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Perché la Chiesa cattolica e i concessionari della TV digitale non fanno sacrifici?


Italia, manifestazione per il referendum sul divorzio (1974)

Ormai lo sappiamo tutti, l’Italia e gli italiani dovranno sputare lacrime e sangue, finanziariamente, per cavarsela.  Ma non tutti.  

A parte i rischi che corriamo grazie ai favori regionali verso le parti più retrive del mondo venatorio, la Chiesa cattolica non paga – se non raramente – le imposte sui propri (a vario titolo) beni immobili, anche quelli che svolgono sostanzialmente attività commerciali. A puro titolo d’esempio la Scuola materna ed elementare “Laetitia” di Cagliari, certamente non un edificio di culto. Per non parlare di fondi e beni graziosamente elargiti da amministrazioni pubbliche per fini ben poco spirituali.

La Corte di Cassazione civile (sentenza Sez. Trib., 8 marzo 2004, n. 4645) aveva statuito che l’I.C.I. (istituita con il decreto legislativo n. 504/1992), fra le esenzioni (art. 7), non vedeva certo gli immobili delle Istituzioni ecclesiastiche dove si svolgevano attività “oggettivamente commerciali”. Con il decreto fiscale collegato alla legge n. 266/2005 (legge finanziaria 2006) veniva ristabilità l’esenzione totale, mentre il successivo decreto-legge n. 223/2006 statuiva che l’esenzione “si intende applicabile alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.  La Commissione europea ha aperto un’indagine per accertamenti ipotizzando “aiuti di Stato” illegittimi in violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza.

E l’assegnazione gratuita delle frequenze per la TV digitale effettuata dal precedente Governo Berlusconi?              Quanti miliardi di euro sono stati sottratti di fatto con queste operazioni ben poco virtuose?      Non è il caso di cambiare registro? Leggi tutto…