Carbone ecosostenibile? Oggi è una chimera.
Nel maggio 2008 veniva inaugurato presso la Miniera di Serbariu, a Carbonia, il Centro di ricerche sulla tecnologia per l’utilizzo eco-compatibile del carbone. I tanti presenti, fra cui l’allora Presidente della Regione autonoma della Sardegna Renato Soru, sottolineavano l’ottimismo che accompagna l’attuale fase di ricerca. Ancor oggi l’attuale Amministrazione regionale Cappellacci insiste con l’ottimismo.
Noi lo eravamo e lo siamo un po’ meno.
Infatti, uno dei più importanti giornalisti scientifici internazionali, Mark Hertsgaard, ha commentato per L’Espresso i recenti risultati delle ricerche scientifiche sui cambiamenti climatici e l’uso del carbone. In particolare l’articolo pubblicato sulla rivista telematica http://arxive.org/ di James Hansen, scienziato N.A.S.A. fra i padri delle ricerche sui cambiamenti climatici. La conclusione è drastica: chiusura delle miniere di carbone e moratoria internazionale sulle centrali a combustibili fossili.
La Cina appare la principale responsabile degli attuali e futuri rischi per la Terra, a causa del suo programma di utilizzo massiccio del carbone, ma, nel nostro piccolo, anche la Sardegna fa la sua parte.
Si insiste nell’utilizzo del carbone Sulcis e nella prospettiva di un suo utilizzo pulito, sequestrandone le emissioni di anidride carbonica (Co 2), fra i principali responsabili dei cambiamenti climatici. La Sotacarbo s.p.a. (proprietà ENEA e Regione autonoma della Sardegna, ambedue al 50 %) è fra i principali animatori di questa politica energetica. Politica di utilizzo del carbone Sulcis pesante in termini ambientali e molto costosa in termini finanziari. Ma la tecnologia per il sequestro di Co 2è lungi dall’esser ora attuabile e, quando lo sarà, sarà forse troppo tardi per le condizioni climatiche del Pianeta.
Facevano riflettere, in particolare, alcune dichiarazioni del Presidente Soru: «Un elemento mi ha colpito, la centrale elettrica che marciasse a carbone rilascerebbe nell’atmosfera 3 milioni e 500 mila metri cubi di anidride carbonica. Ma è esattamente la stessa quantità di emissioni prodotte a Sarroch, dove si bruciano rifiuti provenienti da ogni dove. E allora, siamo sciocchi a difendere l’utilizzo dei rifiuti, a schierarci a favore di quel tipo di centrali e combattere il carbone. Occorre abbattere i pregiudizi, raccontare in maniera chiara qual è la situazione. Non possiamo pagare per i rifiuti che arrivano da altri paesi, e non guardare invece al carbone che è una nostra ricchezza» (vds. La Nuova Sardegna, 18 maggio 2008). Il parallelismo con le emissioni degli impianti del gruppo Saras di Sarroch (complessivamente 7.390 tonnellate annue nel 2007, cioè 6.970 tonnellate annue dalla raffineria + 420 tonnellate annue IGGC, dati Saras – rapporto ambiente e sicurezza 2007) dovrebbe indurre proprio ad una conclusione opposta: basta e avanza l’inquinamento dell’aria e climatico, il carico di morbilità sulla popolazione, prodotti direttamente e indirettamente da un impianto frutto di scelte poco accorte di dieci anni fa.
Scelte assolutamente da non difendere. Che vogliamo fare ora, peggiorare la situazione?
Ci pensa, però, la Commissione europea a bagnare il carbone degli entusiasti. Demolisce il progetto integrato miniera-centrale-cattura CO2 (1,5 miliardi di euro di investimenti complessivi), “perché i documenti presentati da Regione e Governo sono giudicati incompleti, volutamente confusi, con cifre messe quasi a casaccio e non giustificate” (vds. La Nuova Sardegna, 1 ottobre 2011).
Qualcuno pagherà per questo?
Gruppo d’Intervento Giuridico
da La Nuova Sardegna, 1 ottobre 2011
Carbosulcis, l’Ue demolisce il progetto CO2. «Documenti confusi». Ma intanto vengono sbloccati 55 milioni per evitare il fallimento. Cattura dell’anidride carbonica, un piano da un miliardo e mezzo. Giuseppe Centore
CAGLIARI. Una buona e una pessima notizia per Carbosulcis, alle prese con tensioni in fabbrica e inchieste giudiziarie che non lasciano presagire nulla di buono per i prossimi mesi. La notizia buona è che sono stati sbloccati 25 milioni assegnati, ma non erogati, da otto anni. La pessima notizia arriva, sotto forma di lettera ufficiale, dall’Unione Europea: il progetto integrato centrale+miniera+cattura della anidride carbonica nel sottosuolo è congelato perché i documenti inviati a Bruxelles sono a dir poco pasticciati. La lettera è nelle mani della Regione da giorni ma non è stata resa pubblica viste le severe critiche all’intero progetto. Per fortuna ci sono i 25 milioni, relativi a otto anni fa, che sono stati sbloccati e alleggeriranno le casse di Carbosulcis. In realtà di quella somma l’azienda ne ricaverà solo 18, perché quasi 7 se ne sono andati in interessi passivi per anticipazioni bancarie e per una milionaria polizza fidejussoria; ma è meglio di nulla, anche perché quella somma era già iscritta a bilancio. Lo stesso è accaduto per altri 30 milioni che verranno accreditati entro l’anno, come dicono autorevoli fonti regionali. Ma non sono soldi in più per far sopravvivere la miniera: sono soldi già spesi, che servono però a evitare il fallimento. Ma è da Bruxelles che arrivano le peggiori notizie. Gli uffici della Direzione Concorrenza, in sei stringate paginette, demoliscono il progetto integrato miniera-centrale-cattura CO2, ma non perché questo non abbia un senso, del resto la stessa Europa ha aperto linee di finanziamento poderose per questi avveneristici programmi (in Italia c’è solo Enel in campo, con l’impianto di Porto Tolle in Veneto), quanto piuttosto perché i documenti presentati da Regione e governo sono giudicati incompleti, volutamente confusi, con cifre messe quasi a casaccio e non giustificate (e non sono bruscolini, l’intervento globale è di 1,5 miliardi di euro). Chi ha letto la letteraccia di Bruxelles, che forse in queste ore è sulla scrivania di Cappellacci e dell’assessore Zedda, ha notato un tono quasi irriverente degli uffici comunitari, con domande che presuppongono addirittura la malafede delle istituzioni locali e nazionali nel presentare cifre generiche con l’intento recondito (certo non voluto da Roma e Cagliari, ma vallo a spiegare a Bruxelles…) di strappare fondi, pari a centinaia di milioni di euro, per reggere una centrale e una miniera che altrimenti dovrebbero chiudere perché non economicamente sane. Insomma, Bruxelles ci accusa, non velatamente, di aver gonfiato le cifre per far rientrare nei costi del progetto CO2 anche il finanziamento di miniera e centrale. Ma al di là del severissimo monito comunitario, con obbligo di risposta entro il mese, il punto è che l’intero progetto si regge su una premessa allo stato non credibile: la disponibilità di un privato a investire. La gara per la privatizzazione doveva essere fatta entro l’anno: ci sarà sicuramente una richiesta di rinvio, per tutto il 2012, legata anche alla difficoltà nel trovare partner industriali, di livello mondiale, in grado tecnicamente e finanziariamente di imbarcarsi in una avventura, nel vero senso della parola, del genere. Eppure solo pochi giorni fa il governo, per bocca del sottosegretario Saglia, aveva risposto a una interrogazione del deputato Pdl Mauro Pili assicurando «l’impegno del governo a livello comunitario per l’approvazione del progetto…» Un impegno che però non si è tradotto in un accompagnamento, politico e persino materiale, del dossier. Altri stati, tra tutti i baltici, per ogni dossier di pregio occupano Bruxelles con delegazioni agguerrite formate da più ministri. Noi ci affidiamo agli uffici di rappresentanza, sperando nello stellone. Con questi risultati.
da L’Espresso, 22 settembre 2011
Il dilemma del carbone_22 settembre 2011
da L’Espresso, 9 maggio 2008
Senza frontiere. Il carbone ci ucciderà. Bisogna chiudere le miniere e non costruire più centrali a combustibile fossile. Altrimenti sarà la fine. Mark Hertsgaard
La prossima estate saranno trascorsi 20 anni da quando James Hansen, scienziato della Nasa, si prodigò affinché la questione del cambiamento climatico fosse inserita nell’agenda internazionale, testimoniando davanti al Senato degli Stati Uniti che il riscaldamento globale causato dall’uomo aveva già avuto inizio. Fino a quel momento – dichiarò Hansen – l’aumento della temperatura era ancora modesto, ma qualora non si fosse proceduto tempestivamente a ridurre le emissioni di biossido di carbonio (CO2) e di altri gas serra, sarebbe diventato un pericolo. La comunità internazionale sentì, ma non passò all’azione. Hansen ha appena elaborato con altri esperti un nuovo studio che ancora una volta esorta a intervenire: pubblicato il mese scorso sulla rivista online ‘arXive.org’, questo studio sostiene che le emissioni globali di gas serra debbano essere ridotte molto più radicalmente di quanto qualsiasi governo, gruppo di industriali, e perfino ambientalisti, abbia finora ipotizzato. Hansen e gli altri autori dello studio sostengono che gli esseri umani devono diminuire le concentrazioni di biossido di carbonio nell’atmosfera terrestre, portandole a 350 parti per milione (ppm) o meno ancora. In caso contrario, dicono, ci saranno esigue speranze di evitare un irreversibile scioglimento delle calotte polari con il conseguente probabile innalzamento del livello dei mari di 25 metri, con la maggior parte delle città del pianeta spazzate via dalle acque. Le implicazioni politiche sono enormi: più e prima di ogni altra cosa, le emissioni da carbone – il combustibile fossile più usato, più economico e più inquinante – devono cessare completamente. “È opportuna una moratoria internazionale sulla costruzione di impianti energetici tradizionali alimentati a carbone entro il 2010 e una progressiva eliminazione degli stessi entro il 2030″, ha detto Hansen in un’intervista prima di aggiungere che l’addio al carbone “deve essere globale”. Ciò significa che anche Cina e India vi dovranno rinunciare, pur avendo asserito che per loro bruciare ingenti quantità di carbone è vitale per salvare dalla povertà le rispettive popolazioni. Il nostro pianeta ha già superato la soglia proposta da Hansen di 350 parti di CO2 per milione: il livello attuale, infatti, è di 385 ppm. Lo scienziato afferma che un periodo di superamento della soglia è inevitabile, ma dovrà essere il più breve possibile: “Se elimineremo progressivamente ma completamente il carbone entro il 2030 e se promuoveremo migliori pratiche agricole e di selvicoltura, potremo tornare ai 350 ppm entro il 2100”. La buona notizia è che togliere dalla circolazione il carbone non è più così impensabile come si riteneva un tempo. Il ricorso al carbone è già ora in rapido declino negli Stati Uniti, dove molti impianti energetici alimentati a carbone sono stati chiusi l’anno scorso in seguito a precise disposizioni in merito di tribunali o del governo, o dopo le proteste dell’opinione pubblica e le preoccupazioni di Wall Street sulla possibile futura redditività del carbone. In controtendenza, invece, i paesi europei stanno programmando di costruire nei prossimi cinque anni 50 nuove centrali elettriche a carbone e la sola Italia conta di aumentare la propria dipendenza dal carbone dall’odierno 14 per cento del fabbisogno energetico complessivo al 33 per cento. Ma il terreno di battaglia fondamentale è la Cina, il cui programma energetico alimentato a carbone è tale da rendere quello dell’Europa pressoché insignificante. Hansen tuttavia è ottimista: “Il carbone sta rendendo l’aria della Cina la più inquinata e irrespirabile del mondo: dobbiamo dimostrarle che è possibile invertire la situazione”. Coloro che continuano a consigliare il carbone affermano che è possibile ’sequestrare’ le emissioni di CO2 e interrarle dove non avranno alcun effetto sull’atmosfera. In realtà la tecnologia necessaria alla cattura e al sequestro del biossido di carbonio è lontana una decina di anni almeno dall’attuabilità e non ci sono certezze assolute che possa funzionare. Un’alternativa più rapida, più economica, più affidabile, consisterebbe nell’investire nell’efficienza energetica fino ad arrivare a un futuro sfruttamento dell’energia solare. Se la Cina installasse boiler, motori e altre tecnologie più efficienti già disponibili potrebbe adesso consumare e bruciare il 50 per cento in meno di carbone. Un articolo pubblicato di recente su ‘Scientific American’ lascia intendere che l’energia termosolare potrebbe far fronte al fabbisogno Usa di energia elettrica, se si realizzassero linee di trasmissione adeguate. Hansen – che dal punto di vista politico si considera un conservatore – punta il dito contro gli interessi particolari, responsabili di ostacolare l’adozione di queste soluzioni energetiche verdi e di altre: “Non vi è una sola ragione al mondo per la quale sia impossibile effettuare i cambiamenti necessari, se non quella che le industrie dei combustibili fossili influiscono sulle politiche di governo”. Aggiungendo subito dopo: “Credo però che ben presto lo scioglimento delle calotte polari terrorizzeràa tal punto gli esseri umani da indurli a ribellarsi a questa industria e a far sì che il carbone resti dove si trova, sottoterra”.
traduzione di Anna Bissanti
(foto da
Sardegna Digital Library, Flickr, S.D., archivio GrIG)
da La Nuova Sardegna, 5 ottobre 2011
Carbosulcis, indagati i vertici. Nell’inchiesta per abuso d’ufficio compare l’ex presidente Baldinucci. (Giuseppe Centore)
NURAXI FIGUS. L’inchiesta sulla Carbosulcis, sui suoi dirigenti e su alcune ditte fornitrici, è a una svolta. Nelle prossime settimane il Nucleo di Polizia tributaria del comando regionale della Guardia di Finanza, consegnerà al magistrato che ha l’inchiesta, il sostituto procuratore Gaetano Porcu, un voluminoso dossier che raccoglie tutti gli elementi che per gli investigatori giustificherebbero una richiesta di rinvio a giudizio per un consistente numero di indagati: non solo i tre conosciuti ma anche altri. Indagati anche coloro che hanno occupato i posti apicali dell’azienda dal 2004 ad oggi. Tra questi sicuramente l’ex presidente Marco Baldinucci.
Formalmente si conosce solo l’accusa per i tre indagati: Paolo Musso, titolare della Comec e della Comatec, il responsabile del servizio acquisti di Carbosulcis, Mauro Cicilloni e il direttore amministrativo della miniera Giancarlo Cro. Per loro il reato ipotizzabile al momento è abuso d’ufficio, ma secondo indiscrezioni che al momento non trovano conferme a questo dovrebbero sommarsi altri reati. L’indagine è partita da un esposto firmato da un dipendente, poi è esplosa lo scorso anno quando la Finanza si è presentata in azienda chiedendo le fatture di tre anni emesse per quattro aziende: Comec, Cometec, Sandwick e Fimetec; tutte legate al sistema delle forniture industriali; solo le prime due, entrambe dell’imprenditore Paolo Musso hanno fatturato circa 2,3 milioni di euro l’anno. I militari se ne andarono con 40mila fotocopie; in seguito tornarono per cercare altri documenti. Gli investigatori hanno dovuto districarsi in un vero ginepraio; prima di essere pagata la fattura, sia relativa a un chiodo che a una macchina speciale per tagliare la vena del minerale, ha bisogno di una ventina di passaggi, tutti documentati; dalla richiesta del tecnico, al visto del direttore della miniera, al via libera dall’ufficio acquisti, alla scelta del miglior prezzo e poi per i diversi passaggi di pagamento sino all’emissione della fattura. I finanzieri hanno lavorato a lungo diventando così specialisti nella gestione amministrativa di una miniera. Impossibile sapere le loro conclusioni, ma è più che probabile che abbiano trovato un quadro tutt’altro che preciso come un orologio svizzero. La politica delle scorte e del magazzino sembrava rispondere a esigenze estranee a quelle di una corretta gestione, per quanto l’imprevedibilità di questo ambiente di lavoro obblighi, ad esempio, ad avere ampie scorte di costose resine per mettere in sicurezza le gallerie, anche se la loro efficacia dura solo sei mesi. Altri settori tutto sommato minori, come i trasporti, la vigilanza, la mensa e l’acquisto di medicinali hanno attirato l’attenzione dei finanzieri, ma sarebbero poi stati accantonati. Attenzione naturalmente ai conti e allo stile di vita degli indagati, ma non è possibile sapere cosa i finanzieri abbiano trovato. Ma non sono infatti queste le curiosità che hanno attirato l’attenzione degli investigatori bensì altre, più tecniche, come i perni, i filtri, gli olii, i sedili per i mezzi. Minutaglia e spese per poche decine di euro? Tutt’altro. Intanto è emersa una confusione elevata tra reparti, per cui lo stesso pezzo acquistato da due settori diversi aveva prezzi ben diversi, perché comprato da diverse ditte, e in un caso sproporzionati. Gli esempi non mancano: pezzi di ricambio semplici con differenze di costi di diverse centinaia di euro l’uno, se comprati dalla ditta originale, con l’intermediario o se acquistati in loco. Piccoli pezzi in plastica, costruibili con un qualsiasi tornio, da 15 euro l’uno; staffette in metallo non pregiato, di quelle che si trovano ai brico-center, da 150 euro ciascuna. Se gli acquisti sono per centinaia di pezzi l’impegno finanziario globale diventa quantomeno significativo e i margini salgono. Qualcuno ha volutamente gonfiato i prezzi? Su questo si sono appuntate le attenzioni dei finanzieri, che cercano anche di capire perché le macchine in sottosuolo di Carbosulcis perdono così tanto liquido dei circuiti idraulici da obbligare l’azienda ad acquistare più di una tonnellata l’anno di olio speciale. Insomma, una gestione “allegra” degli acquisti.
Ma c’è solo questo? In realtà le indagini hanno riguardato anche aspetti come l’uso delle auto e del personale destinato ai dirigenti usati per motivi non di istituto, e il complesso sistema di fatturazione tra Carbosulcis, l’azienda tedesca venditrice delle macchine e dei pezzi di ricambio e la sua filiale locale. Da ultimo la decisione di smaltire in discarica materiale ancora imballato perché ritenuto non usabile; non pochi pezzi ma decine di tonnellate di materiale, per la gioia dello smaltitore che è stato pure pagato per quel ben di dio. Complessivamente i finanzieri avrebbero messo sotto osservazione movimenti sospetti per 3,5 milioni di euro.
In coda, ma non perché meno importante la vicenda dei sedili di alcuni mezzi: acquistati prima a 5mila euro l’uno poi regalati quando si è scoperto che analoghi pezzi di ricambio si trovavano su internet a 500 euro. Una storia che ricorda tanto quella dei sedili del water degli aerei antisommergibili Usa, comprati dal Pentagono a 640 dollari, 26 anni fa. Allora scoppiò lo scandalo, come per i martelli per i sottomarini atomici a 1000 dollari l’uno (erano assolutamente normali).
In America dopo le risate caddero diverse teste, e, come per incanto il costo dei pezzi di ricambio diminuì di colpo. Accadrà lo stesso anche per la più povera Carbosulcis?
In Cina, infatti, aumento del 70% di malformazioni fetali in 15 anni (
http://www.theepochtimes.com/n2/china-news/birth-defects-in-china-jump-70-percent-in-15-years-62399.html )
da la Nuova Sardegna, 18 giugno 2012
Carbosulcis, i perché di una lenta agonia. Non arriva il sì dell’Unione europea al “progetto integrato”, le perdite crescono e nessuno sa bene che cosa fare. (Umberto Aime): http://lanuovasardegna.gelocal.it/regione/2012/06/18/news/carbosulcis-i-perche-di-una-lenta-agonia-1.5281837
da La Nuova Sardegna, 29 agosto 2012
Clini: «Il progetto? Il contesto è difficile».
Da ministro ed Enel (che interviene dopo un lungo silenzio) dichiarazioni di grande cautela sulle speranze di ripresa. (Giuseppe Centore)
CAGLIARI. Le notizie, per un giorno arrivano dalla penisola, da Venezia e da Roma, e, pur a distanza di qualche settimana da Bruxelles. E non sono positive; per bene che vada si possono definire neutre, ma vista la delicatezza della vertenza non sono quelle che ci si aspettava. Il governo. Il ministro dell’Ambiente Corrado Clini usa l’aggettivo “difficile” per il progetto della cattura della Co2 nel Sulcis. La causa? Il «contesto». Per le miniere della Carbosulcis «il contesto rende difficile sostenere l’idea di sfruttare il carbone per alimentare una centrale elettrica e poi stoccare la Co2 nei tunnel». A margine dell’inaugurazione di una mostra a Venezia, il ministro ha spiegato che l’idea di mettere l’anidride carbonica all’interno delle miniere «ci sta tutta», ma che al tempo stesso «il resto del contesto non sembra essere favorevole allo sviluppo di un’iniziativa di questo tipo», che va invece considerata «dal punto di vista tecnologico e da quello economico». L’Enel. Uno dei protagonisti del “contesto” rompe un silenzio che durava da mesi e interviene con la sua verità sul carbone Sulcis. Dopo essersi augurata che le vertenze Alcoa e Carbosulcis «trovino in breve uno sbocco positivo», Enel dichiara di onorare il suo contratto per acquisire carbone dalle miniere del Sulcis. «Questo carbone – riporta una nota ufficiale di Enel – per poter essere utilizzato nel rispetto delle norme ambientali, deve essere miscelato con carbone a basso tenore di zolfo di provenienza internazionale (che non arriva né da Cina o Russia, ma da Colombia, e Usa). Rispetto a questo carbone, quello della miniera locale ha infatti un contenuto di zolfo otto volte superiore». Enel mette le mani avanti anche sul calo di produzione della centrale di Portovesme; questa «risente della congiuntura di mercato, che vede contrarsi la domanda a fronte di un’offerta sempre più numerosa (anche dei principali operatori stranieri, Eon, Edf, Gdf-Suez). Oggi Enel contribuisce con i suoi impianti sardi a produrre solo un quinto dell’energia elettrica dell’isola». Come dire, è il mercato che ci fa produrre sempre meno energia nel Sulcis (e se chiude Alcoa a cui Enel era legata da una importante fornitura, salterà un quinto dell’intera energia prodotta nell’isola). Ma Enel non si accontenta di distinguere il destino della centrale a carbone da quello della miniera, va oltre, intervenendo per la prima volta sul progetto integrato per la cattura della Co2. «È la Regione che ha la responsabilità di promuovere un bando di gara internazionale per l’assegnazione del progetto. Enel non potrà essere in nessun caso un interlocutore privilegiato. Enel intende comunque seguire lo sviluppo della gara, consapevole, anche per esperienza già fatta in passato, che questo tipo di progetti ha elevata complessità tecnica e contenuto innovativo e richiede quindi un significativo contributo pubblico». Dettagli. Qui si entra nello specifico, con una forzatura diplomatica che serve a non mettere in contrapposizione diretta l’area di Rovigo e il Sulcis. «Riguardo al possibile finanziamento della commissione europea, il progetto di Ccs da applicare nella centrale di Porto Tolle non è in competizione con quello eventuale del Sulcis – avverte Enel – i fondi previsti dal programma europeo vengono attribuiti sulla base di graduatorie internazionali». Naturalmente la nota Enel non precisa che dei tredici progetti, poi diventati sei, che a livello europeo riceveranno un finanziamento di 1 milardo di euro, solo uno interesserà l’Italia. La competizione con Porto Tolle è già avviata ma il Sulcis parte con un fortissimo ritardo da recuperare.
da La Nuova Sardegna, 29 agosto 2012
Piani cattura Co2, i dubbi della Ue. La commissione europea ha già sollevato obiezioni anche su altri versanti. (Pier Giorgio Pinna)
CAGLIARI. «Ah, les italiens…». Ogni volta che alla Commissione europea, soprattutto alla direzione generale Concorrenza vedono documenti arrivare dal Belpaese, storcono il naso. La fama che ci siamo fatti in questi anni non è delle migliori. E la Sardegna non sfugge a questa considerazione. Le note della Commissione, sulla vicenda Carbosulcis, sono tutte un «cosa volete dire», «i vostri piani non sono chiari», «non siamo nelle condizioni di esprimere un parere», «alcune cose che volete fare sono contrarie alla legge», e via di questo passo. L’ultima bacchettata, di cui si spera siano stati informati anche gli amministratori sardi è di qualche settimana fa. A fine luglio infatti la dg Concorrenza ha scritto per l’ennesima volta al nostro governo lamentandosi della vaghezza del progetto e di alcune sue pecche al momento non risolte. La prima riguarda la forma di finanziamento del sistema miniera+centrale. Il governo ha ipotizzato l’uso della carbon-tax, ma l’Europa teme che si anticipino i tempi e si finanzi la miniera con una tassa non concordata. La seconda è più seria e così posta è letale. La commissione chiede che nel progetto, e quindi nel bando non si vincoli il costruttore della centrale all’acquisto del carbone locale. Se a questo elemento si aggiungono i dubbi sugli aiuti alla centrale il quadro è fosco. «Avete avuto il sistema della interrompibilità (cioè lo sconto alle grandi aziende che accettano di acquistare energia che per motivi di sicurezza può essere staccata con un breve preavviso, ndr) adesso volete anche questi aiuti; non è forse troppo?». Ma è su un terzo elemento che rischia di naufragare prima ancora di prendere il largo l’avveniristico progetto centrale+miniera. La Commissione chiede all’Italia perché nel bando vada messo l’obbligo di acquisto del carbone Sulcis. «Non c’è più sicurezza energetica e risparmio con un solo combustibile». E infine le tre richieste finali. «Perché volete solo il carbone locale? Perché non migliorate l’efficenza energetica e riducete i consumi, e perchè questi investimenti devono essere sovvenzionati dallo stato?» Domande a cui il governo non ha ancora risposto e che potrebbero essere oggetto dell’incontro del 31. Resta comunque assodato il fatto che per l’Europa il progetto della cattura della C02 non comporta mai una automatica associazione con un combustibile né con miniere di carbone; e infatti il progetto di Porto Tolle prevede il passaggio da olio combustibile a carbone, in una zona, il Polesine, politicamente molto più forte della Sardegna ma dove non ci sono certo miniere. Insomma il dubbio che la commissione avanza a ogni piè sospinto è che con la scusa della Ccs si vuole agganciare alla centrale anche la miniera. «Sulle miniere non redditive – ripete la Commissione – abbiamo ampi finanziamenti per accompagnarle alla chiusura». Una frase però irricevibile per l’intera Sardegna.
Il retroscena. Tra Cagliari, Roma e Bruxelles sfide e pasticci. (Giuseppe Centore)
CAGLIARI. È una partita che si gioca su più tavoli, dove gli ingranaggi devono combaciare perfettamente. Insomma tutto il contrario del pasticcio tecnico istituzionale di questi anni, con un continuo botta-e-risposta tra Regione Governo e Commissione Europea che non ha fatto progredire di un passo il progetto per la cattura e lo stoccaggio in miniera della Co2. Ieri l’assessore all’industria Zedda ha accennato a una delibera-quadro che definisca il bando di gara. Ci vogliono non meno di quattro mesi prima che la gara possa partire e, dopo aver ricevuto l’assenso di Bruxelles sulle norme contenute nel bando e poi bisogna trovare qualcuno che partecipi alla gara. Un privato cioè che a fronte di contributi pubblici sull’ordine di 200 milioni di euro decida di investirne altri 400 per realizzare una nuova centrale elettrica in un’isola che tenderà a consumare sempre meno energia, e che usa a pieno regime il cavo Sapei in uscita verso la penisola. È evidente che il colosso, viste le dimensioni del progetto, non può essere Enel, se non altro perché ha già investito nel suo progetto a Porto Tolle, definito non a caso tre giorni fa dall’amministratore delegato Fulvio Conti «strategico». Ma chi oggi, o si spera domani, accetterà una sfida così impegnativa? Non certo Eon che non a caso sta riducendo la sua presenza in Sardegna, né le grandi società francesi. Ma allora chi vorrà proporsi?
da La Nuova Sardegna, 31 agosto 2012
Sul carbone tanto denaro e piani sospesi. (http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_231_20120831081511.pdf)
Finita l’epoca delle Partecipazioni statali, le miniere sono in mano alla Regione ma non c’è chiarezza sulle scelte. (Alfredo Franchini)
Un fiume di denaro. E’ quello che ha attraversato il polo industriale del Sulcis dagli anni Sessanta in poi. Posti di lavoro creati a caro prezzo: nel decennio 1985-1995 lo Stato erogò per le miniere contributi pubblici a fondo perduto per più di novecento miliardi di lire cui si aggiunsero gli interventi diretti dell’Eni, (250 miliardi di lire nel 1985), i contributi della Regione e l’impegno dell’Enel ad acquistare l’energia elettrica prodotta con parziale utilizzo del carbone Sulcis, a un prezzo che superava del 100 per 100 il costo di produzione dell’impresa elettrica. Purtroppo, a distanza di molti anni, quel fiume di denaro non ha stabilizzato la produzione del carbone che, in realtà, aveva incominciato la caduta verticale nel 1959 quando si produssero 400 mila tonnellate in meno. C’era allora l’esigenza di trovare nuovi sbocchi; miniere ed elettricità erano negli anni il campo di confronto tra il potere politico e il capitalismo, (compreso quello privato che allora era molto più presente di oggi). Difficoltà che si ripercuotevano sull’occupazione. La presunta incapacità dei privati a far fronte alle difficoltà portò alla “regionalizzazione” del comparto estrattivo che qualche anno dopo sarebbe finito nelle mani dell’Eni mentre il polo dell’alluminio sarebbe entrato a far parte della holding del più famigerato dei tre grandi enti di Stato: l’Efim. Le miniere, dopo vent’anni di inattività, furono riaperte alla fine degli anni Settanta e allora venne costituita la Carbosulcis. Giampaolo Diana, capogruppo del Pd, ex segretario della Cgil sarda, ricorda: «Le difficoltà di collocare il carbone, portò al tentativo di utilizzarlo con tecnologie diverse. All’inizio l’Enel sembrava crederci e si impostò un lavoro interessante». Era il progetto della gassificazione del carbone che nacque sotto la giunta presieduta da Federico Palomba. Un progetto ambizioso: si trattava di usare il carbone con tecnologie che fossero compatibili con il rispetto dell’ambiente. L’Enel, allora ancora ente pubblico, si tirò presto indietro. Nel quinquennio delle giunte di Centrodestra, (Pili, Floris e Masala), ci fu l’interessamento dell’Ansaldo con la consapevolezza che le strade del carbone erano segnate: o si continuava a bruciarlo con una tecnologia piuttosto datata, o si doveva puntare su un progetto innovativo. «La gassificazione costa molto meno rispetto al piano che prevede la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica», spiega Diana, «e ci sono esempi in molte parti d’Europa, dalla Spagna alla Germania». Ma in Sardegna, quando si incominciò a discutere del gassificatore, si fronteggiavano ancora gli enti a partecipazione statale a colpi di piani milionari. Nessuna società volle andare avanti e intanto la Regione nominava i vertici di Carbosulcis; Andreano Madeddu, ex direttore dell’Api sarda, ai tempi della giunta Soru, con alle spalle il lavoro svolto in Montedison, e prima ancora Giuseppe Deriu, anch’egli con esperienze nel settore chimico. Ma furono forse gli unici manager nominati avendo esperienza del lavoro industriale. Lunedì, in consiglio regionale, l’opposizione presenterà una mozione per chiedere che l’attuale vertice di Carbosulcis venga mandato a casa. Il caso di Lorefice, il ventottenne del Pdl nominato qualche mese fa dal presidente Cappellacci resta una ferita: «Quando si arriva a fare certe nomine», afferma Giampaolo Diana, «o chi le fa non ha percezione di cosa voglia dire la gestione di una miniera, oppure non crede nel progetto. Altrimenti avrebbe cercato di portare in Sardegna un management di livello internazionale con i migliori ingegneri del mondo». «I lavoratori hanno ragione», afferma Luciano Uras (Sel), «la miniera dev’essere mantenuta e c’è da ricordare che la proprietà è della Regione. Il caso è molto diverso da Alcoa». Il progetto integrato che prevede la produzione di energia pulita è decisamnte molto costoso: un miliardo e mezzo di euro in otto anni. Senza contare i problemi di sicurezza: stoccare l’anidride carbonica in una miniera carbonifera presenta molti più rischi di quanto non possano esserci in una miniera metallifera. Anche il Consiglio regionale, infatti, si è schierato con i minatori ma non ha individuato le scelte del futuro.
da La Nuova Sardegna, 31 agosto 2012
L’ULTIMA SFIDA: ORA SOLUZIONI CREDIBILI. (Francesco Pigliaru, Alessandro Lanza, http://www.regione.sardegna.it/documenti/1_231_20120831081538.pdf)
L’angoscia degli operai del Sulcis e le aspettative per un futuro migliore per sé e per le proprie famiglie meritano il massimo rispetto. Ma soprattutto meritano il massimo impegno da parte delle istituzioni, oggi chiamate a proporre con urgenza soluzioni credibili, lontane dal balbettio demagogico a cui abbiamo spesso assistito. Carbosulcis e Alcoa sono vicende decisive per il futuro dell’isola. Per quanto riguarda il carbone, il tema è presto riassunto. Nel 1996 il Corriere della Sera pubblicò un articolo che ebbe molta risonanza. Veniva ricostruita, con dovizia di dettagli, la lunga sequenza dei contributi pubblici concessi alle miniere. Già da allora la situazione era molto critica: i soli sussidi a fondo perduto concessi dallo Stato nel decennio 1985-1995 avevano superato i 900 miliardi di lire. Cui andrebbero aggiunti, per completezza, gli interventi diretti dell’Eni (250 miliardi nel 1985), i contributi concessi dalla Regione Sardegna in tutti questi anni, e l’impegno dell’Enel ad acquistare l’energia prodotta con il carbone del Sulcis. Carbone acquistato a un prezzo di oltre il cento per cento superiore al normale costo di produzione dell’impresa elettrica. Valeva la pena di impegnare tutti questi soldi per tenere aperte produzioni sulla cui sostenibilità economica c’erano già allora fondati dubbi? Il fatto è che di fronte a emergenze di occupazione e di reddito, l’istinto italiano, sbagliato, è di esercitare un vero e proprio accanimento terapeutico a favore dell’impresa in crisi, anche quando le prospettive di mercato sono improbabili o nulle. Sono interventi che bruciano risorse pubbliche preziose e, creando false aspettative, consumano futuro. Quasi sempre sarebbe più saggio lasciare le imprese al loro destino e occuparsi invece dei lavoratori, sostenendo il loro reddito e accompagnandoli con servizi di qualità (orientamento e formazione, in primo luogo) verso una nuova occupazione. Per dare un’idea dell’ordine di grandezza degli sprechi che si generano per sostenere cause (imprenditoriali) dubbie, provate a immaginare cosa sarebbe successo se i soldi spesi per il carbone del Sulcis fossero stati attribuiti non all’impresa ma, appunto, ai lavoratori. Potenzialmente, ogni lavoratore avrebbe avuto a disposizione una dote iniziale di un miliardo di lire, avrebbe potuto godere per vent’anni di una rendita mensile di circa 1400 euro, e a fine periodo il capitale iniziale sarebbe rimasto invariato. Tutto questo per sottolineare che una frazione di quei soldi così malamente spesi sarebbe stata sufficiente a finanziare interventi capaci di aiutare le persone a trovare nuova occupazione. Ma le lezioni del passato rimangono in gran parte inascoltate. Oggi come ieri, la ragione fondamentale all’origine della crisi delle miniere del Sulcis non si è modificata. E’ un carbone di scarsa qualità, ha troppo zolfo e costa troppo per poter essere utilizzato in modo economico, qualunque sia la tecnologia adottata. E si fa dunque fatica a capire perché le tecnologie di carbon sequestration, costose e incerte anche in contesti più favorevoli ma richieste a gran voce qui in Sardegna, dovrebbero cambiare improvvisamente in meglio la situazione. Il caso Alcoa è simile. La Sardegna non produce bauxite e, persino con favorevolissime condizioni di costo (e non è questo il caso), sarebbe anti economico importare allumina ed esportare alluminio. Non c’è un mercato al mondo in cui questo accade. Mentre si discute di Alcoa, in Russia e in Arabia Saudita – dove esiste un costo dell’energia incomparabilmente più basso – realizzano impianti grandi 5 o 6 volte lo smelter di Portovesme, con enormi economie di scala capaci di ridurre ulteriormente i costi. Il problema supera i confini regionali: riduzioni importanti di capacità produttiva sono in programma in tutta Europa. Una classe politica seria dovrebbe dirsi e dire che ragioni strutturali e non di congiuntura impediscono che queste produzioni possano continuare a offrire un credibile futuro economico. Poi dovrebbe affrontare con urgenza il tema di cosa fare in alternativa. Nel Sulcis e per il Sulcis non mancano proposte ragionevoli e di buon senso. Nel territorio ci sono almeno due importanti attrattori in grado di creare occupazione diffusa e sostenibile: la straordinaria dotazione di bellezze naturali e la ricchezza della storia mineraria. In più, c’è un agro-alimentare di qualità che, come in gran parte della Sardegna, può crescere ben oltre il suo livello attuale. In altre parti del mondo, Europa compresa, risorse di questa qualità e dimensione sono state sufficienti a dare reddito, occupazione, benessere a grandi comunità territoriali. Non è facile ma si può fare anche da noi. Bisogna però capire questo: che la vera emergenza per il Sulcis non è una fabbrica che va via o una miniera che chiude. E’ invece una qualità delle istituzioni che oggi non dà garanzie sufficienti a coloro che devono affrontare le profonde e anche dolorose (socialmente ed economicamente) trasformazioni necessarie per raggiungere una nuova sicurezza economica. Chi li accompagnerà in quel percorso? Chi li orienterà, offrendo loro consulenze di certificata professionalità? Chi li aiuterà ad acquisire le competenze di cui hanno bisogno per diventare piccoli imprenditori o per essere assunti in una nuova, diversa impresa? Chi gli garantirà, e a quali condizioni, un reddito nel periodo di orientamento e formazione? Chi è in grado di sbloccare le bonifiche per rendere credibile la prospettiva di un decente e sostenibile sviluppo basato sulla bellezza paesaggistica del territorio? Chi si occuperà, e come, e con quali tempi, di semplificare la vita a chi vorrà investire nel Sulcis? I territori che hanno gestito con successo crisi profonde sono stati in grado di dare risposte positive a tutte queste domande. Le loro istituzioni hanno saputo adottare con decisione una prospettiva chiara e hanno evitato che si trasformasse in occasione di sprechi e di elargizioni a favore di interessi di parte. Governo, regione e autorità territoriali dichiarino subito, ognuno per il proprio ambito di competenza, come intendono garantire che i prossimi interventi straordinari a favore del Sulcis saranno ora più efficaci rispetto a quelli del disastroso passato: per esempio, in che modo intendono sbloccare la pluriennale vicenda di bonifiche finanziate ma mai effettuate? Quali correttivi adotteranno perché il parco geo-minerario si faccia davvero e diventi un credibile attrattore internazionale? E così via. “Cosa” fare è piuttosto ovvio. “Come” riuscire a farlo , come sbloccare resistenze e interessi di parte, no. Una migliore performance istituzionale è il passaggio obbligato e urgente per dare un futuro accettabile al Sulcis e all’intera Sardegna. In sua assenza, rimarremo incastrati in un su connottu senza alcuna prospettiva.
A.N.S.A., 31 agosto 2012
Speranze da Svizzera, Glencore punta Alcoa.
Sit in operai davanti al Ministero dello Sviluppo, tavolo oggi a Roma anche per la Carbonsulcis: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2012/08/31/Alcoa-assedio-ministero-Sviene-operaio_7403602.html
da La Nuova Sardegna on line, 31 agosto 2012
Carbosulcis, Passera: «La miniera non chiuderà il 31 dicembre».
Il progetto sarà aggiornato con le migliori tecnologie e sarà reso economicamente sostenibile: http://lanuovasardegna.gelocal.it/carbonia/cronaca/2012/08/31/news/carbosulcis-passera-la-miniera-non-chiudera-il-31-dicembre-1.5619743
Alcoa, non gli rinnovano il contratto: operaio su un silo di 40 metri
Il giovane, 28 anni, padre di un bimbo, è in una situazione di estremo pericolo. Sul posto, polizia e vigili del fuoco: http://lanuovasardegna.gelocal.it/carbonia/cronaca/2012/08/31/news/alcoa-non-gli-rinnovano-il-contratto-operaio-su-un-silo-di-40-metri-1.5619619
Alcoa: no azienda a proroga. Da lunedi’ al via stop: http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2012/08/31/Alcoa-azienda-proroga_7406457.html
da La Nuova Sardegna, 2 ottobre 2013
CENTRALE ELETTRICA»LA RICONVERSIONE. No di Ottana a Clivati: il carbone inquina.
Il consiglio comunale presenta opposizione al progetto, la Regione dovrà avviare la valutazione d’impatto ambientale. Il sindaco Marras. Ci siamo rivolti a esperti di salute pubblica e le conclusioni sono ben peggiori di quanto potevamo aspettarci. (Paolo Merlini)
OTTANA. Carbone? No, grazie. Il consiglio comunale ieri sera si è riunito in seduta straordinaria e ha votato, con un solo astenuto e nessun contrario, una delibera che esprime «netta contrarietà» al progetto di conversione a carbone della centrale elettrica di Ottana Energia. È il primo, scomodo ostacolo che l’imprenditore Paolo Clivati si trova di fronte nel piano di riconversione dell’impianto finito nel mirino della procura della Repubblica lo scorso marzo in seguito all’uscita, sempre meno presunta, di materiale inquinante dalle ciminiere, episodio all’origine del caso delle pecore nere, rese tali da una fuliggine oleosa. Con questa presa di posizione formale contro il progetto di Ottana Energia, dunque, l’amministrazione comunale non solo afferma pubblicamente la propria contrarietà nel generale consenso da parte di associazione industriali , sindacati e Regione («lo chiede un intero territorio», ha detto di recente l’assessore Liori) ma costringe quest’ultima ad avviare la procedura del Via, la valutazione d’impatto ambientale, ossia analizzare concretamente i possibili rischi per la salute pubblica e l’ambiente che potrebbero derivare da tale riconversione degli impianti. Il Comune di Ottana aveva 45 giorni per presentare opposizione al progetto di Ottana Energia, e lo ha fatto proprio allo scadere del termine. «Sono state settimane di studio e di riflessione – dice il sindaco Gian Paolo Marras –, di approfondimenti da parte di tutta la maggioranza. Volevamo capire meglio cosa ci viene proposto con l’utilizzo del carbone. E ci siamo rivolti ad esperti di salute pubblica e tutela ambientale. Le conclusioni sono ben peggiori di quanto potevamo aspettarci». È firmata da Vincenzo Migaleddu, coordinatore regionale dell’associazione Medici per l’ambiente, la relazione, letta ieri in aula consiliare, che non lascia spazio all’immaginazione e mette in guardia sui rischi in particolare per la salute pubblica in un territorio già gravato da 40 anni di industrializzazione. Una sintesi della relazione viene riportata nella delibera consiliare. Si parte dal fatto che «le centrali a carbone emettono sostanze pericolosissime in grado di minacciare la salute» e «che dalle ciminiere delle centrali a carbone escono le più svariate sostanze tossiche», alcune delle quali, come il particolato ultrafine, sono «in grado di penetrare molto in profondità nei polmoni» e provocare «un consistente incremento della mortalità». Il consiglio comunale sottolinea come la riconversione serve a Ottana Energia solo per «il raggiungimento dei benefici del regime di essenzialità». Ma anche per avere costi di produzione molto più contenuti: per un megawatt si spendono 11,50 euro di carbone (sarà cinese, fra l’altro), cifra che sale a 31 con il gas e a 43 con l’olio combustibile, segnala il sindaco Marras, che chiede si percorra con decisione la strada delle energie rinnovabili, senza ricatti occupazionali.
da La Nuova Sardegna, 3 ottobre 2013
Quel sindaco di frontiera che lotta contro il carbone. (Paolo Merlini): http://consiglio.regione.sardegna.it/rassegnastampa/pdf/82311_Quel_sindaco_di_frontiera_che_lotta_contro_i.pdf
da L’Unione Sarda, 14 gennaio 2014
L’Autorità per l’energia frena. I sindacati: miniera chiusa senza alternative. Carbone verde,addio sogno. Bortoni: nuova centrale,no ai prelievi in bolletta. (Antonella Pani): http://www.regione.sardegna.it/rassegnastampa/1_82_20140114092608.pdf
ennesima rapina ai danni delle tasche dei cittadini.
da La Nuova Sardegna, 15 febbraio 2014
PIANO SULCIS»IL POLO DELL’ENERGIA. Una centrale da 60 milioni all’anno.
Ecco quanto potrà incidere nella bolletta degli italiani l’impianto a carbone pulito: il bando entro il 2016. (Tamara Peddis)
IGLESIAS. Gli incentivi dello Stato per realizzare una centrale elettrica sperimentale a carbone nel Sulcis graveranno sulle bollette degli italiani per un rincaro di 60 milioni di euro l’anno. Il progetto energetico di sperimentazione del carbone “pulito” è contenuto nell’articolo 1 del decreto “Destinazione Italia”, approvato il 12 febbraio dalla Camera dei deputati. Si prepara adesso all’esame del Senato. Il progetto prevede la realizzazione di una centrale termoelettrica a carbone, dotata di apposita sezione di impianto per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica da realizzare nel Sulcis Iglesiente. Il progetto sarà bandito dalla Regione Sardegna entro il 2016. Chi si aggiudicherà il bando potrà prelevare l’energia a prezzi incentivanti: 30 euro a MW/h per un massimo di 2100 GW/h all’anno. Saranno proprio questi incentivi a gravare sulla bolletta degli italiani. Si parla di circa 60 milioni di euro all’anno. Oltre alla costruzione di una centrale nel Sulcis Iglesiente entro il 2015 sarà realizzato un Polo di ricerca e sperimentazione del carbone “pulito”. Il progetto della centrale verrà avviato dopo gli esiti della sperimentazione. Per evitare nuovi guai con l’Unione Europea sia il progetto del polo tecnologico che quello della centrale termoelettrica non saranno collegati alla ripresa produttiva della Carbosulcis. La miniera di carbone si prepara a un piano di dismissione da qui al 2018, già deliberato dalla Regione. Gli operai che lavorano nella miniera di Nuraxi Figus, con la dismissione passeranno dagli attuali 435 a 120. Alcuni di questi ultimi dovrebbero trovare occupazione con i progetti del Piano Sulcis. La notizia che la realizzazione della centrale graverà per 60 milioni di euro annuali nella bolletta elettrica dei cittadini italiani è apparsa ieri sul Sole 24 Ore: nel quotidiano economico si fa riferimento al presidente dell’Autorità dell’Energia Guido Bortoni, il quale un mese fa, ospitato in audizione alla Camera dei deputati, aveva affermato che questo tipo di progetto del carbone pulito “non risponde ad esigenza del sistema elettrico” e che in Sardegna non servono incentivi a centrali elettriche in quanto rappresentano, disse l’autorità ai deputati “un problema” e “un altro balzello in bolletta”. Nel disegno di legge “Destinazione Italia” si evince che se il progetto innovativo non dovesse funzionare secondo le fasi di cattura e stoccaggio della Co2, gli oneri peseranno ugualmente sulle bollette dei cittadini. Ma in sostanza perché è importante e a cosa servirà questo progetto? Si tratta di un progetto di ricerca e sperimentazione di utilizzo di energia da fonti fossili. «È una ricerca che dovrà essere attuata entro i confini nazionali – ha detto il deputato iglesiente del partito democratico Francesco Sanna – non mi spaventa una sperimentazione di questo tipo, per la quale si lavora da anni».
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I NUMERI.
– 800 MILIONI: E’ L’IMPORTO DEL BANDO REGIONALE PER LA REALIZZAZIONE DELLA CENTRALE A CARBONE PULITO
– 60 IL NUMERO IPOTIZZABILE DEGLI OCCUPATI NEL POLO DI RICERCA E SPERIMENTAZIONE
– 230 IL NUMERO DI OCCUPATI A REGIME NELLA CENTRALE 1000 GLI OPERAI CHE SARANNO IMPIEGATI NELLA FASE DI COSTRUZIONE DELLA CENTRALE
– 3-4 GLI ANNI CHE SERVIRANNO PER COSTRUIRE LA CENTRALE
– 120 IL NUMERO DEGLI OPERAI DELLA MINIERA DI NURAXI FIGUS DOPO LA DISMISSIONE: ORA SONO 435
– 2018 L’ANNO ENTRO IL QUALE SARA’ COMPLETATA LA DISMISSIONE DELLA MINIERA
da Sardinia Post, 20 febbraio 2014
Sì al decreto Destinazione Italia, Migaleddu: “Autonomia a rischio su energia e ambiente”. (Piero Loi): http://www.sardiniapost.it/cronaca/si-al-decreto-destinazione-italia-migaleddu-rischio-lautonomia-su-energia-e-ambiente/
da la Nuova Sardegna, 23 febbraio 2014
Centrale a carbone, la Regione chiede l’esame ambientale.
Ottana, il sindaco: il Savi ha accolto le nostre osservazioni «Senza le proteste il caso sarebbe passato sotto silenzio».
Il progetto. Abbattere i costi: obiettivo principale. (Federico Sedda)
Il progetto di Clivati consiste nella riconversione a carbone di una delle due caldaie gemelle di cui è dotata la centrale termoelettrica di Ottana. L’alimentazione attuale è costituita da olio combustibile Btz, inquinante e antieconomico. Il carbone consentirebbe di abbattere i costi economici e diminuire le emissioni nell’atmosfera. Non solo. Senza la riconversione a carbone sarebbe difficile mantenere i livelli occupativi nel medio periodo. Un problema spinoso che attende soluzioni. Da imprenditori e politici.
OTTANA. Il progetto di riconversione a carbone della centrale termoelettrica dovrà essere sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale (Via). No, dunque, alla procedura semplificata che fa a meno delle indagini approfondite che riguardano l’impatto sul territorio e sulla salute dei cittadini. Ciò significa che, per poter proseguire il percorso messo a punto dall’imprenditore Paolo Clivati, il progetto dovrà essere sottoposto «all’ulteriore procedura di Via, integrata con la valutazione di incidenza ambientale». Un procedimento lungo e tortuoso, che, a riprova della complessità dell’iniziativa, richiede approfondimenti tecnici che coinvolgono diversi enti pubblici e il ministero dell’Ambiente. Nella seduta del 5 febbraio scorso (una delle ultime riunioni presiedute dall’ex governatore Ugo Cappellacci), la giunta regionale ha così accolto la proposta del Savi (il servizio ambientale della Regione) di sottoporre il progetto di Ottana Energia non solo alla procedura del Via, ma anche alla relazione di incidenza sugli eventuali effetti del progetto sull’habitat naturale della zona. Se non è uno stop al progetto, poco ci manca. D’ora in poi, infatti, il percorso diventa in salita. Il sindaco di Ottana, Gian Paolo Marras, fermo rappresentante del fronte del no al carbone, canta vittoria. «Il Savi – dice – ha accolto le nostre osservazioni contrarie al progetto. Abbiamo dimostrato che la riconversione a carbone della centrale elettrica non è una cosa di poco conto, come ci volevano far credere, ma un’iniziativa di notevole impatto che non può escludere il parere dei cittadini e dei rappresentanti delle istituzioni locali. Senza il nostro intervento, e di tutti quelli che si sono opposti con delibere e petizioni, probabilmente, la questione sarebbe passata sotto silenzio». Il Savi ricorda che, contro il carbone, si sono espressi, depositando relazioni tecniche, non solo il comune di Ottana, ma anche quello di Sarule, il comitato “Non bruciamoci il futuro” e l’associazione “Medici per l’ambiente”. Sulla valutazione della procedura ha inciso, forse in modo determinante, anche una nota del ministero dell’Ambiente che chiedeva conto «delle valutazioni svolte sugli effetti indiretti dell’impianto nei confronti dell’habitat». Lo stesso Savi, tuttavia, ha rilevato nel progetto di Ottana Energia numerose criticità, tali da richiederne l’assoggettamento alla procedura di impatto ambientale. Le più importanti osservazioni riguardano «la mancata previsione dell’utilizzo dei sistemi di abbattimento degli inquinanti emessi dalla caldaia; l’aumento del quantitativo di rifiuti prodotti durante l’esercizio dell’impianto e l’impossibilità di escludere impatti negativi sulla qualità dell’aria e sulla salute umana».
l’imprenditore Clivati impari a rispettare la legge e a non perdere occasioni per tacere.
da La Nuova Sardegna, 1 marzo 2014
OTTANA ENERGIA»PIANI CONGELATI. Clivati: stop al progetto per il carbone.
L’imprenditore ci ripensa dopo che la Regione ha chiesto la procedura di valutazione d’impatto ambientale.
L’INDUSTRIALE ACCUSA. Certi temi sembrano più importanti rispetto alla tutela dei posti di lavoro, gli amministratori non difendono la produzione. (Paolo Merlini)
NUORO. Ottana Energia dice addio al progetto di riconvertire a carbone i propri impianti: a comunicarlo, l’amministratore unico Paolo Clivati che in una nota sottolinea come si tratti di una decisione obbligata dopo che l’assessorato regionale all’Ambiente ha chiesto l’avvio di una procedura di valutazione di impatto ambientale. Una procedura che era stata sollecitata dal Comune di Ottana, i cui amministratori hanno forti perplessità sulle ricadute sanitarie e ambientali di una centrale a carbone. Una sconfitta evidente per l’imprenditore lombardo, che opera nella Sardegna interna da alcuni anni con Ottana Energia, centrale in regime di essenzialità per ancora tutto il 2014, e la collegata Ottana Polimeri. Decisione, quella degli uffici della Regione, che Clivati commenta nel suo stile sferzante, lo stesso che all’indomani della fuoriuscita della misteriosa e inquinante nube un anno fa lo aveva portato ad addossare il fenomeno delle “pecore nere” alla pratica pastorale di bruciare le stoppie (in seguito è stato indagato dalla magistratura nuorese per inquinamento). Così ora l’industriale suggerisce, ironicamente secondo il suo punto di vista, come la futura decisione dell’assessorato sulla compatibilità dell’impianto «dovrà includere valutazioni, ora effettivamente non considerate, come quella sul “successo riproduttivo della popolazione di Gallina prataiola” tema per cui la Società si è già attivata per cercare i più aitanti Galli disponibili nei pollai del territorio». Non mancano le critiche agli amministratori comunali che si sono schierati contro il carbone. «Si prende purtroppo atto che temi come questi – scrive ancora Clivati assimilando nei fatti la tutela della gallina prataiola a quella della salute pubblica – sembrano essere di fondamentale importanza rispetto alla tutela dei posti di lavoro e che pochissimi amministratori del territorio prendono convinta e formale posizione a difesa della poca produzione industriale rimasta e che le scelte, che si ribadisce sono state sottoscritte e condivise, erano state approvate anche dal governo centrale». Clivati ricorda a questo proposito come la scelta del carbone fosse condivisa da Regione, Provincia di Nuoro e sindacati. Ma alla luce dei nuovi sviluppi, è scritto ancora nella nota, «la società Ottana Energia ritiene utile congelare il progetto confrontandosi con la nuova maggioranza politica regionale per sottoscrivere un nuovo accordo condiviso sul futuro di sviluppo del territorio possibilmente all’interno di un Piano Energetico Regionale ad oggi mancante».
da La Nuova Sardegna, 2 marzo 2014
Ottana Energia, stop alla riconversione.
Per la Regione il progetto presentato dall’azienda pregiudicherebbe l’habitat della gallina prataiola. La replica: «È ridicolo». (Federico Sedda)
OTTANA. Alla fine, il patron di Ottana Energia, Paolo Clivati, ha dovuto fare marcia indietro: il progetto di riconversione a carbone della centrale termoelettrica è stato ritirato. Almeno per ora. Sì perché, come ha chiarito l’imprenditore milanese in un comunicato, non si tratta di uno stop definitivo, ma di un “congelamento”. Questo significa che potrebbe essere ripresentato. Molto dipenderà da come la nuova giunta regionale e il governo Renzi guarderanno al futuro della Sardegna centrale. «Considerato che in questi mesi di istruttoria c’è stato un cambiamento degli interlocutori sia nella compagine regionale che in quella nazionale – ha chiarito, infatti, Clivati – Ottana Energia ha ritenuto utile congelare il progetto». Per delineare il futuro di Ottana Energia e della collegata Ottana Polimeri serve, dunque, avviare al più presto un confronto con la nuova maggioranza scaturita delle elezioni per il consiglio regionale. Confronto che l’industriale auspica «per sottoscrivere un nuovo accordo condiviso sul futuro sviluppo del territorio, possibilmente all’interno di un piano energetico regionale oggi mancante». In attesa che il presidente Pigliaru decida il da farsi, l’unica certezza, per ora, è lo stop al progetto della riconversione a carbone della centrale elettrica. Un’inversione di rotta imposta dal Savi (il servizio ambientale della Regione) con la richiesta, fatta propria dalla giunta regionale nella seduta del 5 febbraio scorso (una delle ultime dell’era Cappellacci), di sottoporre il progetto alla procedura di valutazione di impatto ambientale (il Via). Tra le contestazioni sollevate dall’ente regionale c’è anche la mancanza di uno studio per valutare gli effetti del carbone su tutte le specie e gli habitat della zona di protezione ambientale dell’altopiano di Abbasanta e, in particolare, della gallina prataiola (la tetrax tetrax). Un’osservazione, peraltro sollevata dal ministero dell’Ambiente, che ha sollecitato il sarcasmo di Paolo Clivati che, augurandosi «il successo riproduttivo della gallina prataiola», ha fatto sapere nel comunicato di «avere attivato l’azienda per cercare i più aitanti galli disponibili nei pollai del territorio». Un’uscita forse poco rispettosa dell’ambiente in tutte le sue specie, ma, tuttavia, tipica di un modo di coniugare lavoro, economia, ambiente e territorio in modo diametralmente opposto. Il progetto di Paolo Clivati consiste nella riconversione a carbone di una delle due caldaie gemelle di cui è dotata la centrale termoelettrica. L’alimentazione attuale è costituita da olio combustibile Btz, inquinante e antieconomico. Il carbone, secondo il progetto, consentirebbe di abbattere i costi economici e diminuire le emissioni nell’atmosfera. Non solo. Senza la riconversione a carbone sarebbe difficile mantenere i livelli occupativi nel medio periodo. E la colpa, in questo caso, sarebbe da addebitare alla povera gallina prataiola. Nella storia a brandelli dell’industria di Ottana ci mancava solo questa.
da L’Unione Sarda, 27 febbraio 2014
DESTINAZIONE ITALIA. Ricadute nell’Isola dagli incentivi dell’ultima legge del governo Letta.
Energia “made in Sardinia”. L’Europa nanzierà una termocentrale innovativa a carbone. (Emanuela Zoncu): https://www.regione.sardegna.it/rassegnastampa/1_231_20140227085016.pdf
in realtà l’unica cosa “ridicola” è la pretesa di Clivati di sottrarsi alla procedura della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.).
Il problema non è certo rappresentato dalla Gallina prataiola, ma dalle emissioni inquinanti.
Qui la deliberazione di Giunta regionale n. 4/36 del 5 febbraio 2014 conclusiva della procedura di verifica di assoggettabilità: https://www.regione.sardegna.it/documenti/1_385_20140220110028.pdf .
Se non c’era l’Europa sai quanti permessi gli davano……noooooooooooo