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Il piano paesaggistico regionale della Sardegna tutela legittimamente le zone umide anche nelle aree urbane.


Cagliari, Saline di Molentargius

Anche sulla Rivista telematica di diritto ambientale Lexambiente, Il piano paesaggistico regionale della Sardegna tutela legittimamente le zone umide anche nelle aree urbane.

 

Della vicenda (la costruzione di un palazzone presso le Saline di Molentargius, previa demolizione di una preesistente villa) si erano occupate anche le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra.

 

Importante recentissima sentenza del Consiglio di Stato in materia di tutela e pianificazione paesaggistica con riferimento all’operatività del piano paesaggistico regionale (P.P.R.) della Sardegna.

La sentenza Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2188 è intervenuta riguardo la disciplina di salvaguardia accolta nel P.P.R. relativa alle fasce spondali delle zone umide, riformando la sentenza T.A.R. Sardegna, sez. II, 1 aprile 2008, n. 562.   Tale disciplina si applica anche in area urbana, come ha ricordato il massimo Collegio di giustizia amministrativa.

La fattispecie concreta è inerente alla realizzazione di un palazzo presso le Saline di Molentargius, nell’area urbana di Cagliari (la memoria della Regione autonoma della Sardegna del 27 gennaio 2012 riporta che l’edificio è “posto a 60 metri .…. dall’invaso del Molentargius”).

Il nodo centrale è costituito dall’ambito applicativo dell’art. 17 della normativa tecnica di attuazione (N.T.A.) del P.P.R., disposizione che individua i “beni paesaggistici”, contenuto fondamentale del piano paesaggistico (art. 143 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), fra cui “zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi” (art. 17, comma 3°, lettera g, delle N.T.A. del P.P.R.).  La disposizione è in stretta connessione con il successivo art. 18 delle N.T.A. del P.P.R., che che “i beni paesaggistici di cui all’articolo precedente sono oggetto di conservazione e tutela” (comma 1°) e che, in via generale, “qualunque trasformazione, fatto salvo l’art. 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e succ. mod., è soggetta ad autorizzazione paesaggistica” (comma 2°).

Il Consiglio di Stato ha chiarito, in primo luogo, l’oggetto della disposizione di salvaguardia: “in tema di beni paesaggistici, l’art. 17 delle N.T.A. distingue due categorie: i beni tipizzati e individuati nella cartografia del P.P.R. (co. 3) e i beni che rientrano nell’assetto territoriale ambientale regionale a prescindere dalla specificazione cartografica (co. 4).   Per i primi, dunque, la tutela viene in un certo senso veicolata attraverso una operazione preliminare, costituita precisamente dalla particolare indicazione cartografica”.    Per la prima categoria, quindi, è “necessaria una operazione ulteriore. Così la fascia costiera è individuata – e conseguentemente tutelata – attraverso la perimetrazione in cartografia (lett. a)”, tuttavia “è però arbitrario estendere il requisito e l’efficacia della perimetrazione dalla categoria per cui è espressamente dettata per farla valere con riguardo a un’altra categoria di beni (quelli della lett. g)”.     Non è necessaria, quindi, una successiva operazione di puntuale individuazione cartografica delle fasce spondali delle zone umide per l’assoggettamento alla normativa di tutela.

Da respingere gli argomenti contrari della preesistenza di strutture edificate nell’area vincolata (motivo, anzi, che dovrebbe spingere a una maggior cautela, vds. es. Cons. Stato, sez. VI, 3 marzo 2011, n. 1366) e della non individuabilità di una “battigia” relativa alle zone umide, vista l’espressione ampia e onnicomprensiva della disposizione normativa.     Così come non vi sono motivi validi e convincenti per non considerare la “battigia” (elemento essenziale per individuare la fascia di rispetto che a essa fa riferimento) come riferentesi a ogni specchio acqueo (mare, stagno, lago naturale, lago di origine artificiale, laguna).

Il Consiglio di Stato, poi, ricorda – sulla scorta della giurisprudenza costituzionale (vds. es. Corte cost., n. 51/2006) e della propria in tema – che “i piani paesaggistici regionali, lungi dall’assolvere una funzione meramente ricognitiva dei beni paesaggistici individuati ex lege, adempiono un ruolo autonomo di individuazione del beni stessi”.     Infatti, “proprio in relazione all’art. 142 del codice” dei beni culturali e del paesaggio, “la Corte costituzionale ha nei giorni scorsi ribadito – con affermazione dettata per le Regioni a statuto ordinario, e quindi ancor più valida per quelle dotate di una specifica e differenziata competenza legislativa, garantita sul piano costituzionale – che la legislazione regionale può “fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto”, cosicché quel che rimane inversamente precluso al legislatore regionale è solo l’introduzione di restrizioni all’ambito della tutela (sentenza 19 – 23 marzo 2012, n. 66; e ancor prima sentenza 18 – 29 maggio 2009, n. 164, relativa a una norma legislativa della Valle d’Aosta, ma con enunciazioni di portata generale)”.   La normativa regionale (anche quella delle regioni a statuto speciale) può ben quindi assumere connotati di maggior efficacia sul piano della tutela ambientale e del paesaggio.

Da ciò discende che “è quindi conforme a legge l’art. 17, co. 3, lett. g) delle N.T.A. al P.P.R. della Regione Sardegna anche se letto – come il Collegio ritiene si debba – nel senso di accordare la tutela paesaggistica alla fascia compresa nei trecento metri dal confine della zona umida”, trattandosi di una disposizione “del tutto ragionevole, sull’evidente presupposto che le zone umide, al pari di altre aree caratterizzate dalla presenza di acque, meritino di essere tutelate anche con il riconoscimento di una fascia di rispetto”.   Nemmeno costituisce ostacolo all’applicazione della normativa di salvaguardia il fatto che il sito oggetto della concessione edilizia ricada in zona urbanistica “B – residenziale”, proprio “per la ricordata capacità espansiva del Piano, rispetto alle previsioni di legge, nell’individuare i beni paesaggistici oggetto di tutela” e perché “il piano paesaggistico è cogente e immediatamente prevalente sulla strumentazione della programmazione urbanistica degli enti locali”, ai sensi dell’art. 145, comma 3°, del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i. (Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Netta e inequivocabile la conclusione del Consiglio di Stato: “la concessione edilizia impugnata … è illegittima per essere stata rilasciata in assenza di quella autorizzazione paesaggistica che ‘costituisce atto autonomo e presupposto del permesso di costruire o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio’ e in difetto della quale ‘i lavori non possono essere iniziati”, come esplicitato dall’art. 146, comma 9°, del Codice dei beni culturali e del paesaggio.

Un importante conferma, quindi, della legittimità ed efficacia del piano paesaggistico regionale sardo (1° stralcio – fascia costiera) e della sua piena operatività anche in ambito urbano, un rilevante indirizzo giurisprudenziale per l’intera problematica della pianificazione paesaggistica e urbanistico-territoriale.

Dott. Stefano Deliperi

 

 

N. 02188/2012REG.PROV.COLL.

N. 05045/2008 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5045 del 2008, proposto da:

Onali Alberto, rappresentato e difeso dall’avv. Mario Sanino, con domicilio eletto presso Mario Sanino in Roma, viale Parioli, 180;

contro

Comune di Cagliari, Soprintentenza per i beni architettonici e per il paesaggio e per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per le province di Cagliari e Oristano, Azienda Usl n. 8 della Sardegna; Regione Autonoma della Sardegna, rappresentata e difesa dagli avv. Gian Piero Contu, Alessandra Camba, Sandra Trincas, con domicilio eletto presso Ufficio di Rappresentanza Regione Sardegna in Roma, via Lucullo, 24;

nei confronti di

Progetto Casa Costruzioni S.r.l., rappresentato e difeso dall’avv. Massimiliano Marcialis, con domicilio eletto presso Nicola Giancaspro in Roma, via Postumia 1;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. SARDEGNA – CAGLIARI: SEZIONE II n. 00562/2008, resa tra le parti, concernente CONCESSIONE EDILIZIA RILASCIATA DAL COMUNE

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Regione Autonoma della Sardegna;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 28 febbraio 2012 il Cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati Mario Sanino e Massimiliano Marcialis;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il signor Alberto Onali è proprietario in Cagliari di uno stabile con destinazione residenziale, posto all’interno del piano di lottizzazione convenzionato in data 3 marzo 1965, in prossimità del Parco naturale regionale “Molentargius Saline”. La lottizzazione prevedeva la realizzazione nei singoli lotti di residenze unifamiliari con un piano fuori terra e uno rialzato, conformemente all’indice di fabbricabilità e ai limiti di altezza imposti da quello strumento esecutivo.

Con ricorso n. 742 del 2007 chiedeva l’annullamento della concessione edilizia rilasciata dal Comune di Cagliari in data 4 luglio 2007 in favore della Progetto Casa Costruzioni s.r.l., relativa alla realizzazione in un lotto confinante della medesima lottizzazione – previa demolizione del fabbricato esistente – di un edificio di sei piani (altre volte negli atti si parla di sette piani) per il complessivo volume di circa 3900 metri cubi.

Il T.A.R. per la Sardegna, Sez. II, con sentenza 1° aprile 2008, n. 562, dichiarava il ricorso in parte inammissibile e in parte lo respingeva, dichiarando inammissibili i motivi aggiunti; dichiarava inoltre improcedibile il ricorso incidentale proposto dalla società contro interessata.

L’Onali proponeva appello deducendo:

violazione dell’ art. 146, co. 9, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio; d’ora in avanti “codice”) nonché dell’art. 17, co. 3, lett. g), delle Norme tecniche di attuazione (N.T.A.) del Piano paesistico regionale (P.P.R.) del 2006; eccesso di potere per difetto di istruttoria, di motivazione, illogicità, irragionevolezza e sviamento. La sentenza avrebbe trascurato che, poiché l’edificio da realizzare è ricompreso nella fascia di profondità di 300 metri contermine dalla zona umida, come pure entro la fascia di 300 metri dall’invaso artificiale di pertinenza del complesso delle saline, sarebbe stato necessario il nulla osta paesaggistico; erroneamente, invece, avrebbe ritenuto che, in presenza di una perimetrazione dell’area protetta, operata nella cartografia allegata al P.P.R., sarebbe individuata direttamente l’area sottoposta a vincolo, per la quale sola occorre l’autorizzazione paesaggistica;

violazione dell’art. 146, co. 9, del codice nonché degli artt. 4, co. 5, 48, co. 1, lett. b), 49, co. 3 e 5, delle N.T.A. del P.P.R.; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, sviamento. Erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto che un’area costituente “bene identitario” ai sensi dell’art. 57 (come le saline) non possa avere al suo interno beni tutelati ai sensi dell’art. 48 delle N.T.A. Dallo scorretto presupposto che le due richiamate categorie di beni siano in una condizione di reciproca esclusione la sentenza avrebbe tratto l’indebita conclusione che l’area in questione sia comunque sottoposta al regime dell’art. 58 (che non prevede il vincolo della inedificabilità dei 100 metri dal perimetro esterno dell’area o del manufatto) e non alle più rigorose misure previste dall’art. 49;

violazione della disciplina edilizia e dei principi generali che presiedono alla edificazione in zona B: contraddittoriamente gli organi comunali competenti avrebbero assentito la concessione impugnata pur avendo rilevato che il fabbricato in costruzione veniva a inserirsi in un contesto urbanistico caratterizzato prevalentemente da edifici bassi (tipologia a villa);

violazione della disciplina esecutiva dettata dal piano di lottizzazione convenzionato in data 3 marzo 1965. L’art. 14 del nuovo Piano urbanistico comunale (P.U.C.) distingue tra “zone confermate” (per le quali restano in vigore le disposizioni che hanno presieduto alla loro formazione) e “zone ridefinite” (per le quali vengono introdotte norme diversificate, incidenti anche sui parametri urbanistici); l’art. 17 inserisce la sottozona in questione – denominata B5 – tra quelle “confermate”. Rimarrebbero dunque in vigore le prescrizioni del piano di lottizzazione, anche perché il precedente strumento generale (il Piano dei servizi del 1980) avrebbe mantenuto fermi i vincoli derivanti dai piani attuativi già approvati. Non coglierebbe nel segno la sentenza là dove afferma che il nuovo strumento generale, per il grado di dettaglio raggiunto, non richiederebbe ulteriori disposizioni applicative;

violazione dei principi giurisprudenziali secondo cui presupposto per il rilascio della concessione edilizia è l’attitudine del nuovo fabbricato a inserirsi armonicamente nel tessuto urbano già edificato;

a riproposizione dei motivi aggiunti, l’appellante in primo luogo contesta la dichiarazione di tardività fatta dal Giudice di primo grado. Nel merito si duole della mancata effettuazione di uno screening preliminare evocato dal Ministero dell’ambiente, alla luce della particolare importanza naturalistica e faunistica dello stagno di Molentargius, adiacente al lotto di riferimento del nuovo edificio: trattandosi di un sito di importanza comunitaria (S.I.C.), la direttiva n. 92/43/CEE e gli artt. 5 e 6 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357 (che di quella direttiva reca attuazione) avrebbero imposto una valutazione di incidenza preliminare all’approvazione definitiva del piano o dell’intervento.

La Progetto Casa Costruzioni s.r.l. si costituiva in giudizio per resistere al gravame, depositando appello incidentale subordinato. Oltre a contestare gli argomenti dell’appellante, chiedeva, in via incidentale subordinata, l’annullamento:

dell’art. 17, co. 3, delle N.T.A. del P.P.R. nella parte in cui attribuisca aprioristicamente tutela alle ”zone umide”, così introducendo illegittimamente vincoli maggiori di quelli previsti dall’ art. 142 del codice (che escluderebbe dalla specifica tutela le zone delimitate negli strumenti urbanistici come zone territoriali omogenee A e B) espressamente richiamato dall’art. 1 della legge regionale 25 novembre 2004, n. 8;

dello stesso art. 17, co. 3, nella parte in cui estenda la tutela paesaggistica dalle zone umide (ex art. 142, comma 1, lett. i), del codice) ai “territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia”, in tal modo contrastando con le disposizioni del codice;

di tutte le norme del P.P.R. che fanno riferimento ai “beni identitari”, creando così una categoria sconosciuta al codice;

di tutte le medesime disposizioni, per essere stati i “beni identitari” individuati solo nel Piano approvato, in totale difformità dalla proposta di Piano, rispetto alla quale i soggetti interessati avrebbero potuto fare delle osservazioni;

dell’art. 49, co. 5 delle N.T.A., nella parte in cui vieta qualunque costruzione in una fascia della larghezza di 100 metri dal perimetro esterno dell’area o del manufatto edilizio protetti; ciò in contrasto con l’art. 146 del codice, che prevede la possibilità del rilascio di una autorizzazione;

di tutte le norme del P.P.R. per la mancata partecipazione dell’Assessorato alla pubblica istruzione all’attività istruttoria prodromica all’adozione delle norme stesse.

In via ulteriormente subordinata, la società controinteressata sollevava questione di legittimità costituzionale della legge regionale n. 8 del 2004 per contrasto con gli artt. 23, 41 e 42 Cost. In via ancor più subordinata deduceva l’illegittimità costituzionale del codice in relazione all’art. 76 Cost., dubitando infine della costituzionalità della stessa norma delegante (art. 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137) per insufficiente indicazione dei criteri direttivi per l’esercizio della delega.

La Regione Sardegna, anch’essa costituitasi in giudizio, contestava la fondatezza del ricorso in appello e di quello proposto in via incidentale, chiedendo la conferma della impugnata sentenza.

Quanto all’appello principale, insisteva particolarmente sull’art. 17, co. 3, lett. g) delle N.T.A. sottolineando come – tenuto conto della distinzione tra “zone umide” e “laghi naturali e invasi artificiali” – solo a questi ultimi andrebbe riferita la fascia di rispetto. Questa conclusione sarebbe confortata da motivazioni letterali (la fascia di rispetto deve essere individuata partendo “dalla linea della battigia”, che è normalmente assente nelle zone umide), dal raffronto con l’art. 142 del codice (nel quale le zone umide e i territori contermini ai laghi sono disciplinati da distinte disposizioni; solo per questi ultimi si parla di una fascia di rispetto), dalla relazione che accompagna il P.P.R. (secondo cui la perimetrazione delle zone umide avrebbe individuato direttamente sia la zona umida che la relativa fascia di rispetto).

Quanto all’appello incidentale, osservava che l’assoggettamento a vincolo paesistico dell’area in questione discenderebbe, prima ancora che dalle N.T.A. del P.P.R., dall’art. 142, co. 1, lett. b), del codice. Sarebbe poi irrilevante la maggiore tutela paesaggistica apprestata dalla normativa regionale rispetto a quella statale, in quanto conforme alla previsione dell’art. 8 del codice e alla luce delle specifiche competenze statutarie della Regione in materia, ribadite dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 51 del 2006. Non fondati sarebbero poi gli altri argomenti, come pure le censure di illegittimità costituzionale.

Successivamente le parti presentavano memorie.

Nella memoria del 26 gennaio 2011 l’appellante insisteva sulle violazioni in materia paesaggistica:

la perimetrazione ex art. 17, co. 3, N.T.A., non varrebbe, nel caso di specie, a delimitare il raggio in cui opera la tutela, in quanto le zone umide sono soggette a fluttuazioni di ampiezza nel tempo; la delimitazione sulla cartografia del P.P.R. di zone umide non sarebbe perimetrazione nel senso voluto dal T.A.R., ma una tipizzazione/individuazione dei beni paesaggistici, che richiede una rappresentazione grafica, ma postula altresì una fascia di rispetto di 300 metri;

la disciplina degli artt. 57 e 58 N.T.A. non sarebbe incompatibile con quella, più stringente, degli artt. 48 e 49, poiché – come nella fattispecie – sarebbe possibile individuare oggetti meritevoli di tutela rafforzata (qui: le vasche di decantazione, i canali navigabili, le canalette di scolo, ecc.) nell’ambito di un’area (qui: le saline) tutelate in maniera più attenuata; il Comune avrebbe omessa l’istruttoria necessaria per individuare le caratteristiche dei beni paesaggistici prossimi all’area di cantiere;

dovendosi applicare gli artt. 48 e 49 delle N.T.A., nessun intervento sarebbe stato possibile senza il previo rilascio del nulla osta paesaggistico e senza la preliminare valutazione di incidenza circa le conseguenze dell’intervento sulle caratteristiche ambientali del luogo;

Quanto alle violazioni in materia urbanistica:

considerava irragionevole il parere favorevole espresso dalla commissione edilizia comunale pur avendo accertato la cubatura e il numero dei piani dell’edificio da costruire rispetto a quelli che lo circondano;

censurava l’affermazione del T.A.R. secondo cui la disciplina discendente dal P.U.C. e dalle relative N.T.A. non richiederebbero ulteriori dispositive applicative essendo sufficientemente dettagliata; l’art. 14 del P.U.C. porrebbe invece l’alternativa tra mantenimento della disciplina posta dallo strumento attuativo previgente (cioè il Piano di lottizzazione) o introduzione di una disciplina nuova mediante l’adozione di una variante sostanziale.

Riproponeva ancora i motivi aggiunti dichiarati inammissibili in primo grado criticando il ragionamento seguito dal Giudice di primo grado per affermarne la tardività e svolgendoli nel merito.

Passando infine a esaminare l’appello incidentale, dubitava della sua tempestività e della sua ammissibilità (i vizi in esso dedotti atterrebbero alla vocazione edificatoria dell’area del fabbricato: sarebbero vizi tipici di una impugnativa in via principale del provvedimento impugnato; per alcuni di essi non sarebbe provata la sussistenza di un interesse qualificato alla contestazione) e lo contestava nel merito. Da ultimo riteneva inammissibili le eccezioni di legittimità costituzionale formulate.

Con memoria del 27 gennaio 2012 la società appellata replicava che:

il combinato disposto degli artt. 142 e 143, lett. i), del codice – con previsione che si imporrebbe alla normativa regionale – stabilisce le zone umide, se ubicate in zone classificate come A o B, non potrebbero ritenersi vincolate;

l’art. 15 delle N.T.A. consentirebbe l’attività edilizia negli ambiti di paesaggio costieri (tra i quali rientra quello di cui è causa) all’interno delle zone A e B;

l’art. 17, co. 3, lettera g), delle N.T.A. andrebbe letto – anche alle luce dell’art. 142 del codice – nel senso di riferire la fascia di rispetto di 300 metri non alle zone umide, ma solo ai laghi e agli invasi; d’altronde, se la zona è stata già perimetrata dalla Regione, non avrebbe senso prevedere una ulteriore fascia di rispetto;

le tutele previste dagli artt. 48 e 49, da un lato, e, dall’altro, dagli artt. 57 e 58 delle N.T.A., sarebbero alternative; peraltro il ricorrente non indicherebbe se non genericamente i singoli beni interni alle saline, peraltro non individuati dal Piano;

il Piano di lottizzazione convenzionata del 1965 non sarebbe più in vigore, ma avrebbe perso efficacia a dieci anni dalla stipula per effetto dell’art. 45 del Piano dei Servizi; dovrebbe applicarsi dunque il solo P.U.C. il quale, all’art. 16, prevede che si mantengano ferme le norme del previgente Piano dei Servizi;

sarebbero inammissibili e comunque infondate le censure relative ai principi generali che presiedono alla edificazione della zona B;

i motivi aggiunti sarebbero inammissibili per tardività e infondati nel merito: lo screening preventivo di cui lamentano l’omissione sarebbe previsto solo nelle ipotesi in cui il piano o il progetto possano avere sul sito protetto incidenze significative, che nel caso in questione non sarebbe dato riscontrare, trattandosi di un intervento di modeste dimensioni in una zona fortemente urbanizzata, esterna all’area protettai;

ribadiva infine le censure esposte nell’appello incidentale subordinato.

Nella successiva memoria del 6 febbraio 2012, la società appellata sottolineava la conclusa edificazione del manufatto in contestazione, ribadendo come la relativa concessione fosse stata rilasciata previa nota del Direttore generale della pianificazione urbanistica della Regione, che escludeva la necessità dell’autorizzazione paesaggistica. Insisteva quindi sulle proprie argomentazioni e – in relazione all’assenza, evocata dall’appellante, di uno strumento attuativo – richiamava l’art 64 delle N.T.A. del P.U.C. di Cagliari che, per l’area di Su Siccu (che qui viene in questione), rinvia per la sottozona B5 alla disciplina prevista dall’art. 17, senza fare riferimento a un piano attuativo, diversamente da quanto dispone per altre sottozone. Contestava la ritenuta tardività e improcedibilità dell’appello incidentale e del ricorso incidentale di primo grado.

L’appellante, nella memoria del 6 febbraio scorso, insisteva sulle circostanze che:

la perimetrazione rileverebbe per i soli beni paesaggistici indicati dall’art. 17, co. 3, lett. a), delle N.T.A. del P.P.R.; anche per le zone umide varrebbe la fascia di rispetto;

legittimamente potrebbe la Regione estendere la tutela delle zone umide oltre i confini previsti dal codice;

l’art. 149 del codice (riprodotto nell’art. 4 delle legge regionale n. 8 del 2004) consentirebbe nelle zone A e B solo limitati interventi, tali da non alterare lo stato dei luoghi; questa sarebbe la sola attività edilizia consentita dall’art. 15 delle N.T.A.;

sarebbe irrilevante la mancata individuazione di specifici beni all’interno delle saline perché possa avere ingresso la più penetrante tutela ex artt. 48 e 49 N.T.A.;

sarebbe stato comunque necessario uno screening preliminare: solo all’esito di questo si sarebbe potuto verificare se l’intervento avesse o no incidenze significative;

l’intervento sarebbe contrario alle prescrizioni urbanistiche per volume e altezza dell’edificio;

infine, secondo quanto dispongono il Piano dei Servizi e l’art. 14 del P.U.C., varrebbe ancora il piano di lottizzazione convenzionata.

All’udienza del 28 febbraio 2012 l’appello veniva chiamato e trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Nel merito, il primo motivo dell’appello fa riferimento all’art. 17 delle N.T.A. del P.P.R. della Regione Sardegna.

L’art. 17 definisce l’assetto territoriale ambientale e individua i beni paesaggistici che in esso rientrano. Va letto sistematicamente con il successivo art. 18, il quale stabilisce che “i beni paesaggistici di cui all’articolo precedente sono oggetto di conservazione e tutela” (co. 1) e aggiunge che “qualunque trasformazione, fatto salvo l’art. 149 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e succ. mod., è soggetto ad autorizzazione paesaggistica” (co. 2).

Sostiene l’appello che l’area destinata ad accogliere l’edificio di cui è causa si troverebbe all’interno della fascia di rispetto prevista dal co. 3, lett. g), dell’art. 17 citato, che indica le “zone umide, laghi naturali ed invasi artificiali e territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia, anche per i territori elevati sui laghi”. Godrebbe perciò della particolare tutela accordata dalle disposizioni sopra richiamate.

Questo assunto è stato disatteso dalla sentenza impugnata sulla considerazione che in presenza della perimetrazione dell’area protetta, operata dalla regione nella cartografia allegata al P.P.R. ex art. 17, co. 3, alinea, l’individuazione del bene da tutelare sarebbe stata operata immediatamente ed esaustivamente dal Piano medesimo, che avrebbe con ciò individuato con certezza l’area sottoposta a vincolo e perciò bisognosa di autorizzazione paesaggistica.

2. Il Collegio non condivide tale prospettazione.

In tema di beni paesaggistici, l’art. 17 delle N.T.A. distingue due categorie: i beni tipizzati e individuati nella cartografia del P.P.R. (co. 3) e i beni che rientrano nell’assetto territoriale ambientale regionale a prescindere dalla specificazione cartografica (co. 4).

Per i primi, dunque, la tutela viene in un certo senso veicolata attraverso una operazione preliminare, costituita precisamente dalla particolare indicazione cartografica.

Per determinare il concreto ambito di tutela di taluni di questi beni è peraltro necessaria una operazione ulteriore. Così la fascia costiera è individuata – e conseguentemente tutelata – attraverso la perimetrazione in cartografia (lett. a).

E’ però arbitrario estendere il requisito e l’efficacia della perimetrazione dalla categoria per cui è espressamente dettata per farla valere con riguardo a un’altra categoria di beni (quelli della lett. g). Anche per determinare l’ambito della tutela accordata a questi ultimi, infatti, non è sufficiente la sola individuazione nel Piano, ma occorre una operazione ulteriore che però è di segno diverso, e non consiste nel rinvio alla perimetrazione cartografica, ma piuttosto nella determinazione – evidentemente rimessa all’interprete o all’operatore – di una fascia di rispetto della profondità di 300 metri, che deve allora ritenersi valere per tutti i beni elencati in tale lettera g).

3. Nessuno degli argomenti addotti in contrario può considerarsi persuasivo:

non la nota 7049/DG in data 9 maggio 2007 del Direttore generale della pianificazione urbanistica della Regione, che riteneva non necessaria l’autorizzazione paesaggistica, perché compito proprio del Giudice amministrativo, nel proprio ambito specifico di competenza, è quello di valutare se provvedimenti, atti e comportamenti delle Autorità pubbliche siano conformi a legge; le circostanze di fatto possono pesare sull’accertamento della responsabilità penale in relazione all’elemento soggettivo del reato (si veda il decreto di archiviazione del G.i.p. di Cagliari, su conforme richiesta del P.M., in data 10 settembre 2010), sono però irrilevanti ai fini di cui è qui causa;

non la preesistenza nell’area di altri e più alti edifici, anche più vicini alla salina, perché – come anche altre volte ha avuto modo di rilevare il Consiglio di Stato (cfr. Sez. VI, 3 marzo 2011, n. 1366, par. 5 in fine) – le aggressioni all’ambiente già per avventura verificatesi non possono di per sé giustificare danni ulteriori, ma sollecitano semmai una tutela particolarmente attenta e puntuale, proprio ad evitare il rischio di deterioramento ulteriore di una situazione già compromessa;

non quanto sarebbe dato leggere nella relazione di accompagnamento al Piano, che non vale certo come interpretazione autentica e per la quale non possono applicarsi certo criteri difformi da quelli, comunemente accettati, che, nell’interpretazione delle disposizioni legislative, negano ruolo determinante ai lavori parlamentari e in generale agli elementi extratestuali;

non il rilievo semantico, secondo cui la “battigia” sarebbe incompatibile con le zone umide, sicché l’inciso “territori contermini compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia“ non potrebbe essere riferito anche a quelle zone. L’argomento prova, come suol dirsi, troppo. In disparte la considerazione che, secondo qualificati dizionari, la battigia è propria solo del mare, resta il fatto che, poiché il termine indica lessicalmente il luogo dove battono le onde, esso potrebbe essere propriamente riferito ai soli “laghi naturali”, non anche a quegli “invasi artificiali” a cui l’inciso sopra riportato fa immediatamente seguito.

4. In difetto di convincenti argomenti in contrario, sembra dunque preferibile ritenere che la fascia di rispetto di cui si è detto valga per tutti i territori elencati nella lett. g). La quale conclusione, peraltro, è anche quella che – in un quadro generale di sistema, che voglia leggere le singole disposizioni alla luce del complesso tessuto normativo nel quale vengono a inserirsi – appare la più coerente con la norma costituzionale (rientrando l’art. 9 Cost., sulla tutela del paesaggio, tra i principi fondamentali) e con la normativa internazionale di settore (giacché l’art. 2 della Convenzione sulle zone umide di importanza internazionale, firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971 e successivamente ratificata e attuata nel nostro Paese, precisa che “i confini di ogni zona umida … potranno includere delle zone rivierasche o costiere contigue alla zona umida”).

E’ ben vero che le zone umide, come quelle che qui vengono discorso, possono porre in concreto problemi di effettiva determinazione delle relative fasce di rispetto, nella misura in cui non sono dotate di confini fissi e precisamente determinati. Ma a ben vedere – e a parte che “adducere inconveniens non est solvere argumentum” – problemi analoghi si pongono per qualunque area caratterizzata dalla presenza di acque: per le coste (in relazione alle alle quali la lettera a) rinvia appunto alla perimetrazione), per i laghi naturali e artificiali come pure i fiumi, torrenti e corsi d’acqua (per cui le lett. g) e h) adoperano il criterio della fascia di rispetto). Ciò dimostra dunque che, semmai, proprio l’impossibilità di una precisa delimitazione di tali aree giustifica il ricorso alla integrazione operata con la fascia di rispetto.

D’altra parte, la questione se la fascia dei 300 metri sia o no rispettata va impostata non in astratto, ma con riguardo alla specifica situazione effettuale. Nel caso di specie – come appare dalle perizie in atti – si è a lungo controverso sul punto se il nuovo edificio fosse a distanza (di poco) superiore o inferiore ai 100 metri dalle saline; in questo grado la difesa della Regione contro interessata, nella memoria del 27 gennaio 2012, ha dichiarato – con affermazione non contestata – che l’edificio da costruire è “posto a 60 metri .…. dall’invaso del Molentargius”. L’invasione della fascia di rispetto risulta per tabulas.

5. Esaminata così la prima censura dell’appello, occorre prendere in considerazione il corrispondente motivo dell’appello incidentale.

Nei riguardi dell’appello incidentale, anzitutto, l’appellante principale muove una eccezione di irricevibilità e una eccezione di inammissibilità, che occorre preliminarmente valutare.

Quella di irricevibilità è una eccezione pro forma, che infatti l’appellante principale si limita ad accennare. Risulta infatti dagli atti che tale appello è stato affidato al servizio postale per la notifica il 14 giugno 2008, sicché la data del 1° giugno, indicata nell’appello incidentale come quella di avvenuta notifica, non può che essere il frutto di un refuso. Dalla relazione di notifica di tale appello incidentale e dalla fotocopia allegata delle ricevute delle relative raccomandate appare che la spedizione ha avuto luogo il successivo 14 giugno, quindi in termini del tutto tempestivi.

Sostiene inoltre l’Onali che l’appello principale sarebbe peraltro inammissibile perché riprodurrebbe un ricorso incidentale a sua volta tardivamente proposto dinanzi al T.A.R. I vizi dedotti atterrebbero direttamente alla vocazione edificatoria del fabbricato; sarebbero perciò tipici di una impugnativa in via principale del provvedimento in contestazione; per alcuni di essi non sarebbe provata l’esistenza di un interesse qualificato alla contestazione.

L’eccezione non ha pregio, giacché è irrilevante la circostanza che il contenuto dell’appello incidentale possa ripetere quello di un precedente autonomo ricorso. Quello che conta è che mediante tale appello incidentale la Progetto casa intende far valere ragioni che sterilizzerebbero il contrastato appello principale: l’interesse qualificato dell’appellante incidentale è perciò del tutto evidente.

6. Sotto questo profilo, la Società chiede l’annullamento dell’art. 17, co. 3, lett. g) delle N.T.A. così argomentando:

il Piano trova la sua base normativa della legge regionale n. 8 del 2004, che – all’art. 1, co. 1 – lo definisce “principale strumento della pianificazione territoriale ….. al fine di assicurare un’adeguata tutela e valorizzazione del paesaggio”;

la legge regionale non ne delimita i contenuti se non con il richiamo al codice;

il Piano potrebbe considerarsi legittimo solo se conforme alle prescrizioni contenute nel codice: potrebbe perciò prevedere una tutela minore rispetto e quella apprestata dal codice stesso, non una tutela maggiore, sottoponendo a vincolo beni non vincolati dal medesimo codice;

l’art. 142, co. 1, del codice, nell’elencare le aree di interesse paesaggistico tutelate per legge, indica – alla lett. i) – “le zone umide incluse nell’elenco previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 13 marzo 1976, n. 448”;

aggiunge al co. 2 (si intenda: nel testo vigente all’epoca e dunque prima delle modifiche introdotte dall’art. 2 del decreto legislativo 26 marzo 2008, n. 63) che “non sono comprese tra i beni elencati nel comma 1 le aree che alla data del 6 settembre 1985:

a) erano delimitate negli strumenti urbanistici come zone A e B”;

l’area oggetto della concessione edilizia impugnata rientra pacificamente nella zona B;

ne seguirebbe l’illegittimità della richiamata disposizione delle N.T.A. per contrasto con la normativa statale di riferimento;

la illegittimità sarebbe inoltre dovuta a ciò, che il codice sottopone a tutela le sole zone umide e non anche i territori contermini;

anche sotto tale profilo la normativa regionale andrebbe oltre i limiti di quella dello Stato e sarebbe pertanto illegittima.

7. Il motivo dell’appello incidentale, riassunto nei termini che precedono, non è fondato.

Anche a ritenere che la tutela accordata alle zone umide dal più volte richiamato art. 17, co. 3, lett. g), delle N.T.A. sopravanzi i confini di quella statale, non perciò ne seguirebbe la illegittimità della disposizione in discorso.

La questione va impostata in primo luogo con riferimento alle competenze in materia paesaggistica della Regione Sardegna, che devono considerarsi ormai compiutamente individuate dalla Corte costituzionale con la sentenza 6 – 10 febbraio 2006, n. 51.

A tale proposito, la Corte ha ritenuto che la Regione Sardegna dispone, nell’esercizio delle proprie competenze statutarie in tema di edilizia ed urbanistica, anche del potere di intervenire in relazione ai profili di tutela paesistico-ambientale. Ciò sia sul piano amministrativo che sul piano legislativo (in forza del cosiddetto “principio del parallelismo” di cui all’art. 6 dello statuto speciale), fatto salvo, in questo secondo caso, il rispetto dei limiti espressamente individuati nell’art. 3 del medesimo statuto in riferimento alle materie affidate alla potestà legislativa primaria della Regione (l’armonia con la Costituzione e con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali, nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica).

D’altronde lo stesso art. 8 del codice fa salve le potestà attribuite alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e Bolzano dagli statuti e dalle relative norme di attuazione.

E infine, proprio in relazione all’art. 142 del codice, la Corte costituzionale ha nei giorni scorsi ribadito – con affermazione dettata per le Regioni a statuto ordinario, e quindi ancor più valida per quelle dotate di una specifica e differenziata competenza legislativa, garantita sul piano costituzionale – che la legislazione regionale può “fungere da strumento di ampliamento del livello della tutela del bene protetto”, cosicché quel che rimane inversamente precluso al legislatore regionale è solo l’introduzione di restrizioni all’ambito della tutela (sentenza 19 – 23 marzo 2012, n. 66; e ancor prima sentenza 18 – 29 maggio 2009, n. 164, relativa a una norma legislativa della Valle d’Aosta, ma con enunciazioni di portata generale).

Dal canto suo l’art. 134 del codice, nel testo vigente al 2007 (in quanto introdotto dalle modifiche apportate nel 2006 al testo originario e precedente a quelle del 2008, che hanno condotto alla formulazione ora in vigore), qualifica come “beni paesaggistici:

a) gli immobili e le aree indicati all’articolo 136, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141;

b) le aree indicate all’articolo 142;

c) gli immobili e le aree tipizzati, individuati e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156”.

Tale disposizione fa sistema con quelle:

dell’art. 135 che, in tema di pianificazione paesaggistica, prevede che “i piani paesaggistici, in base alle caratteristiche naturali e storiche, individuano ambiti definiti in relazione alla tipologia, rilevanza e integrità dei valori paesaggistici” (testo del 2006);

dell’art. 143 che, nel disciplinare le fasi di elaborazione del piano paesaggistico, prevede tra l’altro la “tipizzazione ed individuazione, ai sensi dell’articolo 134, comma 1, lettera c), di immobili o di aree, diversi da quelli indicati agli articoli 136 e 142, da sottoporre a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione” (lett. i; testo del 2006).

Ne discende che i piani paesaggistici regionali, lungi dall’assolvere una funzione meramente ricognitiva dei beni paesaggistici individuati ex lege, adempiono un ruolo autonomo di individuazione del beni stessi.

D’altronde, proprio in una controversia relativa alla Regione Sardegna, questo Giudice ha avuto modo di affermare che il piano paesaggistico può – ai sensi degli artt. 134, lett. c), e 143 del codice – direttamente qualificare come beni paesaggistici aree ulteriori rispetto a quelle dichiarate tali in via amministrativa o ex lege, purché con un valore specifico da tutelare (Cons. Stato, VI Sez., 3 marzo 2011, n. 1366). Né appaiono plausibili ragioni per discostarsi, in questa sede, da quel meditato e articolato precedente.

8. E’ quindi conforme a legge l’art. 17, co. 3, lett. g) delle N.T.A. al P.P.R. della Regione Sardegna anche se letto – come il Collegio ritiene si debba – nel senso di accordare la tutela paesaggistica alla fascia compresa nei trecento metri dal confine della zona umida. Così disponendo la Regione ha operato in maniera del tutto ragionevole, sull’evidente presupposto che le zone umide, al pari di altre aree caratterizzate dalla presenza di acque, meritino di essere tutelate anche con il riconoscimento di una fascia di rispetto. Neppure può valere in contrario quanto dispone l’art. 142, co. 2, del codice. Infatti è irrilevante la circostanza che l’area oggetto della concessione si trovi in zona B e quindi non sia compresa negli elenchi del precedente comma 1: ciò sia per la ricordata capacità espansiva del Piano, rispetto alle previsioni di legge, nell’individuare i beni paesaggistici oggetto di tutela; sia perché – ai sensi dell’art. 145 del codice – il piano paesaggistico è cogente e immediatamente prevalente sulla strumentazione della programmazione urbanistica degli enti locali (co. 3).

Ferma dunque restando in linea principio la necessità dell’autorizzazione paesaggistica richiesta dall’art. 146 del codice per le trasformazioni da compiersi nelle aree in questione, ne rimangono escluse – per effetto dell’art. 18, co. 2, delle N.T.A. – le sole opere previste dall’art. 149 del codice stesso, nessuna delle quali ha però attinenza con la fattispecie in esame, nella quale – come più volte detto – si controverte di una concessione edilizia comportante la demolizione di un edificio preesistente e la costruzione di un edificio nuovo, con maggior numero di piani e maggiore volumetria. Non si tratta certo di interventi inerenti l’esercizio dell’attività agro-silvo-pastorale, né di taglio colturale o similia; ma neppure di “interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo” che, per essere tali ai fini della disposizione citata, non devono alterare “lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici”.

9. Non hanno poi fondamento le censure relative alla supposta illegittimità della procedura di adozione del Piano, perché i vizi denunciati rientrano nella fisiologia di vicende del genere (mancata coincidenza tra i contenuti della proposta e quelli del Piano definitivo) e non ha peso l’asserito ruolo minoritario dell’Assessorato alla pubblica istruzione (che peraltro – come ricorda lo stesso appellante incidentale – la delibera della Giunta regionale di approvazione del Piano, in data 5 settembre 2006, richiama in relazione all’avvenuto concerto).

10. Infine, quanto alle questioni di legittimità costituzionale evocate in via subordinata dall’appellante incidentale, con riguardo alla normativa primaria applicabile alla controversia, deve dirsi che queste sono tutte formulate in modo estremamente generico e sono pertanto inammissibili, in relazione sia alla legge regionale n. 8 del 2004 (è censurata la violazione degli artt. 23, 41 e 42 Cost.; la questione sarebbe inoltre irrilevante, poiché il Piano paesaggistico trova fondamento nella legge dello Stato); sia al codice più volte citato (violazione dell’art. 76 Cost. per violazione della norma interposta: eccederebbe dalla delega apportando non consentite ulteriori restrizioni alla proprietà privata); sia alla legge di delegazione (violazione diretta dell’art. 76 Cost. con riguardo a una supposta sostanziale inesistenza di criteri direttivi).

11. In definitiva, la concessione edilizia impugnata in primo grado è illegittima per essere stata rilasciata in assenza di quella autorizzazione paesaggistica che “costituisce atto autonomo e presupposto del permesso di costruire o degli altri titoli legittimanti l’intervento edilizio” e in difetto della quale “i lavori non possono essere iniziati” (art. 146, co. 9, del codice, testo 2006).

12. Il primo motivo dell’appello è perciò fondato e va di conseguenza accolto, con assorbimento dei rimanenti motivi.

Alla luce della complessità delle questioni, sussistono peraltro giustificati motivi per compensare tra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado.

Compensa le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 28 febbraio e 27 marzo 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore

     
     
L’ESTENSORE   IL PRESIDENTE
     
     
     
     
     

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 16/04/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

Molentargius, impianti salinieri

(foto S.D., archivio GrIG)

  1. fabio
    giugno 3, 2012 alle 10:38 PM

    cosa comporta ? non si possono costruire palazzi o strutture nella fascia di 300 metri (in linea d’aria? ) dalle zone umide neache se “catalogate” come residenziali?

    • giugno 3, 2012 alle 10:50 PM

      comporta che quelle aree sono in ogni caso tutelate con vincolo paesaggistico e qualsiasi modifica dev’essere preventivamente autorizzata, salvo divieto di alcuna modifica, secondo normativa di piano.

  2. icittadiniprimaditutto
    giugno 3, 2012 alle 11:34 PM

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  3. Juri
    giugno 4, 2012 alle 10:07 am

    Ci sono altre edificazione in corso intorno alle saline-Molentargius che alla luce di questa pronuncia vedono il loro titolo abilitativo vacillare? Penso ad esempio a quel palazzone in costruzione nei pressi di via Fleming, che dista circa 160 mt dallo stagno di Sa Perda Bianca..

  4. fabio
    giugno 5, 2012 alle 9:06 PM

    quindi a meno di 300 metri dalle lagune è equiparato alle spiaggie ? e volevo capire come riescono allora a riempiere gli arenili di chioschi in legno e strutture che rimangono li inverno e estate (quindi di temporaneo non hanno nulla? ) senza valutazione paessagistica ?

  5. fabio
    giugno 6, 2012 alle 2:19 PM

    al lazzaretto la vostra denunica non ha portato a nulla … siamo nel 2012 i chioschi sono li e continuano ad allargare parcheggio togliendo pian piano macchia mediterranea… Come mai le denunce non hanno sortito effetto ???

    • giugno 6, 2012 alle 5:42 PM

      sei sei in grado di documentare ulteriori abusi rispetto a quelli già denunciati e sanzionati, mandaci foto e quant’altro può essere utile all’indirizzo e-mail grigsardegna5@gmail.com.
      Quando poi saremo in grado di prevedere il futuro e, magari, saremo dotati di bacchetta magica, ti avvertiremo. 😉

      • fabio
        giugno 6, 2012 alle 11:06 PM

        basta andare e vedere come la “macchia ” sparisce e il parcheggio cresce …
        non commento la parte ironica della vostra risposta forse pensate che sia una risposta … basta dire se eravate informati dello stato delle cose..

  6. giugno 6, 2012 alle 11:15 PM

    allora, Fabio, non possiamo che confermarti quanto detto prima: se sei in grado di documentare ulteriori abusi rispetto a quelli già denunciati e sanzionati, mandaci foto e quant’altro può essere utile all’indirizzo e-mail grigsardegna5@gmail.com.
    Le tue domande retoriche hanno risposta nella domanda stessa.

  7. luglio 17, 2012 alle 3:00 PM

    la dice lunga sulla volontà “non cementificatrice” della Giunta Cappellacci.

    da La Nuova Sardegna, 17 luglio 2012
    Zone umide: la Regione «boccia» i giudici. In contrasto col Consiglio di Stato la Giunta decide che si può costruire entro i 300 metri dalla battigia. (Mauro Lissia): http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_231_20120717083002.pdf

    • luglio 24, 2012 alle 3:01 PM

      roba da magliari.

      Ecco la deliberazione Giunta regionale n. 25/15 del 12 giugno 2012 (http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_274_20120620174945.pdf), con la quale l’Esecutivo decide:

      “- di interpretare autenticamente, nelle more della definizione dell’iter di approvazione del
      suddetto disegno di legge, la lettera g), comma 3, dell’articolo 17 delle norme di attuazione del piano paesaggistico regionale nel senso che la fascia della profondità dei 300 metri dalla linea di battigia è da riferirsi esclusivamente ai laghi naturali e agli invasi artificiali, come già stabilito negli atti ed elaborati del piano paesaggistico regionale;

      − di stabilire che l’articolo 17, comma 3, lettera g) delle norme di attuazione del piano
      paesaggistico regionale, come interpretato ai sensi del precedente punto, si applica con effetti retroattivi ai titoli abilitativi rilasciati a decorrere dal 24 maggio 2006, data di adozione del piano paesaggistico regionale e che i Comuni sono tenuti ad adottare i necessari atti
      conseguenti”.

  1. luglio 30, 2013 alle 11:04 PM
  2. luglio 31, 2013 alle 11:54 am

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