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I costi “canaglia” nascosti dell’energia elettrica.


Sarroch, raffineria Saras s.p.a.

Sarroch, raffineria Saras s.p.a.

 

In Sardegna l’energia elettrica prodotta costa alla Collettività il 38% in più della media nazionale, ma in tutta Italia con la bolletta elettrica i poveri utenti finanziano indirettamente anche i bidoni acquistati dall’Inter dei Moratti (titolari del Gruppo Saras s.p.a., beneficiario degli incentivi CIP 6 per le fonti “assimilate” alle rinnovabili per l’impianto Targas della controllata Sarlux, che utilizza gli scarti della lavorazione del petrolio) anche se non sono interisti, insieme a varie altre amenità.

In più vi si pagano le imposte.

Un’autentica vergognosa rapina nazionale.

Gruppo d’Intervento Giuridico onlus

Assemini, Macchiareddu, centrale eolica

Assemini, Macchiareddu, centrale eolica

 

 

da Il Corriere della Sera, 6 giugno 2013

INCHIESTA. ECCO TUTTI I COSTI NASCOSTI NELLA SPESA PER L’ENERGIA ELETTRICA. LA MAPPA DEGLI ONERI INDIRETTI. Pale eoliche e centrali nucleari spente.  In bolletta un conto di 230 euro. Smantellamento. Continueremo a pagare fino al 2021 per lo smantellamento delle centrali atomicheSergio Rizzo

Non sarà certo per questo motivo che il costo dell’energia elettrica è il più alto d’Europa. Ma se proprio vogliamo fare la classifica delle assurdità che hanno fatto conquistare alle tariffe italiane il primato continentale, in cima a tutte ci sono le tasse sulle tasse.

L’Iva viene infatti applicata sull’importo lordo comprensivo dell’accisa: il risultato è che le famiglie pagano ogni anno sulle bollette elettriche almeno 130 milioni di imposte su una imposta. Senza contare le imprese. Guardatele con attenzione, quelle bollette, perché scoprirete cose che mai avreste immaginato. Quest’anno, per esempio, i cosiddetti «oneri generali di sistema» arriveranno a pesare sul totale per quasi il 20 per cento. Cosa sono? Voci senza alcun rapporto con il prezzo dell’energia, il costo della trasmissione o dei servizi di rete. Lì dentro ci sono, per esempio, gli incentivi per le rinnovabili: i pannelli solari, le pale eoliche, le centrali a biomasse, ma anche le fonti cosiddette «assimilate», come gli scarti (inquinanti) delle raffinerie che tuttora godono dei contributi ecologici.

Quest’anno si toccherà il record assoluto di 13 miliardi di euro, facendo salire il conto di questi «oneri generali di sistema» a ben 14 miliardi. Ovvero, 230 euro per ogni cittadino italiano. Con una progressione inarrestabile rispetto ai 93 euro del 2010, ai 125 del 2011 e ai 192 del 2012. Su questi incentivi, naturalmente, si pagano le imposte. Ma sono tassati pure gli oneri per il nucleare: 149 milioni lo scorso anno, 255 nel 2011 e ben 410 nel 2010. Si tratta dei soldi destinati allo smantellamento delle centrali atomiche chiuse con il referendum del novembre 1987, più di venticinque anni fa. Se ne deve occupare la Sogin, società pubblica con quasi 900 dipendenti. Continueremo a pagare fino al 2021, e dobbiamo augurarci che basti.

Calcolando anche gli indennizzi profumatamente pagati ai fornitori, agli appaltatori e all’Enel, l’uscita dall’avventura atomica ci sarà costata per quell’epoca 15 miliardi 692 milioni di euro attuali. Sempre che tutto, naturalmente, vada per il verso giusto. Il che non è affatto sicuro. Soprattutto, c’è il rischio di lasciare aperto un problemino qual è il deposito nazionale delle scorie radioattive. Il sindacato elettrici Flaei Cisl ha proposto di creare intorno alla Sogin un parco tecnologico per affrontare tutte le questioni legate a quella faccenda. Ma per ora restano parole al vento, mentre i soldi corrono e correranno ancora. Chi ha interesse a smuovere le acque? Certo non l’azionista della Sogin, cioè lo Stato. E si capisce perché. Bisogna sapere infatti che ben 100 milioni l’anno degli oneri nucleari non vengono impiegati per il decommissioning atomico, ma finiscono direttamente dalle bollette alle casse dell’Erario per una disposizione spuntata nella Legge finanziaria del 2005. Per assurdo che sia, tassati anch’essi.

Al pari di un’altra voce: i 250 milioni di euro destinati alle Ferrovie sotto forma di sconti tariffari. Li paghiamo da cinquant’anni, quando l’energia elettrica fu nazionalizzata e alcune piccole centrali delle Fs finirono anch’esse all’Enel. In mezzo secolo il conto è stato certo saldato con gli interessi: imperscrutabile il motivo per cui non si è ancora chiuso. Un altro mistero italiano. Fra gli «oneri di sistema» c’è anche il finanziamento della ricerca. Quanto? In tutto 41 milioni, meno di un sesto degli sconti garantiti alla rete ferroviaria. E sono ovviamente tassati. Ma le tasse, crudelmente, vengono appioppate anche a un’altra voce degli «oneri generali di sistema»: il bonus per le famiglie povere. E’ la voce più piccola, per giunta ridotta nel 2012 a un terzo, da 54 a 17 milioni di euro.

Ci fermiamo qui, sorvolando su altre quisquilie del tipo contributi per l’efficienza energetica (40 milioni) e le misure di «compensazione territoriale» (9 milioni). Non prima però di aver rivelato l’ultima sorpresa. Il governo di Mario Monti ha deciso di sgravare un po’ le imprese, spostando per qualcosa come 780 milioni il peso degli «oneri generali di sistema» dalle loro bollette a quelle delle famiglie. Che perciò vedranno presto rincarare le tariffe di oltre il 2 per cento.

(foto C.B., archivio GrIG)

  1. Avatar di mariarosaria
    mariarosaria
    giugno 7, 2013 alle 10:28 PM

    dall’inizio dell’anno 2013 ho avuto tre bollette anomale di quasi €500. Ho approfondito la bolletta e ho scoperto lo scandalo del Cip 6 ma non potevo immaginare l’ennesima fregatura di Monti. C’era da aspettarselo da uno così!!!!
    Maria Rosaria

  2. giugno 9, 2013 alle 12:53 PM

    “….Pale eoliche e centrali nucleari spente…”. Tutte assieme, possibilmente senza dire nulla della distribuzione dei costi e dei benefici.

    Comunque è istruttiva per davvero la vicenda del parco nucleare, almeno fa emergere i costi reali connessi alla filiera. Una brutta cartolina ricordo che faremo bene a conservare.

  3. giugno 9, 2013 alle 8:20 PM

    L’ha ribloggato su Fabio Argiolas.

  4. Avatar di capitonegatto
    capitonegatto
    giugno 18, 2013 alle 10:19 PM

    Un po di pazienza, con il decretino del fare ogni Italiano risparmiera’ 5 euro , non al giorno, ma all’anno ( due crodini come suggerisce Crozza ) . Ecco cosa partoriscono le grandi intese che, c’erano anche nel 2012 , dove la maggioranza in parlamento era del pdl. E allora !!!
    Per favore non parliamo male di Moratti con gli addetti alle pompe di benzina, si rischia di finire come i bonzi.

  5. luglio 8, 2013 alle 4:24 PM

    cambia profondamente lo scenario energetico.

    da La Repubblica, 8 luglio 2013
    Energia, le rinnovabili supereranno il gas. Seconda fonte elettrica dopo il carbone.
    Il rapporto della Iea presentato a Roma: nel 2018 l’energia pulita aumenterà del 40% arrivando a coprire quasi un quarto della produzione elettrica. La direttrice Maria van der Hoeven: “Non servono alti incentivi ma politiche di lungo termine. (Antonio Cianciullo) (http://www.repubblica.it/ambiente/2013/07/08/news/energia_le_rinnovabili_supereranno_il_gas_nel_2016_e_saranno_seconda_fonte_elettrica_dopo_il_carbone-62585717/?ref=HREC1-9)

    Maria van der Hoeven, direttrice dell’Iea (International Energy Agency), è arrivata a Roma con un messaggio molto chiaro che esporrà questa mattina in un incontro alla Farnesina: entro il 2016 a livello globale le rinnovabili supereranno il gas e doppieranno il nucleare diventando la seconda fonte elettrica dopo il carbone. E lo scenario non cambia guardando un po’ più avanti o un po’ più indietro. Nel 2012 l’elettricità prodotta dalle rinnovabili è stata superiore a quella consumata in Cina. Nel 2018 l’energia pulita aumenterà del 40% arrivando a coprire quasi un quarto del totale della produzione elettrica.

    Non basta. Il rapporto appena reso pubblico dall’Iea (Medium-Term Renewable Energy Market Report) precisa che all’interno di questo 25% la quota delle nuove rinnovabili (quelle più innovative, escludendo l’idroelettrico tradizionale) continua a crescere: dal 2% del 2006 è passata al 4% del 2008 e arriverà all’8% nel 2018.

    Maria van der Hoeven entra anche nel merito della polemica sulle misure di sostegno al modello low carbon spiegando che si può fare molto con poco a patto di non cambiare idea ogni 6 mesi mettendo in difficoltà le imprese: “Molte rinnovabili non hanno più bisogno di alti incentivi. Ma hanno ancora bisogno di politiche di lungo termine che consentano la formazione di un mercato affidabile e di una cornice di regole compatibile con gli obiettivi sociali”. E anche il poco necessario può essere a costo zero a patto di non regalare soldi a chi inquina: “A livello globale i sussidi ai combustibili fossili restano 6 volte più alti degli incentivi alle rinnovabili”.

    Sapersi inserire con successo nelle filiere energetiche emergenti sarà determinate per le economie dei paesi di antica industrializzazione perché la pressione dei paesi di recente sviluppo è sempre più forte: sbagliare significare rischiare di essere tagliati fuori da un settore strategico. Due terzi della crescita delle rinnovabili nei prossimi 5 anni saranno concentrati nell’area non Ocse. Ma la crescita procede ancora tutto campo e lascia la gara aperta.

    Dai dati IEA risulta che idroelettrico, geotermia e impianti di biomasse di grande taglia sono già competitivi nei luoghi in cui queste risorse abbondano. L’eolico tiene testa ai nuovi impianti a carbone o a gas in molto mercati e in particolare in paesi come l’Australia, la Nuova Zelanda, la Turchia, e in alcune aree del Cile e del Messico. Il fotovoltaico risulta vincente, se si compara il costo del consumo sul posto ai prezzi dell’energia distribuita in rete, in Spagna, Italia, Germania del Sud, California del Sud, Australia e Danimarca.

    Nel capitolo di approfondimento sul nostro Paese, il rapporto precisa che le rinnovabili hanno fornito nel 2012 il 31% della produzione elettrica lorda: con sole e vento che si aggiudicano oltre un terzo di questa quota (6% fotovoltaico e 4,5% eolico). Ma, avverte la Iea, lo sviluppo delle rinnovabili in Italia è legato alla scioglimento di due nodi. Il primo è la rete di trasmissione, che deve essere fluidificata in particolare per collegare meglio Nord e Sud e permettere il migliore sfruttamento del potenziale eolico. Il secondo è il superamento delle difficoltà che frenano il consumo sul posto del fotovoltaico: “L’autoconsumo sarà un fattore chiave per la distribuzione nel medio termine”.

  6. gennaio 15, 2014 alle 2:46 PM

    da La Nuova Sardegna, 15 gennaio 2014
    L’isola spegne la luce, consumi a picco.
    In cinque anni il fabbisogno di corrente è diminuito del 28 per cento per le difficoltà di interi settori industriali. (Alfredo Franchini)

    CAGLIARI. Negli ultimi cinque anni la Sardegna ha spento la luce. Un calo dei consumi energetici progressivo che, dal 2008 al 2013, ha causato una perdita del 28,85 per cento. Luci spente sulla crescita, specchio di una crisi senza precedenti. Se si considera che il dato dei consumi energetici è sempre stato adoperato come uno degli indici fondamentali per misurare lo stato di salute del sistema economico, si può dedurre, senza necessità di scorporare i dati, che la crisi dell’industria è irreversibile. La tabella che pubblichiamo è chiara: se si passa dall’utilizzo di 13.018 gigawattora a 9.262 il motivo è la quasi cancellazione dell’apparato industriale sardo. E del resto le ultime statistiche relative proprio ai consumi di energia nelle imprese attestano che in un solo anno, (tra il 2011 e il 2012, ultimo dato ufficiale disponibile), le aziende sarde hanno consumato l’8,3 per cento in meno. Agli effetti economici della crisi partita dallo scandalo dei mutui subprime in America, si aggiungono le questioni legate all’industria sarda che sconta il peccato originale delle ex Partecipazioni statali. Una crisi che ha travolto il sistema manifatturiero. Il calo dell’attività economica in Sardegna ha avuto riflessi importanti sul livello di occupazione e sulle difficoltà crescenti delle famiglie; elementi che si traducono in un caso che potrà avere gravi effetti strutturali: l’emorragia di capitale umano che sta avvenendo con la nuova ondata di emigrazione. In questo scenario le imprese vorrebbero incrementare la capacità di competere sui mercati internazionali ma come fare se, a proposito di energia, l’isola resta l’unica regione d’Italia a non disporre del metano? «La mancanza di energia a costi competitivi», afferma Maurizio De Pascale, presidente dei costruttori di Confindustria, «ha portato alla chiusura di molte imprese e rischia di comprometterne tante altre. Attendiamo il piano energetico regionale». Se ci fosse il metano in Sardegna, ci sarebbe un risparmio di 500 milioni di euro l’anno di cui 200 per l’industria, 140 per le famiglie, 150 sul termoelettrico e 10 per i servizi. La realtà è che il Galsi, il metanodotto tra Algeria e Sardegna che sembrava cosa fatta, non si realizzerà mai anche per l’inchiesta giudiziaria avviata a Milano. Ma i sardi non possono restare gli unici a non disporre del metano e alla mancata realizzazione del gasdotto si può sopperire eventualmente con l’utilizzo di navi metaniere. Lo fa il Giappone, lo può fare anche la Sardegna, ovviamente dopo aver costruito la rete interna di distribuzione. Tra l’altro questo tipo di approvvigionamento darebbe vita a una maggiore concorrenza. Tra i problemi da affrontare nel piano energetico che la nuova giunta sarà chiamata ad elaborare, c’è poi l’utilizzo del carbone anche perché un recente decreto del governo dà alla Regione la facoltà di bandire entro il 2016 una gara per la realizzazione di una centrale termoelettrica a carbone per la generazione elettrica nel territorio del Sulcis Iglesiente. La condizione è sempre la stessa: l’impianto dovrà essere dotato di un’apposita sezione per la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica, pena la perdita degli incentivi. La scelta energetica, però, si intreccia con le scelte che riguardano lo sviluppo complessivo dell’isola: le scuole di pensiero sono essenzialmente due, divise tra coloro che immaginano una Sardegna senza industria e con il lavoro da creare nel turismo e nei servizi (scelta che offrirebbe poco spazio ai giovani laureati), e coloro che puntano a creare un tessuto industriale diverso, (anche per motivi storici oggettivi), da quello dell’industria pesante di base. Le associazioni del mondo produttivo e i sindacati chiedono che la questione sia valutata senza un approccio ideologico.

  1. giugno 7, 2013 alle 3:17 PM

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