sta diventando la “nuova industria del Nordest”.
L’attuale “corsa al vigneto” è sostanzialmente opera di speculatori in gran parte provenienti dal mondo della piccola impresa (sia dall’industria che dall’edilizia), culturalmente estranei all’agricoltura tradizionale, senza legami affettivi con il territorio in cui vedono soltanto una possibilità di sfruttamento e rapido arricchimento.
Altro che “Patrimonio dell’Umanità”! Patrimonio del capitalismo e del profitto, piuttosto.
Gianni Sartori
Mi attacco qui per qualche aggiornamento sulla colonizzazione dei Colli Berici da parte di presunti “amanti della natura” , “neo-contadini” di plastica.
Tra ville, falsi depositi-attrezzi, “fattore didattiche” fasulle (solo per godere dei finanziamenti), piscine e campi da tennis (vedi recentemente sopra Castegnero) la “cementificazione diffusa” (poltiglia urbana) prosegue, capillare e implacabile.
Segnalo qualche recente episodio (solo alcuni tra i tanti) di devastazione paesaggistica (a mio avviso, beninteso) a base di sbancamenti e cemento.
Uno a Castegnero (sul filo del confine comunale con Longare con cui comunque Castegnero starebbe per unirsi), uno a Nanto e un terzo altro a Villaga (ma in realtà, volendo, gli esempi si sprecano).
1) Castegnero
lo “sbrego” sopra Castegnero è proprio sul crinale, in linea con i due affioramenti rocciosi dei “Covoli” ora trasformati in “parco-giochi” (pardon “mini-palestra di roccia” come da tabella segnaletica) e si vede da chilometri di distanza (sia dalla Riviera Berica che dalla pista ciclabile) – e anche su google-map.
Un pugno allo stomaco, oltre che nell’occhio)
Come arrivarci:
da Castegnero si prende la (stretta) via Castellaro che sale sui colli in direzione di Villabalzana.
Lo scavo (con sbancamento) si trova poco prima della curva da dove parte il sentiero per la “Croce di Castegnero” (Monte Castellaro)e il sentiero per per scendere al cimitero di Lumignano, sulla destra della strada,
Praticamente, come ho detto, sul crinale Un punto panoramico con “vista mozzafiato” (come recitano i depliant) sulla pianura sottostante (peraltro ingombra di capannoni a decine).
Non posso escludere la preesistenza di un piccolo manufatto (i ruderi di una legnaia o di un riparo per animali) ma sicuramente era praticamente invisibile e di dimensioni minime. Quello che ora sta “crescendo” invece pare una villa di ampie dimensioni (valutando dalle fondamenta).
Tra l’altro questa è anche area carsica (ma non esiste una normativa europea, almeno per le aree”sic”?), trovandosi poco lontano dai “Covoli di Castegnero” e sopra alle Grotte della Mura e della Guerra (localizzate sull’altro versante, verso Lumignano).
2) Nanto
La casa, con pompeiane e piscina si trova alla fine di via Crearo. L’inizio della costruzione risale a 5-6 anni fa. Da allora si registrano ulteriori interventi (con ruspe) per costruire una strada e innalzare vari muri in cemento, presumo per evitare smottamenti di terreno dovuti appunto ai vari sbancamenti.
Oltretutto va a rompere l’integrità di una caratteristica vecchia piccola contrada (quasi un blocco unico ben inserito nel paesaggio).
Sul fatto che – almeno inizialmente – fosse stata classificata “deposito attrezzi” mi rifaccio alle dichiarazioni di esponenti del Consiglio comunale (lista civica di opposizione) e alle polemiche tra amministrazione e consiglieri comunali di opposizione (in passato avevano richiesto l’intervento della Forestale per l’ennesimo sbancamento).
3) Villaga.
Altro caso di devastazione (ma si dovrebbe parlare anche di indebita privatizzazione del paesaggio e della bellezza paesaggistica) sui Berici: una villa con ampie vetrate (previo taglio di alcune querce) con “vista mozzafiato” (come da manuale) sulla pianura. Poco sopra l’Agriturismo “Le mandolare”, lungo la soidisant “Alta via dei Berici” andando in direzione dell’altro agriturismo “Monte degli Aromi” (non vorrei far pubblicità, ma solo dare indicazioni).
Su google-map si notano ancora i segni degli sbancamenti.
Per ora mi fermo qui…alla prossima
GS
https://www.nuovaresistenza.org/2019/01/in-memoria-di-stefano-dal-cengio-un-difensore-della-terra-gianni-sartori/
in ricordo di un amico, un ecologista, un Difensore della Terra
GS
IL MITE PAESAGGIO DEI COLLI BERICI NUOVAMENTE DETURPATO
(Gianni Sartori)
Esteticamente parlando, come una bestemmia in Chiesa. Oppure uno sfregio sulla Gioconda, l’originale beninteso. Se preferite: come portare il cane a pisciare sull’Altare della Patria…
Questo è quanto verrebbe da pensare “contemplando” l’ennesimo colpo inferto al paesaggio collinare berico. Una villa in costruzione che già troneggia (letteralmente) sopra Castegnero, umiliando la svettante pieve (a cui ora si sovrappone, incongrua, la pesante presenza della nuova costruzione) e spezzandone lo slancio spiritualmente ascensionale.
Per non parlare del crinale che – lievemente, elegantemente – discende da Sermondi verso la piccola incisione (il “passo” per Lumignano) per poi riprendere ritmo fino alla “vetta” del Castellaro.
Mi spiace per voi – e per me – ma ormai l’armonia è spezzata, irreparabilmente.
Proprio lungo la linea dei Covoli che sovrastano Nanto e Castegnero con due evidenti lunghi affioramenti rocciosi, ad un osservatore superficiale potrebbe sembrarne emerso un terzo. Ma si starebbe ingannando. In realtà è un lungo muro in cemento (di contenimento, presumo, altrimenti con i brutali sbancamenti veniva giù tutto). E sopra il muro, la casa, due piani. Fin troppo visibile dalla pianura (o forse lo scopo era questo, ostentare l’agognato status symbol finalmente acquisito).
In passato qui c’era soltanto un minuscolo rudere, buono per qualche attrezzo o – al massimo – riparo per un animale (proprio uno, di numero, due pecore non entravano). Sufficiente comunque per giustificare (in base a quali criteri?) la nuova smisurata – rispetto al contesto – costruzione.
Amministrazioni distratte sui Beni comuni (ed il paesaggio dei Colli Berici è “bene comune”), popolazioni poco attrezzate culturalmente nell’opporsi a chi è ricco e benestante.
Magari sarà anche tutto formalmente in regola…e poi comunque prima o poi interviene un condono o un piano-casa a sanare il tutto. Con tanti saluti all’ambiente, al paesaggio, all’estetica, alla biodiversità, al genius loci etc.
Un film già visto. A Cà Menarini (alla fine del secolo scorso) o al Crearo (più recentemente).
Insomma, ancora una volta è stato applicato il noto articolo quinto (“chi che ga fato i schei ga vinto”).
Per ora il Mondo va ancora così…
Per ora.
Bel pezzo…bel pezzo; complimenti.
Tante e buone informazioni su un angolo di territorio italiano che mi era noto solo sull’atlante. Pur conoscendo una considerevole parte della Sua regione.
Vedo che una intera pagina contiene i Suoi post; li leggerò uno per volta per comprendere meglio e per apprendere, passo dopo passo, la trasformazione di un territorio che ha subito, leggo, sbancamenti e anche devastazione.
L’ironia con la quale Lei narra i fatti ed elenca situazioni spiacevoli, (a tratti drammaticamente “divertente”)* rende preziosa la narrazione stessa, liberandola da valutazioni troppo personali e cattive, ancorché precisa e dettagliata.
*(…) “Se preferite: come portare il cane a pisciare sull’Altare della Patria…”
Ahahahahah!
Riguardo alla chiusa finale (…) ” Insomma, ancora una volta è stato applicato il noto articolo quinto (“chi che ga fato i schei ga vinto”), bah…sono d’accordo fino ad un certo punto, anzi non sono mica d’accordo :
chi ha fatto i soldi, ha fatto i soldi punto; che abbia vinto, c’è da discutere; se poi i soldi sono serviti per peggiorare l’ambiente e limitare la bellezza dell’ambiente, allora…
Anche su una frase che Lei ha scritto, quasi alla fine del post, mica sono d’accordo; non la condivido per niente:
(…)” Amministrazioni distratte sui Beni comuni (ed il paesaggio dei Colli Berici è “bene comune”), popolazioni poco attrezzate culturalmente nell’opporsi a chi è ricco e benestante”.
Che molte amministrazioni siano disattente, ad arte… mi permetto di aggiungere, è vero, ma sulle popolazioni poco attrezzate culturalmente…avrei qualcosa da dire.
A me, Lei, che immagino sia cittadino di quei luoghi, non sembra, per niente, poco attrezzato culturalmente per opporsi a chi è ricco …e anche devastatore…
Vada alla guerra e si attrezzi per farlo!
Cordialità
HANNO FATTO UN DESERTO E L’HANNO CHIAMATO “PATRIMONIO DELL’UMANITA”
FOLLIA VENETA SENZA SPERANZA: BOSCO DI OTTOMILA METRI QUADRI SRADICATO IN ZONA UNESCO PER FAR POSTO AI VIGNETI
(Gianni Sartori)
Colli Berici e dintorni.
Scrivo con le finestre ben chiuse, sigillate. In passato questa zona collinare si poteva definire bucolica, eco-compatibile. Ma ormai – grazie alla scarsa lungimiranza di amministratori e abitanti – è infestata dai cattivi spiriti. Sotto forma e aspetto di fabbriche (anche di plastica), allevamenti intensivi (di polli, poveri…) e ovviamente della monocultura vinicola a conduzione industriale.
Là fuori quello con lo scafandro (in sostituzione della vecchia maschera con doppio filtro: era troppo poco?) imperversa annaffiando con l’aerosol chimico (per la venticinquesima volta quest’anno, se non ne ho persa qualcuna). E ovviamente non selettivamente. Oltre al vigneto, anche alberi, siepi, orti e abitazioni circostanti. Sarà magari un caso, una coincidenza. Eppure proprio ieri Mario mi informava – leggermente allarmato – che questo è il primo anno (dei suoi settanta) in cui le rondini, pur essendo arrivate in marzo al loro abituale granaio (poche, sempre meno…), non hanno ancora deposto uova e allevato piccoli.
Avrà a che fare con i cambiamenti climatici o con l’aumento esponenziale di fitofarmaci (leggi: veleni) spruzzati sui vigneti che ormai si espandono, a scapito di boschi e siepi, su ogni campo e crinale disponibile? Forse con entrambe le cause, in una micidiale sinergia.
Nel Veneto – si sa – questa è ormai ordinaria amministrazione.
L’ultima denuncia proveniva dalla popolazione locale ed è stata raccolta e diffusa da Silvia Benedetti e Sara Cunial. A Miane (provincia di Treviso) un bosco di 8mila metri quadri (e ricco di fauna e flora) dal 23 luglio viene sradicato per sostituirlo col solito vigneto. Già in precedenza il consigliere regionale del Pd, Andrea Zanoni, era intervenuto accusando con forza la regione di aver autorizzato questo “disboscamento in area Unesco per far spazio ad una nuova piantumazione di viti”. In aperta polemica con le politiche agricole venete di Zaia. Sulla stessa lunghezza d’onda si sono ora mosse le due esponenti politiche del Gruppo Misto intervenendo alla conferenza stampa (“Per un PAN a tutela di cittadini, agricoltori e territorio”) che si è svolta il 30 luglio alla Camera dei Deputati.
Chiedendo un cambio radicale – una riconversione – del modello agricolo in quanto “quello dei pesticidi è un problema non più rinviabile. Per affrontarlo non basta qualche divieto estemporaneo e qualche annuncio di bandiera. Ciò che occorre è una visione sistemica che preveda una ristrutturazione dell’intero settore agricolo. Solo attraverso una riconversione del nostro modello produttivo verso sistemi sostenibili e agroecologici saremo in grado di superare un’agricoltura ormai anacronistica, tossica e lesiva non solo degli ecosistemi e dell’ambiente ma anche dell’economia e delle persone, agricoltori in primis”.
Dopo aver visto e toccato con mano le conseguenze deleterie prodotte dalle monoculture e dai fitofarmaci in Veneto, è “impensabile – hanno spiegato le due deputate – continuare a puntare su monocolture e fitofarmaci”.
Quello Veneto è un caso emblematico. Vitigni intensivi e estensivi provocano l’inquinamento dei suoli e la contaminazione dell’acqua e dell’aria. Sono già migliaia decine di migliaia le famiglie che – vivendo in zone di campagna – sono costrette a segregarsi in casa per non inalare, respirando, sostanze tossiche. Oppure ad andarsene, magari in città come Treviso dove – paradossalmente – il livello di inquinamento risulta minore.
Ovviamente ai bambini è impedito giocare in giardino (non parliamo nemmeno di passeggiare per i campi, come ai miei tempi…) e le patologie correlate ai fitofarmaci sono in continuo aumento (tumori in primis). Ormai quello operante in Veneto si può tranquillamente definire un “modello agricolo criminale, supportato da una politica miope”.
E appunto da Miane (nel cuore della zona Unesco) a fine luglio era arrivata l’ennesima brutta notizia. Proprio in quello che fantasiosamente si è voluto incoronare come “Patrimonio dell’Umanità” (e che Zaia aveva promesso di valorizzare), un intero bosco su una collina sottoposta a vincolo idrogeologico viene divelto per dare altro spazio al prosecco da vendere a inglesi, russi e cinesi. Potenza del “sovranismo” in salsa veneta!
Una decisione presa sulla testa dei cittadini, senza alcuna consultazione e senza preoccuparsi delle future generazioni.
A subirne le prevedibili conseguenze saranno in particolare gli abitanti di Premaor. Non per niente alcuni genitori di questa piccola frazione di Miane hanno protestato con forza contro l’arbitraria decisione. Le loro abitazioni si trovano in posizione sottostante rispetto al nuovo impianto, esposte quindi alle derive tossiche dei pesticidi. E gli spazi aperti circostanti diventerebbero off limits – soprattutto per i bimbi – da aprile a ottobre.
Un sit-in per salvaguardare quanto rimane del bosco è previsto il 1 agosto alle ore 19 in via Rive a Premaor.
Gianni Sartori
https://www.rivistaetnie.com/lumignano-arrampicata-lhabitat-114454/
Ri-segnalo
In questi giorni anche le amministrazioni locali (comune di Longare) – debitamente informate dall’ articolo qui sopra uscito anche su Quaderni Vicentini – si sono indignate per la strage di chirotteri (risalente a febbraio);
ma a Lumignano e dintorni la situazione è ancora più grave e il degrado (in buona parte per opera dei FC) ormai generalizzato (ovviamente dal punto di vista della biodiversità, magari agli operatori turistici tutto questo potrà anche piacere, loro la chiamano”valorizzazione”)
GS
MENTRE LE POPOLAZIONI E I TERRITORI PAKISTANI SE LA PASSANO SEMPRE PEGGIO, GLI SCANZONATI TURISTI D’ALTA QUOTA INSISTONO NELLA “CONQUISTA” DELLE VETTE
(Gianni Sartori)
Ogni tanto, nello stillicidio quotidiano di donne curde ammazzate (non solo in Iran; anche in Turchia e nelle operazioni da guerra sporca extrafrontaliere in Rojava e Bashur), di adolescenti palestinesi fucilati sul posto e di Mapuche brutalizzati e incarcerati etc etc. …si infila timidamente qualche sporadica notizia di repressioni in Pakistan. Ai danni soprattutto delle popolazioni minorizzate (azara, beluci…) e delle classi subalterne.
E’ di questi giorni la notizia che le manifestazioni dei lavoratori delle scuole (non solo insegnanti) sono state represse duramente. Eventi che riportano alla mente quanto accadeva due-tre anni fa con le manifestazioni di medici, operatori sanitari, parenti di malati…che protestavano per la grave situazione sanitaria in cui versava – e versa tuttora, con le alluvioni poteva solo peggiorare – il Pakistan.
Scrivevo all’epoca:
“Situazione sanitaria che non si risolve certo con qualche donazione da parte di operatori turistici e organizzatori di spedizioni in alta quota creando ulteriore dipendenza e subalternità. Per dirne una, quest’anno una epidemia di Hiv ha colpito centinaia di bambini (di famiglie povere, particolare non secondario) a Ratodero. Le accuse nei confronti di un pediatra che avrebbe riutilizzato le stesse siringhe (evento probabile) avevano in realtà lo scopo di trovare un capro espiatorio, minimizzare la gravità della situazione (con centinaia di dentisti, barbieri e paramedici che operano direttamente in strada, senza rispettare, anche volendo, procedure e protocolli e utilizzando strumenti non sterilizzati) e mascherare così le responsabilità dello Stato.
Del resto la possibilità di cure adeguate per gran parte della popolazione, soprattutto la più diseredata, sta diventando un lusso inaccessibile e ci si arrangia come si può. Ma su questo la popolazione, i sindacati, le associazioni si stanno già, per quanto faticosamente, riorganizzando. Anche recentemente si sono avuti scontri con la polizia, con numerosi feriti e arresti, davanti a cliniche e ospedali per protestare contro la nuova legge RDHA che promuove la privatizzazione della sanità pachistana”.
E concludevo invocando l’adozione di forme di boicottaggio come avveniva nel secolo scorso nei confronti dell’apartheid di Pretoria (qualcuno rammenta la spinosa faccenda della Turban?) e, ancora oggi, della pulizia etnica di Ankara contro i curdi e di Israele contro i palestinesi.
Così, ripeto, si dovrebbe agire nei confronti di Islamabad che tra le altre cose perseguita e opprime con particolare brutalità i beluci (con migliaia di persone torturate, numerosi desaparecidos, oltre alle misure disostituzione etnica).
Stavolta (ottobre 2022) è toccato agli insegnanti e ai lavoratori della scuola.
In particolare l’associazione degli insegnanti della scuola primaria aveva organizzato per il giorno 6 ottobre una manifestazione a Peshawar (bloccando qualche strada) per protestare contro l’abbassamento delle pensioni e chiedendo modifiche strutturali a livello scolastico.
Ma il governo ha fatto orecchie da mercante alle pur legittime richieste e ha scelto la via repressiva. Nel corso delle numerose, ripetute cariche della polizia decine di manifestanti rimanevano feriti. Tuttavia, nonostante il massiccio impiego di gas lacrimogeni e le manganellate, non riusciva a disperdere i manifestanti che, in qualche modo, fronteggiavano le forze dell’ordine e reggevano l’urto.
Numerose persone che avevano scelto (forse ingenuamente) di farsi curare in ospedale (o vi erano stati trasportate d’urgenza per la gravità delle ferite), venivano poi arrestate direttamente al pronto soccorso e negli ambulatori.
A giorni, indetto da vari sindacati e associazioni, è previsto uno sciopero generale per denunciare tali violenze applicate dal governo contro chi rivendicava diritti sacrosanti.
Tutto questo, dicevo, mentre le avanguardie turistiche neo-coloniali (mascherate da “alpinisti” e talvolta sotto copertura umanitaria…due-tre scatole di medicinali non si negano a nessuno e magari facilitano la concessione di permessi) si affannavano su qualche ottomila (salvo venirne talvolta ignominiosamente rigettate).
Intanto, alle falde di montagne e ghiacciai, la crisi morde, strazia e non fugge. Rimane a dilaniare la carne delle popolazioni. E quest’anno, proprio dai ghiacciai sotto pressione per i cambiamenti climatici, è venuto un ulteriore colpa di grazia. Forse non proprio definitivo, ma sicuramente difficile da incassare.
Gli esperti prevedono(e in parte si è già potuto constatarlo) che in quello che con i suoi oltre settemila viene chiamato “Terzo Polo”, le conseguenze dei cambiamenti climatici saranno sempre piùdevastanti (vedi Global Climate Index 2020).
Il caldo estremo dell’ultima estateè sicuramente all’origine delle inondazioni (dovute, oltre cha allo scioglimento accelerato dei ghiacciai alle piogge monsoniche particolarmente torrenziali) del 2022. Risultate ben quattro volte superiori per intensità e per danni provocati a quelle del 2010 (già bruttine per conto loro).
Con circa 50 milioni di persone colpite,oltre un migliaio di vittime accertate (senza contare i dispersi) e con il 90% dei terreni agricoli devastati (quando non letteralmente scomparsi). Per il Pakistan, tra i maggiori produttori mondiali di cotone e riso, un danno incalcolabile.
Come esportatore, fino all’anno scorso aveva garantito le forniture di cotone per vari marchi internazionali.
Cotone forse impropriamente spacciato per “sostenibile” mentre in realtà qui si assiste alla brutale esternalizzazione delle emissioni dell’Occidente. Oltre all’ipocrita ambientalismo di facciata da parte delle aziende, i cui profitti derivano dallo sfruttamento brutale della manodopera indigena.
Da segnalare che in genere le aziende (il “capitale fisso”, costruite in cemento) sono rimaste pressoché intatte mentre a subire il disastro ambientale sono ancora una volta le classi subalterne le cui abitazioni (“fuori norma”, estremamente fragili) venivano travolte dalla piena.
Va ricordato che il Pakistan contribuisce in minima parte alle emissioni di carbonio. Tuttavia, come è apparso evidente, subisce in maniera massiccia le conseguenze dell’inquinamento atmosferico prodotto dalle nazioni benestanti.
Un inciso: sarebbe questo il Paese sulle cui cime qualche operatore turistico di montagna, o i suoi ascari arruolati per la circostanza, intende esporre striscioni contro l’inquinamento in Veneto?*
Torniamo in Pakistan, anzi nella provincia periferica del Belucistan dove risultano crollate almeno una dozzina di dighe (ma la situazione risulta grave anche in Sindh e Punjab). Si presume che nelle loro realizzazione si sia risparmiato alla grande sui materiali e lucrato (anche con bustarelle) da parte di funzionari corrotti.
Senza entrare nel merito dell’eredità avvelenata dell’imperialismo britannico, fondata sull’estrema disparità socio-economica tra ceti dominanti (proprietari terrieri, militari, burocrati…) e il resto della popolazione, ricordoche dagli anni cinquanta del secolo scorso
le classi al potere fornicarono assai con varie imprese internazionali (anche italiane) nella realizzazione di infrastrutture idroelettriche e per l’irrigazione. Infatti oltre alle dighe anche molti canali si sono rivelati inadeguati e sono collassati con le alluvioni. Talvolta arrivando a imporre la deportazione di intere popolazioni (come alla diga diTaunsa, risultata poi del tutto inadeguata nel 2010).
E qui non posso non ritornare sul libro-intervista con Lacedelli di Giovanni Cenacchi in merito alla celebrata conquista del K2 nel 1954. Andando anche al di là delle intenzioni degli autori, leggendolo si può intuire quale fosse la reale posta in gioco.
Nonostante scelga di non approfondire più di tanto (pag. 115: “è questo un argomento su cui non è possibile trarre conclusioni certe”, sic!) sui rapporti tra il governo italiano e quello pachistano dell’epoca, l’autore non può evitare di accennare al fatto che le imprese italiane (tra cui spiccava la nota Impregilo), utilizzando sia finanziamenti governativi sia quelli della Banca mondiale, ebbero in appalto le “grandi opere”. In particolare quelle da realizzare nel bacino dell’Indo (dighe, canali, infrastrutture) come la monumentale diga di Tarbela. Senza escludere altri benefit politici, economici, commerciali, forse anche militari (vendita di armamenti?), in cambio del permesso per la spedizione. **
Ad aggravare il bilancio delle inondazioni del 2022 si aggiunge il fatto che tra gli oltre otto milioni di donne colpite, almeno 650mila risultavano incinte e circa 100mila dovrebbero partorire a breve scadenza.Anche a causa dei pregiudizi e tabù tradizionali che gravano sulla sessualità femminile, si assiste ora sia ad una inadeguata fornitura di materiale ginecologico, sia a una scarsa somministrazione di assistenzaper le donne. Con il rischio di un incremento della mortalità (sia per le donne che per i feti), sia delle infezioni genitali.
Inoltre almeno un migliaio di strutture sanitarie risultano danneggiate (e ricordo, vedi sopra, la gravità preesistente della situazione sanitaria pakistana), di cui circa 200 completamente distrutte in Balucistan (per non parlare di tutte quelle diventate inaccessibili per il crollo di ponti e strade).
E in questo scenario desolante, in questa terra devastata,c’è chi arriva tutto pimpante per sciare o arrampicare…
Gianni Sartori
nota 1: Non entro poi neanche nel merito della questione “utilizzo dell’aereo (caso mai andate a riascoltavi Greta…). Ripensando ai miei tempi, quando in Nepal, India, mio cognato anche in Afghanistan e Pakistan ) si andava con l’autostop (si raccontavano storie terribili, in genere inventate, sui camionisti turchi e sul “passaggio in Kurdistan”). Perché, oltre a ovvie ragioni finanziarie, l’aereo era considerato “borghese”, soprattutto da chi andava in cerca di un’alternativa al consumismo occidentale, di spiritualità.… Oggi come oggi, chi si professa ambientalista dovrebbe trovare altri mezzi (in bici, a piedi…al massimo in vespa)o magari restarsene a casa. Appunto per ragioni ambientali. Mi sembra una contraddizione palese andare a protestare su quei monti e ghiacciai e contemporaneamente contribuire ulteriormenteall’ecocidio planetario.
** nota 2: sempre dall’articolo citato, la recensione al libro “K2, fu vera conquista?” Riporto questo brano:
“Ma – per restare in clima coloniale – si va completamente fuori del vaso con il tentativo di giustificare Lacedelli & C per le problematiche sorte con i portatori hunza: le definisce un “tema d’atmosfera [a cosa si riferisce, forse a quella rarefatta delle alte vette?] che può imbarazzare nel racconto del nostro alpinista ampezzano”. E fustiga (pag. 90) preventivamente gli eventuali buonisti radical-chic con parole che riporto per esteso e che si commentano da sole:
Una retorica etnologica e terzomondista che affligge ancora oggi molte relazioni d’alpinismo extraeuropeo dipinge a volte l’indigeno di montagna come un “buon selvaggio”, generoso e sorridente, povero di beni materiali ma ricco di una spiritualità da cui noi ricchi occidentali dovremmo imparare valori rimossi. Il ricordo che Lino Lacedelli, montanaro tra i montanari agli antipodi culturali delle sue Dolomiti, ci consegna a proposito di hunza e balti è tutt’altro che edificante e “politically correct”. Tra i coolies della lunga carovana del K2 non mancavano soggetti affidabili e ammirabili, certo. Ma la maggior parte pare fosse costituita da fannulloni, scioperati e scioperanti, bugiardi, pronti a darsi malati e a fuggire alla prima occasione, non senza aver rubacchiato dalle italiche tasche. Lacedelli ricorda che a volte “era necessario prenderne uno o due da parte e usare la piccozza” (…). Fin qui note di colore.
Di colore? O forse intendeva “di dolore”? Lacedelli & C, poveretti, saranno anche stati figli del loro tempo, ma tali frasi vengono scritte e pubblicate nel XXI secolo (il libro è del 2004). Capite ora perché insisto: gli alpinisti, così come i loro parenti stretti, i turisti, è meglio se ne restino a casa loro. Dovunque vanno fanno solo danni, morali e materiali”.