Anagrafe regionale dei siti contaminati in Sardegna, il buio oltre la siepe.
Uno strumento importantissimo per la gestione e la bonifica ambientale delle aree inquinate è l’anagrafe regionale per i siti contaminati, prevista dall’art. 251 del decreto legislativo n. 152/2006 e s.m.i. (codice dell’ambiente). Aree industriali dismesse, discariche abusive, terreni degradati, siti di esercitazioni a fuoco e/o prove industriali hanno, così, la loro base normativa e analitica per essere risanati e gestiti correttamente sul piano ambientale.
In Sardegna, come nel resto d’Italia – come esplicitato accuratamente dal sito web istituzionale della Regione autonoma della Sardegna – i siti contaminati devono essere iscritti nell’apposita anagrafe regionale, tenuta dal Servizio Tutela dell’Atmosfera e del Territorio.
L’anagrafe regionale contiene:
– l’elenco dei siti sottoposti ad intervento di bonifica e ripristino ambientale nonché gli interventi realizzati negli stessi siti;
– l’individuazione dei soggetti ai quali compete la bonifica;
– gli enti pubblici di cui la Regione intende avvalersi per l’esecuzione d’ufficio degli interventi in caso di inadempienza dei soggetti obbligati.
Qualora il proprietario del terreno interessato o il Comune competente per territorio riscontri il superamento in un sito dei valori limite di concentrazione accettabili deve notificare il superamento al Servizio, il quale provvederà ad aggiornare l’elenco dei siti da bonificare.
L’aggiornamento può avvenire anche in seguito a:
– accertamenti eseguiti dalle autorità competenti che attestino un superamento dei valori limite di concentrazione accettabili per i siti inseriti nel Censimento dei siti potenzialmente contaminati;
– comunicazioni dei soggetti pubblici che nell’esercizio delle proprie funzioni abbiano individuato siti contaminati.
Una volta inserito il sito nell’elenco, il Servizio ne dà comunicazione al Comune interessato, il quale diffida il responsabile dell’inquinamento ad avviare la procedura di messa in sicurezza permanente e ripristino ambientale. La diffida viene, inoltre, comunicata dal Comune al proprietario del terreno.
Qualora il responsabile dell’inquinamento non sia individuabile ed il proprietario del sito non avvii la procedura, il Comune o il Servizio antinquinamento provvede a realizzare d’ufficio gli interventi necessari, secondo l’ordine di priorità fissato nel piano regionale per la bonifica delle aree inquinate.
L’inserimento di un sito nell’anagrafe dei siti da bonificare deve risultare dal certificato di destinazione urbanistica oltre che dalla cartografia e dalle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico generale del Comune e deve essere comunicato al competente Ufficio tecnico erariale.
Il responsabile del procedimento è Sebastiano Serra, del Settore bonifica siti inquinati.
Come si può agevolmente comprendere, è proprio uno strumento fondamentale per il risanamento ambientale del territorio.
Tuttavia, attualmente in Sardegna non esiste l’anagrafe regionale per i siti contaminati. Gli ultimi dati esistenti risalgono al piano di bonifica dei siti inquinati del 2003 e sarebbero tuttora in fase di aggiornamento, pur esistendo i criteri nazionali per l’elaborazione del piano fin dal 1999. La gran parte delle Regioni e delle Province autonome ha un’anagrafe per i siti contaminati aggiornata e valida.
In Sardegna no. C’è il buio oltre la siepe.
Gruppo d’Intervento Giuridico
(foto da L’Espresso; per conto GrIG, archivio GrIG)



e dopo che sarà completato l’elenco, tutto resterà come prima, o pensate forse che bonificheranno, tanto per fare un esempio, la fogna di portoversme?
Si può fare anche in altra maniera.
Ricordate la marea nera a Torre delle Stelle? ( http://www.unionesarda.it/Articoli/Articolo/216650 ).
Si potrebbe evincere, ad esempio, “che l’area contaminata dal prodotto oleoso può attualmente definirsi come sito non contaminato in quanto in nessun caso c’è il superamento della soglia di contaminazione” ( http://www.comune.sinnai.ca.it/ordinanze/documenti/2011/Ordinanza_12_2011-revoca_ord_interdiz_arenile.pdf ).
Più chiaro di così (!?!)
ed ecco un’altra bella storia…
da La Nuova Sardegna, 17 luglio 2011
Isde: «Non mischiamo chimica e bonifiche». Forte preoccupazione dei medici per l’ambiente sui finanziamenti per il risanamento.
SASSARI. «Nell’investimento di 1200 milioni di euro per la chimica verde sono compresi, arbitrariamente, i 530 milioni di euro destinati alla bonifica del sito industriale di Porto Torres». A sottolineare il fondamentale particolare contenuto nell’accordo sottoscritto dagli enti locali con Eni e Novamont è stato il direttivo dell’Isde (Associazione medici per l’ambiente).
Le problematiche ambientali legate alla chimica verde sono state analizzate in un incontro che si è svolto nella sede dell’Ordine dei medici e al termine del quale sono stati messi in risalto alcuni punti che dovranno essere vagliati con la massima attenzione nel momento in cui sarà messo in pratica quando predisposto dai protocolli d’intesa sottoscritti da Eni, Novamont, enti locali e sindacati.
«La bonifica è un atto dovuto e risarcitorio per il grave inquinamento provocato nel territorio anche nel corso dell’ultimo decennio – hanno spiegato i rappresentanti dell’Isde, Vincenzo Migaleddu e dell’Ordine dei medici, Alessandro Arru -. L’Eni ha ammesso che la somma costituisce solo un anticipo di quella necessaria, che ammonta a 1500 milioni, tenuto conto dell’entità e della gravità dell’inquinamento. Ma finora, delle bonifiche non si conosce niente: nè modalità tecniche, nè tempi, nè estensione dei terreni da ripulire e neppure il numero dei lavoratori da impiegare. Inoltre – hanno continuato i medici esperti di ambiente – il centro ricerche, per la cui realizzazione sono stati previsti circa 50 milioni di euro, deve essere avviato in tempi brevissimi per proporre piani di bonifica anche innovativi, coinvolgindo Università e Cnr. Con uno studio di azioni efficaci che possano risolvere anche le criticità ambientali nell’area della darsena, dove lo sversamento di benzene è particolarmente grave».
La prospettiva di riconversione dell’impianto petrolchimico verso la chimica verde, è stato rilevato durante l’incontro, presupporrebbe l’immediata cessazione di quelle attività energivore caratterizzate da un elevato consumo energetico e da una bassa resa. Per questo motivo, è stato sottolineato, la presenza nella progettualità di Eni Power sembra fuori luogo e la realizzazione di una centrale a biomasse da 40 MWe sarebbe oltremodo sovradimensionata. «Anche perchè dagli studi della facoltà di Agraria di Sassari – ha spiegato Migaleddu – è emerso che per l’intera isola sarebbe sufficiente una disponibilità di biomassa naturale, su 800mila ettari di territorio boscato e con macchia, di circa 300mila tonnellate annue che, con un potere calorifico medio di 3500 Kcal/Kg, basterebbero al raggiungimento di una produzione di potenza di 20 MWe».
Ecco perchè durante il dibattito è emersa la forte preoccupazione che l’impianto possa essere adibito a inceneritore di rifiuti solidi urbani. Anche se poi è stato rilevato favorevolmente lo sforzo della ricerca applicata alla produzione di nuovi materiali di origine vegetale, pur ritenendo che nell’ambito delle colture dedicate non si possa prescindere dal miglioramento delle rese dell’attività agricola per colture alimentari, visto che la produzione di alimenti di qualità è alla base di una corretta alimentazione.
«In un progetto così importante che mira alla riqualificazione del territorio Nord-ovest della Sardegna e alla riconversione degli inquinanti impianti esistenti – hanno concluso i responsabili dell’Isde – gli amministratori locali devono coinvolgere maggiormente la popolazione attraverso un confronto aperto per esporre con chiarezza i rischi e i benefici del progetto e arrivare così a una valutazione condivisa». (plp)